Chi deve pagare la casa di riposo di un anziano? La risposta, qualunque essa sia, è destinata ad avere profonde conseguenze per le famiglie coinvolte. Ma oggi, in Italia, nessuno sa rispondere. Perché il processo di riforma del settore è bloccato.
Case di riposo gratis?
Chi deve pagare per la permanenza di un anziano in Rsa, le residenze sanitarie assistenziali (o “case di riposo”)? La risposta a questa domanda è cruciale, non solo per le famiglie coinvolte ma anche per le politiche di welfare nel loro complesso.
La normativa nazionale (Lea, livelli essenziali di assistenza) prevede che i costi delle Rsa a titolarità pubblica siano così suddivisi: 50 per cento della spesa a carico del Servizio sanitario nazionale e 50 per cento a carico degli utenti (o dei familiari). Solo nel caso gli interessati o i parenti non abbiano risorse adeguate, a sostenere la loro quota contribuiscono – parzialmente o totalmente – i comuni. In media, la retta per gli anziani ammonta a 1.900 euro mensili, una cifra rilevante, il cui impatto risulta più o meno pesante in base alle disponibilità economiche delle famiglie coinvolte.
Secondo alcune recenti sentenze di tribunali riferite ad anziani affetti da Alzheimer, invece, all’intero costo delle Rsa dovrebbe far fronte il Servizio sanitario nazionale, eliminando così il contributo degli utenti (o dei familiari). I pronunciamenti si sono resi necessari a seguito di vari ricorsi presentati da parenti di anziani ospiti nelle strutture, supportati da alcune piccole associazioni molto determinate. I ricorsi richiedevano, per l’appunto, che il Ssn coprisse il 100 per cento della spesa in Rsa, partendo dal presupposto che l’assistenza rivolta agli anziani non autosufficienti sia interamente di natura sanitaria.
A questo punto, il caos regna sovrano. Le rette devono ammontare a 1.900 euro mensili o essere pari a zero, come indicato dalle sentenze? La decisione è da ritenere valida esclusivamente per il 40 per cento di ospiti in residenzialità con Alzheimer o per tutti? Ecco alcune tra le domande che si pongono familiari e gestori di strutture: se ne può immaginare il senso di incertezza e di ansia.
La differenza tra non autosufficienza e sanità
I ricorsi alla base delle sentenze si fondano sul presupposto che gli interventi per la non autosufficienza siano di natura sanitaria. Seppure alcuni tra questi vengano finanziati dal Ssn, un simile assunto non ha fondamenti né concettuali né operativi. A meno di non ritenere che colonscopia e chirurgia della cataratta – gli interventi sanitari più diffusi – siano assimilabili alla vita in strutture residenziali. A livello internazionale, non a caso, una simile ipotesi non viene minimamente presa in considerazione e le politiche pubbliche sono abitualmente suddivise tra sanità (health policy) e non autosufficienza (long-term care); la tabella riporta gli elementi essenziali dei due settori.
I costi dell’immobilismo
Il fatto che in Italia sia possibile affermare che la non autosufficienza è parte della sanità conferma il debole riconoscimento di cui gode la prima nel nostro paese. Le ragioni che spingono a voler equiparare i due settori, in effetti, non toccano la natura degli interventi. Riguardano, invece, i diritti. La non autosufficienza in Italia non prevede ancora un unico inquadramento normativo ma è, al contrario, la somma di molteplici interventi con regole diverse, tra loro non coerenti e spesso poco chiare. Ad accomunare questo confuso universo è la presenza di diritti assai limitati. Ecco allora la logica dei ricorsi. Poiché nella sanità sono previsti diritti e le relative risorse, farvi rientrare la non autosufficienza comporterebbe il fatto di poterne usufruire. E pazienza se si tratta di una posizione non sostenibile nella realtà.
Peraltro, i ricorsi non riguardano tutti gli anziani non autosufficienti, bensì esclusivamente quelli affetti da Alzheimer, cioè il 40 per cento di coloro i quali vivono in strutture residenziali. E gli altri? Se i giudizi pendenti avessero, in qualche misura, successo, inevitabilmente anche i parenti di anziani con differenti problematiche sarebbero spinti a rivolgersi ai tribunali, sostenuti da altre associazioni, per chiedere l’abolizione delle rette. Una poco edificante gara tra categorie di soggetti fragili prenderebbe così il via.
Una normativa per definire l’assistenza agli anziani non autosufficienti
Solo una cosa potrebbe evitare il caos: una normativa con una puntuale definizione dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, in grado di costituire un solido e inequivocabile riferimento. Una normativa che ne definisca perimetro, contenuti e regole, senza prestarsi a interpretazioni molteplici. La recente riforma del settore (legge 33/2023) ha per la prima volta considerato l’ambito della non autosufficienza nella sua unitarietà e specificità, ma non ha tradotto questo approccio in una definizione legislativa. Tuttavia, se non viene indicato con precisione “cos’è” una determinata politica pubblica, ognuno può cercare di sfruttare l’indeterminatezza a sostegno della propria posizione, come in effetti accade.
