La causa principale delle disparità di genere nel mercato del lavoro è avere figli. Il primo passo per superare i condizionamenti culturali è una riforma ispirata alla genitorialità condivisa. Che però ha bisogno di una diversa organizzazione del lavoro.

Una famiglia incentrata sulla maternità per il governo

Gli emendamenti parlamentari alla legge di bilancio, si sa, lasciano il tempo che trovano, soprattutto se arrivano dalle opposizioni. È il governo a fare il bello e il cattivo tempo. Ma offrono comunque una radiografia delle priorità di chi siede in Parlamento. Non si tratta di semplici “parole a costo zero” (cheap talk), poiché ci sono vincoli formali e di tempo che spingono a presentare emendamenti solo sui temi che interessano davvero.

Sulle politiche per le famiglie, gli emendamenti alla legge di bilancio, ora in discussione alla Camera, evidenziano un forte orientamento unitario delle opposizioni a favore di misure per sostenere una “genitorialità condivisa”, con misure che promuovano la parità anche nella ripartizione del tempo tra cura e lavoro. Per un approfondimento su queste politiche, comprese le esperienze straniere, dalla Spagna alla Svezia, rimandiamo al libro uscito di recente: “Genitori alla pari. Tempo, lavoro, libertà” (Feltrinelli, 2024). Qui ci limitiamo a calarle nel contesto della discussione parlamentare in corso.

Va riconosciuto al governo di aver lavorato in modo coerente per affermare una visione delle politiche familiari centrata sulla sua idea di famiglia, imperniata sulla maternità. Fino a pochi anni fa, per i mesi di congedo parentale retribuito era previsto un indennizzo del 30 per cento. Oltre alle norme culturali, anche riflessioni economiche plasmavano le scelte: era il genitore con lo stipendio più basso, di solito la madre, a usufruirne. La legge di bilancio consolida e rafforza un cambiamento strutturale, portando da uno a tre i mesi di congedo parentale all’80 per cento. Sebbene l’obiettivo dichiarato sia sostenere le madri, la misura potrebbe incentivare anche i padri: per il primo anno di vita dei figli, Paola Biasi e Maria De Paola hanno rilevato un aumento del 24 per cento nell’uso del congedo da parte dei padri dopo un primo aumento della sua generosità introdotto dalle ultime leggi di bilancio del governo Meloni. Anche se i numeri sono piccoli per essere significativi sul piano statistico, ha senso aspettarsi un impatto maggiore dopo il primo anno. Le leggi hanno bisogno di tempo per ammorbidire le aspettative sociali e culturali.

La genitorialità condivisa proposta dalle opposizioni

L’intervento del governo ha avuto un secondo effetto collaterale positivo: ha spinto le opposizioni a presentare oltre trenta emendamenti sui congedi parentali e su quelli obbligatori di maternità e paternità. Le proposte coprono un ampio spettro di opzioni, ma convergono su alcuni punti chiave ispirati a una logica di genitorialità condivisa, comune a tutte le forze di opposizione, dal Movimento 5 stelle a Italia Viva. In particolare, emerge una volontà diffusa di estendere i congedi di paternità, oggi limitati a 10 giorni, con proposte che variano da 26 giorni fino a 6 mesi obbligatori. Si propongono anche misure come un aumento delle indennità al 100 per cento per tutti i congedi obbligatori, congedi parentali perfettamente paritari, formazione, part-time di coppia, sostegno alle imprese virtuose e attenzione speciale per le famiglie con figli con disabilità.

L’obiettivo è chiaro: allineare l’Italia alle migliori pratiche europee, promuovendo un equilibrio in cui uomini e donne dedichino lo stesso tempo al lavoro retribuito e a quello di cura non retribuito all’interno delle famiglie. Le firmatarie più attive degli emendamenti sono donne, come Gilda Sportiello (M5s), Maria Elena Boschi (IV), Elena Bonetti (Azione), Valentina Barzotti (Avs), con Elly Schlein (Pd) che guida quelli unitari del centrosinistra, anche se non mancano firme di uomini, come Marco Furfaro (Pd) e Davide Faraone (Iv), anche per i ruoli che ricoprono nei loro partiti.

Sarebbe bello se la dialettica tra visioni diverse delle politiche per le famiglie, tra maggioranza e opposizione, uscisse dalle aule parlamentari, stimolando il dibattito pubblico e la mobilitazione delle parti sociali. In Spagna, una riforma ispirata alla genitorialità condivisa è stata il frutto di anni di discussione e mobilitazione sociale.

Da dove iniziare per cambiare

Ma da dove partire per spiegare perché, secondo noi, le politiche italiane sulla genitorialità necessitano di un cambio di paradigma? Come discutiamo in Genitori alla pari, la pietra angolare dovrebbe essere il benessere delle persone. A cominciare dai bambini e dalle bambine, la cui crescita è più equilibrata quando tutti gli adulti di riferimento partecipano alla loro cura. Passando poi ai genitori, che vivono meglio quando possono conciliare lavoro e genitorialità in base alle inclinazioni individuali, senza subire pressioni sociali.

Oggi, le disparità di genere nel mercato del lavoro sono evidenti: le donne lavorano di meno, fanno più part-time involontario, hanno contratti più precari e stipendi più bassi. Recenti studi mostrano che, nella maggioranza dei casi, la causa di queste disparità è una sola: avere figli. Figli che, però, di solito si hanno in due. Perché, allora, l’effetto ricade solo sulle donne? La risposta è, purtroppo, banale. Dopo la nascita di un figlio o di una figlia, ci si aspetta che le donne dedichino più tempo alla famiglia, mentre dagli uomini ci si aspetta un aumento degli sforzi per soddisfare le nuove esigenze economiche. I nostri modelli di stato sociale e di organizzazione del lavoro si fondano su queste aspettative sociali. Aspettative che nulla hanno a che vedere con la biologia, ma molto con la cultura e, senza girarci troppo intorno, con l’organizzazione patriarcale che regge le nostre società. Congedi paritari, non trasferibili tra i genitori, sono un ingrediente ineludibile per aggredire queste diseguaglianze, di genere e sociali.

Le politiche pubbliche possono essere il volano del cambiamento. Ma da sole non bastano. La genitorialità condivisa ha bisogno di una diversa organizzazione del lavoro, che liberi il tempo delle persone. Per dirla con il premio Nobel per l’economia del 2023, Claudia Goldin, la grande convergenza tra uomini e donne vivrà il suo “capitolo finale” quando i datori di lavoro la smetteranno di remunerare eccessivamente gli individui che lavorano tante ore, in particolari fasce orarie e con disponibilità senza limiti. Il tempo deve essere remunerato (e bilanciato) diversamente, per tutte e per tutti. Solo così potremo avere genitori alla pari.

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