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C’è molto da imparare dai Jobcentre Plus

Nel Regno Unito i Jobcentre coprono varie funzioni, dall’orientamento e accompagnamento al lavoro alle funzioni di previdenza e assistenza. In Italia un modello simile è ostacolato dalla frammentazione delle competenze tra stato, regioni e comuni.

Una differenza che salta agli occhi

Per puro caso, nei giorni scorsi, mi è capitato di visitare il Jobcentre Plus (Jcp) di Edimburgo in Scozia, mi è bastata una piccola etnografia di circa dieci minuti e potrei scrivere un libro sull’efficienza anglosassone rispetto al modello dei centri per l’impiego italiani.

Ci siamo occupati più volte del modello di welfare to work, si tratta di un modello fortemente orientato alla condizionalità, dove non mancano criticità, eppure l’osservazione diretta del suo funzionamento evidenzia una “netta” differenza in termini di efficienza con il modello italiano di servizi pubblici per l’impiego.

Partiamo dall’elemento centrale, ovvero l’applicazione del cosiddetto one stop shop, un servizio “olistico” dei servizi e politiche del lavoro. I Jobcentre Plus assolvono diversi compiti: l’erogazione di servizi di orientamento e accompagnamento al lavoro; la verifica della condizionalità (obbligo da parte dell’utente preso in carico beneficiario di sussidi di partecipare alle iniziative); e anche quella di supervisore dei servizi specialistici affidati agli operatori privati. A queste si aggiunge la gestione diretta delle politiche passive (compreso la gestione dell’ambito previdenziale) e il sostanziale coordinamento di una serie di servizi “multidisciplinari” nell’ambito socio-assistenziale dedicati ai soggetti più svantaggiati (per esempio, a Edimburgo nel Jcp sono stati avviati progetti dedicati alle persone affette da spettro autistico).

A differenza dell’Italia, dove la gestione delle politiche passive è affidata all’Inps, quella delle politiche attive ai centri per l’Impiego e i servizi sociali ai comuni, creando spesso un ping-pong di responsabilità, il Regno Unito adotta un approccio più integrato. I cittadini possono avviare una richiesta di sostegno attraverso un’unica piattaforma on line o contattando il numero telefonico 0800 328 5644. Una volta presentata la domanda, il richiedente viene assegnato a un work coach, una figura professionale che fornisce supporto personalizzato durante tutto il percorso di ricerca di lavoro e riqualificazione. Il sistema centralizzato, gestito dal Department for Work and Pensions, punta a semplificare l’accesso ai servizi e a garantire un’assistenza più efficace e mirata.

L’ostacolo della frammentazione dei servizi

In Italia, l’adozione di un modello one stop shop per l’accesso integrato ai servizi di welfare e lavoro è ostacolata da una complessa articolazione istituzionale. La frammentazione deriva da scelte politiche e normative che hanno distribuito le competenze tra diversi livelli di governo. Lo stato, attraverso l’Inps, gestisce le politiche passive come le indennità di disoccupazione e le pensioni. Le regioni sono responsabili delle politiche attive del lavoro, coordinando i centri per l’impiego e le agenzie regionali. I comuni si occupano dei servizi sociali e dell’assistenza alle persone in difficoltà. Dal punto di vista dell’utente, interessato a ricevere servizi, il modello italiano appare del tutto “irrazionale” e onestamente incomprensibile.

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Per offrire ai cittadini italiani servizi comparabili a quelli disponibili nel Regno Unito, sarebbe necessario istituire un modello più efficiente, come una “SuperInps” (si può trovare un nome più accattivante) dotata di competenze estese anche all’assistenza sociale. Il modello dovrebbe prevedere una governance decentrata a livello territoriale. Integrando la previdenza con le politiche del lavoro in termini di risorse, personale dedicato e altri elementi indicatori, il sistema italiano non sarebbe così distante da quello inglese.

Si può costruire un sistema accessibile ed efficiente?

Uno degli aspetti che più mi ha colpito nel sistema britannico è l’efficienza e l’accessibilità dei Jobcentre Plus. La sede di Edimburgo era esteticamente gradevole, ristrutturata o di recente costruzione, e situata a breve distanza dal centro città, facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici. Anche il Paddington Jobcentre Plus Office a Londra, che ho visitato qualche anno fa, offriva un ambiente accogliente e ben organizzato.