Colmare questa lacuna provvedendo a definire in modo univoco il settore dovrebbe rappresentare uno dei prossimi passaggi della riforma (peraltro, a livello internazionale, esistono numerose definizioni a cui rifarsi). Per esempio, l’Ocse la definisce così: l’assistenza agli anziani non autosufficienti (long-term care) consiste in una varietà di servizi e interventi – di natura sociale e sanitaria – che sono forniti al fine di alleviare il dolore e di ridurre o gestire il peggioramento delle condizioni psicofisiche di persone che, a causa di disabilità mentale e/o fisica, dipendono dall’aiuto di altri per un lungo periodo tempo, assistendole nello svolgimento delle attività della vita quotidiana. In Italia vi rientrano i servizi sociosanitari, i servizi sociali e l’indennità di accompagnamento.
La situazione, però, al momento è ferma. Il sistema della residenzialità, dunque, paga i costi dell’immobilismo decisionale. E – come spesso accade in questi casi – gli spazi lasciati vuoti dalla politica vengono riempiti dalla magistratura.
Di cosa stiamo parlando?
La vicenda della residenzialità indica, dunque, una necessità che riguarda l’intero settore della non autosufficienza: quella di rimettere in moto il percorso della riforma. E, nel farlo, occorre colmare il ritardo maturato in alcuni passaggi fondamentali, sinora elusi. Primo, definire in modo puntuale, nella normativa, quest’area del welfare, indicando gli interventi che ne fanno parte, i confini e le regole fondamentali. Secondo, stabilire le responsabilità dei diversi soggetti, attraverso regole certe, per la suddivisione della spesa tra ente pubblico, individui e famiglie.
Questi sono, in breve, i punti chiave, in assenza dei quali l’impianto riformatore è destinato a rimanere fragile: chiarezza in merito a “che cosa sono” le politiche per gli anziani non autosufficienti e a “chi paga” i loro costi. Altrimenti, continueremo a discutere senza nemmeno sapere di cosa stiamo parlando.
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Piero Slompo
Buongiorno, aggiungo anche questa informazione. Se l’anziano solo non autosufficiente già residente in rsa e regione si sposta in una nuova rsa e regione per avvicinarsi ai parenti non ha più beneficio del ssn per la parte di retta relativa alle cure sanitarie. A carico quini il 100% della retta mensili che può arrivare anche a 2.700/2800 euro.
Ornella
A me e’ stato detto, ma non ho verificato, che nell’ambito della stessa regione una volta ottenuto il contributo SSN questo rimane anche con spostamento in altra Rsa. Al contrario per una regione diversa tocca fare di nuovo il percorso della domanda ai servizi di assistenza e dipende ovviamente dal budget regionale.
Cosi mi e’ stato detto e cosi riporto
PieroLuca
In realtà la retta minima in Toscana senza “ Quota Sanitaria “ si aggira dalle 110 alle 135 € al giorno, una follia che vede in grave difficoltà le famiglie coinvolte , con il massimo disinteresse di questa “ Piaga Sociale “ da parte di tutti coloro che pensano che lo scontrino sia “ Un pizzo di Stato “ . Dio voglia che a questi venga il peggio .
Gessica Bacarelli
La mia mamma con isogravita 5 da alzaimer avendo una rete familiare ( due figlie) non è nemmeno in lista per ricovero in struttura. Siamo a 1900 euro con badante più vitto alloggio e gestione casa. La struttura a Prato 130 euro giornaliere. Tra accompagnamento e pensione 1800 euro. Dobbiamo venderle la casa poi si vedrà.
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Giovanni Fattore
Contributo chiarissimo e che condivido al 100%: occorre proseguire sulle linee tracciate dalla legge 33/2023. Aggiungo un’altra insidia della situazione attuale. Dare una copertura totale agli anziani non autosufficienti nelle RSA, oltre a non essere sostenibile finanziariamente per il SSN, incentiverebbe il passaggio dall’assistenza domiciliare a quella residenziale, un passaggio che è in contrasto con l’idea che la parte finale della vita avvenga il più possibile nelle comunità di riferimento
Anna
Quindi per capire bene se un anziano è in RSA e affetto da Alzheimer e con nutrizione sondino naso gastrico e la retta in compartecipazione la restante parte a chi va imputata? La pagano i parenti o la paga lo stato?
Boetto maria
E assurdo questo vuoto legislativo dopo una vita di lavoro costa di più di un albergo
Dalida
Io aggiungo ,che la retta 1900€,non corrisponde almeno nella mia realtà, in provincia di Bergamo,la retta dal 1 maghio aumenta 8 euro al giorno e altri 2 euro a fine anno ,portando la retta ad oltre 2400€,volevo solo precisare.
