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Assistenza agli anziani, una riforma svuotata

Delude il primo decreto attuativo della riforma dell’assistenza alle persone anziane non autosufficienti. Le previsioni sui servizi domiciliari, su quelli residenziali e sulle indennità di accompagnamento non rispecchiano i contenuti della legge delega.

Il lungo lavoro dietro la riforma

La riforma dell’assistenza alle persone anziane non autosufficienti, introdotta dalla legge delega n. 23 del 2023 e seguita dal primo decreto attuativo (decreto legislativo n. 29 del 2024), è frutto di un intenso lavoro preparatorio avviatosi nel 2021 principalmente a opera delle organizzazioni della società civile raccolte nel “Patto per un nuovo welfare per la non autosufficienza”.

La legge delega del 2023, recependo molte delle proposte del Patto, aveva imbastito un promettente quadro di riferimento in cui incastonare i vari provvedimenti necessari a fornire le variegate risposte che la non autosufficienza in età anziana richiede. Il decreto legislativo 29/2024 ha dato seguito ad alcune delle promesse che vi erano formulate, lasciandone tuttavia inattuate una gran parte e facendo addirittura un passo indietro rispetto ad alcune. Rimandando a un recente rapporto l’approfondimento delle diverse sfaccettature toccate dalla riforma, qui di seguito facciamo il punto rispetto a tre elementi centrali: i servizi domiciliari, quelli residenziali e l’indennità di accompagnamento, il trasferimento monetario per eccellenza disponibile nel nostro paese per le persone non autosufficienti.

Cancellata la riforma dei servizi domiciliari

In Italia, la percentuale di persone con elevate necessità di cura che ricevono servizi di assistenza domiciliare è superiore alla media europea. Il dato, però, nasconde il fatto che l’intensità dei sostegni, in termini di frequenza e ore, è molto più ridotta (spesso limitandosi a pochissimi, brevi accessi a settimana). L’offerta di servizi domiciliari è infatti molto inferiore al fabbisogno o al di fuori della portata di molti cittadini: la percentuale di coloro che non ne usufruiscono perché i servizi sono del tutto assenti è in Italia la più elevata dell’Unione europea, fino a quasi un italiano su tre (rispetto a una media europea al 10 per cento), e altrettanti dichiarano di non poterselo permettere.

Il più diffuso servizio domiciliare in Italia è l’assistenza domiciliare integrata (Adi) delle Asl. La sua durata è sovente breve (2-3 mesi) ed eroga in media per ogni anziano assistito 3 ore di lavoro del terapista della riabilitazione, 10 dell’infermiere e 3 di altre professioni (fra cui l’Oss – operatore socio-sanitario), per un totale di 16 ore medie annue, a cui si aggiungono 2 accessi medici. L’80 per cento degli anziani assistiti a casa riceve da uno a tre accessi mensili. I dati, dunque, mostrano che il modello prevalente è quello prestazionale (e non della presa in carico), con singole prestazioni volte a rispondere a specifiche, e contingenti, esigenze sanitarie, non pensate per affrontare in modo olistico la non autosufficienza.

La legge delega 33/2023 prevedeva l’introduzione di un servizio domiciliare pensato per la non autosufficienza, che oggi in Italia non esiste, caratterizzato da unitarietà delle risposte, interventi di intensità e durata adeguate e coinvolgimento di diverse professioni, seguendo la logica del care multidimensionale. Nel passaggio dalla legge delega 33/2023 al decreto attuativo 29/2024 la riforma dell’assistenza a domicilio è stata cancellata, limitandosi ad annunciare linee guida per l’integrazione socio-sanitaria. Ciò finirebbe col confermare l’assenza in Italia di un servizio domiciliare per la non autosufficienza, avendo quelli esistenti di Adi e Sad altre funzioni. Nei futuri decreti attuativi occorrerà pertanto ripartire da qui, riorganizzando o integrando l’esistente, per arrivare a un sistema realmente in grado di rispondere alle esigenze di long-term care a domicilio della crescente popolazione anziana.

Nessuna indicazione sui servizi residenziali

Il tasso di ricovero in strutture residenziali si è attestato a lungo in Italia intorno al 2 per cento della popolazione over 65 (scende all’1,6 per cento se si considerano i soli ricoverati non autosufficienti), facendo registrare solo di recente un certo incremento. Il dato colloca il nostro paese al di sotto della media europea, pari al 3,6 per cento, e soprattutto al di sotto di quella dei principali paesi a welfare più avanzato.

La legge delega 33/2023 indica i punti chiave su cui agire in questo ambito, seguendo le indicazioni prevalenti a livello internazionale, che suggeriscono non tanto di incrementare la quantità di utenti accolti in strutture residenziali, quanto di migliorare la qualità dei servizi offerti da queste ultime. La legge delega affidava al decreto attuativo il compito di definire gli interventi in modo da garantire un’intensità assistenziale adeguata alle esigenze e alla numerosità degli anziani residenti, personale con le competenze necessarie e ambienti familiari e sicuri, strutturati per favorire qualità di vita, socialità e continuità delle relazioni. Il decreto attuativo 29/2024 non fornisce però indicazioni concrete in materia, rimandando a un ulteriore decreto, per cui la definizione della strategia nazionale in questo campo non risulta ancora partita.