C’è poi la flessibilità: il modello organizzativo britannico adatta i servizi alle esigenze dell’utenza. Gli uffici sono aperti dal lunedì al venerdì (generalmente dalle 9 alle 17), mentre il sabato (giorno della mia visita) si può andarci solo su appuntamento.

All’interno dei centri per l’impiego, ci sono manifesti e pubblicità promossi da operatori privati, enti formativi e altri soggetti che offrono servizi per l’impiego. L’apertura alla collaborazione tra pubblico e privato rappresenta un approccio pragmatico e orientato all’efficienza, che in alcune regioni italiane potrebbe essere percepito come inusuale o addirittura controverso.

Nel Regno Unito, l’obiettivo primario delle politiche del lavoro è il rapido reinserimento dei disoccupati nel mercato occupazionale, indipendentemente da chi fornisca il servizio. Tuttavia, a differenza del Programma Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) italiano, il modello di welfare to work inglese non prevede incentivi specifici per gli operatori privati nel collocamento di soggetti facilmente occupabili (i cosiddetti Cluster 1), presupponendo che questi individui possiedano già le competenze necessarie per trovare autonomamente un impiego.

L’approccio pragmatico si traduce in una collaborazione efficace tra settore pubblico e privato, con un focus particolare verso i soggetti più svantaggiati. Durante la visita al Jobcentre Plus di Edimburgo, è emerso chiaramente che molti utenti erano migranti, evidenziando l’importanza di servizi di mediazione linguistica e supporto personalizzato per facilitare il loro inserimento lavorativo.

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Un aspetto spesso trascurato, ma che nei centri per l’impiego italiani, specialmente nel Mezzogiorno, assume rilevanza, è la sicurezza. In molte sedi, gli operatori si trovano a lavorare in ambienti stressanti a causa di episodi di tensione o aggressività da parte dell’utenza. Questa situazione contribuisce a un alto turnover del personale, con molti dipendenti che scelgono di lasciare l’incarico per posizioni più stabili o meno esposte all’interno della pubblica amministrazione. Nel Regno Unito, il problema è affrontato in modo più strutturato, a fianco alla postazione di prima informazione vi è sempre un presidio della polizia.

In Italia, l’idea di creare un one stop shop per le politiche del lavoro continua a sembrare un progetto irrealizzabile. Manca un chiaro indirizzo politico: la proposta di una “Super-Inps” che accorpi le funzioni di previdenza, assistenza e politiche attive non compare nei programmi della maggior parte dei partiti. Un timido tentativo fu intrapreso durante il governo Renzi con la creazione dell’Anpal, ma la collaborazione con l’Inps rimase difficile e poco efficace.

A livello tecnico, la resistenza maggiore a qualsiasi tentativo di riforma strutturale deriva dalla complessità dell’assetto istituzionale, che coinvolge una molteplicità di attori (stato, regioni, enti locali e agenzie). Di conseguenza, molti esperti (tra cui il sottoscritto) rinunciano in partenza all’idea di unificare i servizi, nonostante sia ampiamente riconosciuto che uno sportello unico delle politiche del lavoro rappresenterebbe la soluzione più efficace ed efficiente per realizzare progetti di ricollocazione e riqualificazione.

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  1. Savino

    Trovare un lavoro è, a sua volta, un lavoro, tanto per il candidato, quanto per chi lo deve supportare. Quest’ultimo deve essere un professionista, formato all’interno di un team di professionisti, con competenze trasversali, e non un para-burocrate la cui attività e il cui ufficio devono essere avallate dall’intrusione della politica e dell’assistenzialismo.