Giorgetta Cena
La retta in RSA è di 3500,00€ l’ Asl obbliga a mettere un invalido al 100/00 in RSA ma finché non sale nella graduatoria tocca ai famigliari nel mio caso unica figlia con un isee Comune di 10000€ ho dovuto vendere lo appartamento intestato alla mia mamma centenaria con il mutuo x saldare l RSA la quale aveva fatto un pignoramento alla fine non mi è rimasto nulla della vendita ed ora praticamente la pensione e l’ accompagnamento della mia mamma devo versarla alla RSA come differenza.Voglio anche dire che io sono invalida al 100/00 e purtroppo non posso più accudire la mia mamma dopo avere avuto uno scompenso cardiaco dopo il quale non posso fare sforzi.La mia pensione + quella di reversibilità non arriva a 1000€ mensili.Purtroppo questa è la mia situazione credo che altre famiglie siano in difficoltà come sono io.
Cristina
Buongiorno. Si dovrebbe tenere conto anche che in molti comuni non esistono RSA (presenti solo in comuni molti lontani) ma ci sono case famiglia che ospitano anziani disabili che non sono riconosciute per ottenere contributi. Andrebbero anche incentivate le possibilità di ospitalità parziali al fine di poter tenere l’anziano in parte in famiglia e in parte in tali strutture per dare possibilità ai figli che se ne occupano di respirare e allo stesso tempo non fare sentire il genitore abbandonato.
giuseppe
“A livello internazionale, non a caso, una simile ipotesi non viene minimamente presa in considerazione e le politiche pubbliche sono abitualmente suddivise tra sanità (health policy) e non autosufficienza (long-term care); la tabella riporta gli elementi essenziali dei due settori”
Potrebbe darmi delle indicazioni bibliografiche in tal senso?
grazie mille
Giuseppe
L’articolo offre una lettura distorta della realtà, che mette in discussione diritti fondamentali come quello alle cure sanitarie per gli anziani non autosufficienti.
Secondo Gori, le recenti sentenze “impongono” che il SSN copra il 100% dei costi per tutti i malati di Alzheimer. Non è così! Chi ha letto quelle decisioni sa bene che si tratta di casi limite, di malati con gravi condizioni cliniche che richiedevano cure sanitarie simili a quelle ospedaliere. I giudici hanno solo riaffermato un principio fondamentale: quando il bisogno sanitario è prevalente, la componente alberghiera non può essere distinta da quella sanitaria. Si tratta, dunque, del riconoscimento di un diritto già previsto.
I LEA (Livelli essenziali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria) stabiliscono che il SSN copre almeno il 50% dei costi in RSA per le persone non autosufficienti. Il resto è a carico dei Comuni o degli utenti, se in grado di contribuire. Il quadro normativo, quindi, è chiaro: nessun “caos” rette.
Pertanto non serviva una nuova legge – come la 33/2023, fortemente promossa dallo stesso Gori – per risolvere un problema inesistente. Ma è poi lo stesso Gori ad ammettere che la riforma – l’incompiuta – non è andata a buon fine.
E meno male! Perchè la vera finalità della legge, oggi sempre più evidente, era di spostare i percorsi di cura fuori dal SSN, trasferendo la competenze verso l’assistenza sociale, priva di risorse e garanzie di legge.
In realtà il caos sta nell’illegalità quotidiana dove molte Regioni e ASL negano la copertura sanitaria per motivi di bilancio. Questo è lo scandalo: la violazione sistematica dei LEA – prestazioni che lo Stato è obbligato a garantire.
E Gori, purtroppo, su questo scandalo ha scelto di non prendere posizione.
GIUSEPPE
Buonasera, argomento seguito da diversi anni. Nel frattempo mia madre è deceduta nella propria abitazione. Ha avuto quel po’ di assistenza sanitaria, da parte di infermiere che curavano le lesione da decubito. É mancata quella parte di assistenza, come in Belgio e altri paesi, dove viene effettuata l’assistenza alla persona a titolo gratuito.
Ringrazio il professore GORI sempre puntuale su questo argomento che ci riguarda tutti.
GIUSEPPE
Per assistenza alla persona, volevo precisare igiene alla persona, quale bagno e igiene intima anche più volte al giorno.
Quanto sopra mi è stato riferito da persona che ha i propri genitori in Belgio. Ovvio che risiede nella propria abitazione ma comunque i servizi menzionati sono di grande importanza.
Qui da noi verrebbero svolti da badante con i costi notevoli.
Magari li avessimo qui. Sarebbe già un grande aiuto e agevolerebbe chi vuol tenere il proprio genitore nella propria abitazione.