Una comunicazione della Commissione europea consente di finanziare gli interventi in ritardo di attuazione dei Pnrr attraverso le risorse della coesione. Per il nostro paese si tratta di un’opportunità che porterebbe vantaggi anche per i programmi Fesr.
Tempi stretti per attuare il Piano
Il 2025 rappresenta uno snodo centrale per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Su lavoce.info è già stato sottolineato come si restringano sempre più i tempi tecnici per una sua riformulazione che porti a riprogrammare le risorse relative a interventi in ritardo attraverso fondi o strumenti finanziari con un orizzonte temporale più esteso.
È presumibile che i nuovi strumenti finanziari riguarderanno misure di agevolazioni alle imprese o di investimento con formule di partenariato tra pubblico e privato, per le quali gli obiettivi posti dalla Commissione europea sono di più facile realizzazione.
In ogni caso, come già per la riformulazione del Pnrr del dicembre 2023, tenderà a riproporsi il tema di come rifinanziare gli interventi esclusi dal Piano per fare spazio alle nuove misure, dal momento che si tratta di investimenti per i quali, sia pure in ritardo, è già in corso la fase attuativa.
Lo scorso anno il rifinanziamento degli interventi esclusi fu realizzato attraverso il decreto legge “Pnrr quater”, ricorrendo a coperture a carico di risorse nazionali già destinate ad altre spese in conto capitale.
Operazioni di questo tipo indeboliscono la natura addizionale delle risorse europee. Pertanto, per la nuova riprogrammazione potrebbe essere utile sfruttare un’importante opportunità offerta dalla recente comunicazione della Commissione europea relativa al riesame intermedio dei Programmi della coesione.
La comunicazione della Commissione
La proposta della Commissione europea prevede che i progetti del dispositivo per la ripresa e la resilienza (Rrf) a rischio di non essere completati entro l’agosto del 2026 possano essere presi in considerazione per un finanziamento da parte del Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr), a condizione che gli stati membri procedano alla loro identificazione entro il mese di giugno 2025.
La possibilità di ricorrere alle risorse della coesione per finanziare interventi del Pnrr rappresenta un capovolgimento dell’approccio programmatorio originariamente individuato dalla Commissione, ribadito anche nelle raccomandazioni specifiche all’Italia del 2023.
Questo approccio tendeva a mantenere distinti Fesr e Pnrr dal punto di vista amministrativo, per evitare rischi di “doppio finanziamento” e così da ritagliare per i fondi della coesione, in virtù del loro più esteso orizzonte temporale (dicembre 2029), un ruolo di complementarità rispetto al dispositivo di ripresa e resilienza (Rrf) per proseguire e consolidare le azioni in esso previste anche dopo il 2026.
Con la recente comunicazione, la Commissione prende atto dei problemi attuativi dei Pnrr e consente che le risorse della coesione possano essere utilizzate per evitare il definanziamento degli interventi dei Pnrr in ritardo, secondo modalità analoghe ai “progetti retrospettivi”, usualmente utilizzati per conseguire i target di spesa, e senza, pertanto, alcuna ambizione di sinergia e complementarità.
La sensazione è che, al pari di quanto sempre avvenuto per le politiche di coesione, anche per il dispositivo di ripresa e resilienza i problemi e i ritardi di attuazione delle fasi finali tendano a determinare una “convergenza di interessi” fra Commissione europea e stati membri affinché tutte le risorse siano spese e tutti gli interventi siano comunque realizzati.
Di qui la disponibilità della Commissione sia nel consentire l’utilizzo di strumenti e veicoli finanziari che non garantiscono se e quando le risorse a essi conferiti genereranno investimenti, sia nell’assimilare gli interventi dei Pnrr ai progetti retrospettivi, per evitare i feedback negativi di un definanziamento degli investimenti originariamente previsti nei Piani.