  2. bob

    “idea di unificare i servizi, nonostante sia ampiamente riconosciuto che uno sportello unico delle politiche del lavoro rappresenterebbe la soluzione più efficace ed efficiente per realizzare progetti di ricollocazione e riqualificazione.”
    Questo vale per tutto non solo per il lavoro. la follia Italiota la pagheremo cara molto cara . Il Paese che ha spazzato via i “professori” per dare posto ” ai ” bidelli” . L’ allegrotta misera mentalità provincialotta che guarda a malapena si e no all’misero orto di casa.
    ” Di conseguenza, molti esperti (tra cui il sottoscritto) rinunciano in partenza..” però la diga a questa deriva doveva venire proprio da voi intellettuali

  3. I punti sono centrati, anche le risorse umane che lavorano nei centri per l’impiego devono essere aggiornate e preparate, ma anche avere lo spirito del servizio pubblico, le competenze trasversali, oltre a quelle cosiddette “hard” (normative, economiche e sociali) necessarie per interagire attivamente con i soggetti coinvolti

  4. Vittorio

    Non un numero sull’efficacia di questi centri, a leggere i vari forum online dei fruitori dei Jobcenter inglesi si capisce bene che siano inutili quanto quelli italiani, ridipingerli e ristrutturarli serve a poco, sarebbe meglio dare 10000€ a disoccupato, farlo trasferire altrove e può iniziare a lavorare si risparmierebbero soldi su funzionari annoiati e scorbutici degli uffici pubblici che invece potrebbero essere reimpiegati per far emergere il lavoro nero. Dall’altro lato sostengo l’idea dell’autore di rendere questi servizi centralizzati e non fare dell’Italia un regno medievale fatto di staterelli indipendenti che non comunicano tra loro.

  5. Carlos

    Buongiorno, ottimo l’articolo. Se ne parla da almeno un decennio di “one-stop-shop”, alcune regioni hanno provato a farlo, stringendo collaborazioni con l’INPS locali e i Comuni.
    Ma il tentativo è rimasto tale perché l’integrazione deve essere fatta a livello centrale e perché si tratta di progetti che vanno a scadere con la scadenza della legislatura.
    In merito ai professionisti “non para-burocrati”, qui il problema non è solo nazionale ma anche delle parti sociali. Un “esperto dei servizi per il lavoro” deve avere un profilo riconosciuto, dato da competenze multidisciplinari. Che possa inserirsi tanto nel pubblico quanto nel privato. Ma deve essere in un quadro contrattuale specifico su cui costruire formazione (anche universitaria) e soprattutto le prove di concorso. Finché non avviene questo, i concorsi pubblici continueranno ad avere come baricentro il diritto amministrativo. Ad esclusione delle regioni dotate di una Agenzia strumentale e autonoma. Anche in questo caso, tuttavia, è l’autonomia dell’Agenzia, e non una norma più “universale”, che ha creato i presupposti per il riconoscimento di questi professionisti.
    Davvero non si capisce perché l’Anpal sia stata abrogata. Chiaro che averla è un vantaggio, ma bisogna farla lavorare in modo continuativo e con grandi investimenti. Ma su questi argomenti l’impressione è che non ci siano tanti rappresentanti dell’economia e della politica che abbiano davvero una idea di sistema integrato delle politiche attive.