La mancata riforma dell’indennità di accompagnamento

Altro elemento chiave della legge delega riguarda l’indennità di accompagnamento, misura immutata dal 1980, anno d’introduzione, ritenuta a livello internazionale un esempio di intervento mal disegnato: una stessa somma a tutti i non autosufficienti, senza alcuna graduazione in base al bisogno, né progettualità tesa a offrire risposte adeguate. In tutti gli altri paesi europei, al contrario, i livelli individuati variano dai tre ai quindici, e consentono così di modulare le prestazioni erogate in funzione del diverso grado di bisogno accertato.

Tenendo conto delle indicazioni emergenti dai paesi più avanzati, la legge delega ha previsto la trasformazione dell’indennità di accompagnamento nella “prestazione universale per la non autosufficienza”, da assegnare esclusivamente in base alla sussistenza o meno di un bisogno assistenziale del beneficiario (senza tener conto cioè delle sue disponibilità economiche). Inoltre, mentre oggi l’importo ricevuto è lo stesso per tutti, l’ammontare della prestazione andrebbe graduato in base alla gravità della condizione del beneficiario, in modo che chi ha maggiori necessità riceva somme più elevate.

I beneficiari della prestazione dovrebbero poi poter scegliere tra due opzioni: a) un contributo economico senza vincoli d’uso, come già oggi accade; b) la fruizione di servizi alla persona, in forma organizzata (per esempio da soggetti del terzo settore) o individuale (per esempio, da assistenti familiari regolarmente assunte), con un importo maggiorato rispetto all’alternativa a), onde incentivare i servizi rispetto alla soluzione monetaria.

Il decreto 29/2024 cancella di fatto la riforma dell’indennità di accompagnamento, prevedendo per il biennio 2025-2026 la “sperimentazione” di una misura aggiuntiva, che non modifica l’indennità già esistente, cui si aggiunge un’integrazione fissa (850 euro mensili), limitando di molto i beneficiari (25mila). Ci si colloca così nell’antica tradizione italiana di non riformare, bensì lasciare immutato l’esistente, stratificandoci sopra il nuovo.

Gli anziani non sono una priorità

La legge delega sembrava segnare l’avvio di una nuova fase in questo settore, l’emanazione del suo primo decreto attuativo ha suscitato profonda delusione. In parte, le ragioni sono comprensibili, per le difficoltà di bilancio che il governo deve affrontare. Gli studi esistenti, seppure non siano disponibili stime molto aggiornate, collocano il complessivo fabbisogno di risorse pubbliche aggiuntive tra i 5 e i 7 miliardi di euro annui (rispetto a una spesa per long-term care nel 2023 di 22,8 miliardi), di cui 2 miliardi dedicati alla riforma dell’indennità di accompagnamento. Tuttavia, alcune misure non comportano costi aggiuntivi: per esempio, l’avvio del Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana (Cipa) e l’organizzazione integrata dell’assistenza sanitaria e sociale, dei punti unici di accesso, delle procedure di valutazione e delle sinergie tra assistenza formale e informale. Anche queste, però, sono state tutte rinviate a futuri decreti. Ciò non lascia ben sperare. E suggerisce che il destino di questo vasto gruppo di cittadini – le persone anziane che necessitano assistenza, ma anche i milioni di famigliari caregiver e operatori impegnati nel settore – non rientri tra le priorità del governo.

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  1. mauro zannarini

    Francamente il giochino di rimandare a Decreti Attuativi, da la misura della totale impreparazione dei vari LEGISLATORI.
    Se non fosse imbarazzante sarebbe disgustoso.
    Grazie dell’articolo, che affronta un problema volutamente silenziato, ricordiamoci sempre quanto dobbiamo ai nostri Anziani.

  2. VINCENZO

    Buongiorno,
    due considerazioni:
    1. sono stremato dalla logica del “bonus”!
    La politica non riesce, non vuole uscire dal
    circolo vizioso dell’intervento puntuale: bonus
    bebè, bonus fiscali, bonus auto, bonus
    prestazionali, bonus economici….Si considera il
    Cittadino un banale precettore di benefit e non
    un detentore di diritti costituzionali! A quando
    l’idea Politica di un progetto di cittadinanza a
    tutto tondo?
    2. si è seduti su una “bomba” demografica ed
    epidemiologica che sta per esplodere (incidenza
    della popolazione anziana sulla popolazione
    generale) ma non si cercano, non si vogliono
    cercare risorse per dare risposte di
    cittadinanza.
    La politica priva di Politiche!

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