Perché è un’opportunità per l’Italia
A ben vedere, la possibilità di riversare sui fondi europei per la coesione il finanziamento degli interventi originariamente previsti a valere del Pnrr era già stata presa in considerazione dal governo italiano nella originaria proposta di riprogrammazione inviata alle Camere nel luglio 2023.
A quel tempo, tuttavia, si trattava di traslare interventi predisposti antecedentemente alla loro inclusione nel Pnrr (i cosiddetti progetti in essere) e che pertanto presentavano non risolvibili difficoltà nel soddisfare le condizionalità relative alle modalità di rendicontazione richieste a livello europeo e al principio del “non arrecare danno significativo” (Dnsh).
Oggi, invece, si tratterebbe di finanziare progetti “nativi” del Pnrr e che quindi dovrebbero essere stati strutturati sin dall’origine secondo procedure coerenti con i requisiti richiesti dai regolamenti europei.
Per quanto riguarda l’Italia, alla maggiore compatibilità degli interventi con le regole della coesione, si aggiungono i ritardi attuativi che non interessano solo il Pnrr, ma anche tutti i programmi cofinanziati dal Fesr, con percentuali di impegno e spesa inferiori, rispettivamente, al 15 e al 5 per cento (tabella 1).

Il limitato grado di implementazione garantirebbe pertanto elevati spazi per ospitare gli interventi in ritardo del Pnrr.
In conclusione, la comunicazione della Commissione potrebbe rappresentare una interessante opportunità per l’Italia, perché consentirebbe di non ricorrere a coperture nazionali per rifinanziare i progetti Pnrr esclusi perché in ritardo. Una situazione che rischierebbe di drenare risorse da altri capitoli di spesa in conto capitale, vanificando così il carattere addizionale del Pnrr. Allo stesso tempo, le sponde dei progetti rinvenienti dal Pnrr, che sono già individuati e in fase di realizzazione, potrebbero aiutare l’attuazione dei programmi Fesr, anch’essi in difficoltà.
Ad esempio, riprendendo un caso ben noto, gli investimenti in ritardo del Pnrr che riguardano la realizzazione degli asili nido potrebbero essere finanziati a valere sia dei programmi regionali sia del Programma nazionale per la scuola, rafforzando la dotazione finanziaria dell’obiettivo specifico Fesr “Infrastructure for early childhood education and care”, che attualmente non va oltre i 479 milioni di euro.
Se si vorrà cogliere questa opportunità, appare necessario un forte impulso e coordinamento nazionale in merito alle proposte di revisione che le varie autorità di gestione dei programmi dovranno presentare, soprattutto per i progetti a titolarità regionale, le cui autorità politiche potrebbero essere restie a riprogrammazioni dettate da esigenze di finanza pubblica.
* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire all’autore e non investono la responsabilità dell’istituzione di appartenenza.
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Savino
Sono due programmazioni diverse, entrambe snobbate dalle entità pubbliche italiane. Il PNRR doveva renderci resilienti in alcuni aspetti strutturali dopo l’era covid e veniva indirizzato per favorire la next generation. I fondi di coesione nascono per potenziare le aree depresse e periferiche dell’UE, che sono via via mutate con l’allargamento dell’Unione, soprattutto verso est, molto probabilmente toccava soprattutto alle Regioni presentare progetti efficaci per essi.
Niccolo Cusumano
Con il piccolo problema che il FESR è un programma regionale e sono le regioni a decidere e negoziare, il livello di impegni mostra grandi divari regionali, il FESR ragiona a logica invertita in termini di allocazione territoriale nord sud e che molte cose che al sud si riescono a finanziare al sud al nord no per problemi di concentrazione tematica. Visto che tanto le risorse in gioco che si rischiano di perdere sono di fatto limitate ad al massimo due rate, che ci son 14 miliardi di progetti PNRR per cui non esiste manco l’avviso di selezione o atto equivalente, sarebbe forse più semplice dire che le somme equivalenti finiranno su PNC e FSC anziché impelagarsi in tediose negoziazioni con la CE e le Regioni