  6. Tania L. Gobbett

    Salve, trovo molto interessante la questione e riportò alcune esperienze: ho lavorato in Gran Bretagna, in effetti prima di tutto occorre dire che una volta erano piuttosto uguali i Job Center ai nostri Centri dell’impiego. Tuttavia non so se il Job Center sia pubblico né se può riconoscere i diritti dei lavoratori sia pubblici che privati. Tenendo conto che le deleghe assolute dovrebbero provenire dal Capo dello Stato, queste tuttavia, dovrebbero essere regolate da medesimi principi amministrativi costituzionali.
    La cosa significativa era data dal loro controllo della domanda effettiva di personale in modo che il lavoratore potesse subito essere profilato dallo sportello. Quindi a Londra, ma a dire il vero non ricordo bene in Italia, erano loro a fare il contatto telefonico e il lavoratore a quel punto doveva rispettare la chiamata, l’ordine di servizio e dichiarare di essere disponibile a raggiungerlo in caso contrario sarebbe stato necessario riaccedere alla profilazione dati. Io lo trovo un metodo attivo e direttivo e mi piaceva perché l’autorevolezza del Centro dell’Impiego offriva anticamera necessaria all’incontro con il datore di lavoro.
    Ho purtroppo la vaga impressione che i sindacati abbiano spostato questo fondamentale ruolo istituzionale senza certezza che sia poi rispecchiata la costituzionalità che invece cinge il ruolo del Centro dell’Impiego. Questo ha diverse dimensionalità, oltre ad assistere le persone, fa loro tramite per i corsi disponibili e offre indirizzi ma non ha più attualmente la struttura che aveva anni fa di intercessione.
    Io credo che una riforma sia necessaria – i sindacati ospitano corsi, i sindacati vanno ai processi e non perché li vogliamo, non sembra più infatti esserci quella funzione connessa con il mondo in cui viviamo realmente. Con questo non voglio dire che siano superflui. Ma non sono pratici, è come se il loro distacco funzionale impedisse loro di prendere sul serio le cose, si comportano in modo strampalato, urlano, fanno versi, evitano di verificare la realtà e ciò viene omesso dai verbali, cosa che chi opera con il concetto di autorevolezza non si sognerebbe mai di fare. Sono certa che per tornare allo Stato di diritto occorra rivolgersi allo Stato di diritto e non a dei consulenti esterni. I sindacati dovrebbero mediare per restituire il lavoro, fare in modo che il datore di comporti correttamente, testimonino i fatti. Non servono a nulla se trattano le persone per il mero ricavo spettante all’attenzione ai processi, li vorrei più audaci nel denunciare le violazioni di diritto, persino quando vengono dall’alto. Questo perché c’è differenza tra essere da soli a subire qualcosa o avere un tutor presente che sa ascoltare e un sindacato che legge le relazioni di parte e le tue e può minacciare di andare al TAR. Inoltre se la PA non rispetta i giudici e si comporta come se violassero la loro autonomia, forse un sindacato a quel punto dovrebbe poter denunciare lo stadio di conflitto di interesse e pretendere che non sia reso fumo persecutorio verso il lavoratore ingiustamente e illegittimamente sospeso e licenziato. È ora che ognuno abbia il suo ruolo. Io credo che anche il Centro dell’impiego potrebbe assistere alle conciliazioni o ancora prima fare da tutor ai dipendenti specialmente se sottoposti a tutele e dovrebbe presenziare le convocazioni del pubblico impiego. L’organicità della ricerca del lavoro quando passa per questi uffici non dovrebbe disperdere le direttive su cui si poggia il rapporto tra formazione e inserimento lavorativo. Ci sono persone in Italia che han fatto cento lavori diversi e ora senza dare alcun rispetto di queste accidentalità qualcuno vorrebbe non solo poterle distorcere a piacimento ma anche armonizzare tale follia in ogni servizio, impiego, diritto, etc. rendendo le vittime il loro stesso incubo e gettando su di loro ogni colpa. Bene, non concordo: chi tira troppo la corda e si sfoga sui lavoratori facendo loro perdere la prospettiva di vita non dovrebbe essere aiutato a farlo. Dovrebbe vedersela con lo Stato. Qualunque Dirigente, dovrebbe vedersela con esso e soprattutto se è esso/a stessa ad aver perpetrato disagi inutili. Cosa basterebbe fare: multare i Dirigenti, censurate scritti resi falsamente, sospenderli fino ad un anno o oltre, far fare a loro un po’ di servizio socialmente utile giudiziario, tipo almeno tre mesi. E se non ritrattano entro una settimana una falsa dichiarazione scritta volta a pubblico ufficiale, sospenderli per almeno due anni e verificare se sono capaci. Le leggi esistono solo che a qualcuno fa comodo raggirarle o sganciarle dai loro obblighi istituzionali con misure improponibili.
    Può darsi che essere frammentari in sé sia un pregio – permette di vedere gli interstizi, gli incipit e gli exit in cui ci sono state violazioni dei diritti dei lavoratori ma anche confusione, plagio, distorsione, distrazione di beni. Provando a fare un’inchiesta a scuola su cose simili per brogli sui testi da far acquistare agli alunni, la Dirigente ha scritto che mendicavo attenzione. Ma lei non doveva verificare gli ordinativi dei dipartimenti? Quindi senza veri sindacati, senza poter parlare con qualcuno nel Centro dell’Impiego o nella PA corrispondente, senza un mediatore anti truffa – siamo come naufraghi in mare senza alcuna colpa e non potremo migliorare il nostro lavoro né concorrere, da morti.

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