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L’errore di non investire in istruzione e cultura

Il Rapporto Istat 2025 conferma che il grado di istruzione e cultura è cruciale per la qualità della vita, come mostrano gli indicatori su reddito e salute. In Italia, però, si investe poco e spesso male in entrambi i settori. I rischi per la democrazia

Istruzione e cultura nel Rapporto Istat 2025

Era facilmente prevedibile che il Rapporto Istat 2025 sulla situazione del paese, presentato mercoledì 21 maggio in Parlamento, raccogliesse l’interesse (non sempre equanime e terzo) del mondo dell’informazione soprattutto per i dati e gli indicatori di natura economica: lavoro e occupazione, salari e prezzi, produttività.

Ci sono però molte altre letture possibili. Riprendo alcuni passaggi letterali del Rapporto per ricostruirne un’altra fra le tante: a) “L’incidenza della povertà assoluta diminuisce sensibilmente al crescere del livello di istruzione della persona. (…). La povertà colpisce il 13 per cento delle famiglie con bassa istruzione, ma scende al 4,6 per cento tra quelle con almeno un diploma”; b) “la dispersione scolastica resta elevata (9,8 per cento) e colpisce in modo più marcato chi proviene da famiglie con basso livello di istruzione”; c) “le competenze digitali sono fortemente associate sia all’età sia al livello di istruzione”; d) “nel 2021, ultimo anno con informazioni disponibili per livello di istruzione, in Italia si osserva un forte gradiente per titolo di studio nella mortalità sia prevenibile sia trattabile, con tassi più alti per le persone con livello di istruzione più basso”.

In estrema sintesi, potremmo dire che il grado di istruzione e cultura è un discrimine ineludibile per la messa a fuoco di qualsiasi indicatore di qualità della vita, a cominciare da salute e reddito, ossia le due variabili che per definizione costituiscono l’architrave di una esistenza dignitosa. Quindi, contraddicendo un incauto ministro di qualche anno fa, si può ripetere in tutta certezza che con cultura e istruzione non solo non è vero che non si mangia, ma c’è più diffuso benessere economico, si esercitano meglio i diritti di cittadinanza nell’ecosistema digitale e si vive più a lungo e in modo più dignitoso.

Ne discende che scelte di policy e investimenti a favore dell’istruzione (a tutti i livelli) e della cultura, dovrebbero essere in cima a ogni agenda politica. E invece il nostro paese continua a investire poco (e forse anche maluccio, in termini di selezione degli interventi e di visione prospettica) su entrambi i fronti.

La spesa per il sistema scolastico e i servizi culturali

Sulla spesa per la valorizzazione e il sostegno dei servizi culturali strettamente intesi (come teatro, musica, libri, giornali e altro), i dati Eurostat 2022 (si veda Minicifre della cultura, edizione 2024, pag. 204) confermano che l’Italia occupa gli ultimi posti nella Ue a 27 quanto a percentuale sul totale della spesa pubblica. Per intenderci, e per quanto i dati siano solo parzialmente comparabili in ragione di una certa variabilità dei parametri, in Francia si spende più del doppio, in Germania quasi il triplo.

Per quanto riguarda invece gli interventi più propriamente a favore del sistema scolastico a tutti i livelli (asili nido, edilizia scolastica, mense, tempo pieno, didattica, formazione, ricerca, partenariati) mi è già capitato di sottolineare che non si sta sfruttando tutto il grande potenziale del Pnrr e che, come studi e ricerche si incaricano di dimostrare, scontiamo un ritardo consistente sia in termini di capacità di spesa, sia sotto il profilo della sua efficace ed equilibrata distribuzione per obiettivi e per territori.

En passant, siamo un paese (ventiduesimo nella Ue a 27) in cui oltre la metà della popolazione adulta è priva di competenze digitali di base idonee a consentire un pieno esercizio dei diritti di cittadinanza (Rapporto Istat 2025, pag. 82).

E per chiudere, dati peraltro noti da tempo, restiamo un paese i cui consumi culturali (vedi ancora Minicifre della cultura 2024, su dati Istat 2023) fotografano un’Italia a consumi culturali zero per larghe fasce di popolazione: sei cittadini adulti su dieci non leggono un libro, e va peggio se si esclude dal calcolo l’editoria scolastica e per ragazzi; otto su dieci nell’anno non vanno mai a teatro o a un concerto; per non dire della musica classica ignorata da oltre il 90 per cento della popolazione.

A quest’ultimo riguardo sarebbe forse opportuno provare a riflettere seriamente sulla ipotesi – che da anni e periodicamente ritorna nei refrain di politici di ogni colore, con qualche proposta di legge anche presentata in Parlamento – di spingere tali consumi (un incentivo, non certo la soluzione) attraverso la deducibilità dal reddito delle spese per cultura.

Ma naturalmente le soluzioni necessarie sono quelle strutturali e di lungo periodo. Un paese che progetta di investire oltre 13 miliardi di euro per il Ponte sullo Stretto (ne ho già scritto su lavoce.info) e che si accinge – per ragioni di carattere geopolitico largamente indipendenti da una scelta politica endogena – a moltiplicare le proprie spese militari, deve trovare le quadre giuste per rivedere integralmente le proprie politiche finanziarie a beneficio di scuola, cultura e istruzione.

Non farlo, ignorando i trend che al riguardo ci vedono arrancare in Europa su tutti gli indicatori rilevanti, significherebbe condannare quote crescenti di popolazione (in primo luogo gli anziani e le generazioni oggi in età scolare) a una condizione di marginalità e di analfabetismo funzionale che ne avvilisce lo status di cittadino e ne riduce la capacità di esercitare pieni diritti. E questo è un problema per la stessa tenuta, in Italia e in Europa, di una democrazia troppo a lungo data per scontata, e che appare oggi fragile come non mai.

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Dieci grafici sul Rapporto Istat

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Legge di bilancio Usa: la “grande bellezza” che può risolversi in disastro

  1. Savino

    In Italia e per l’opinione degli italiani tuttologi è l’esatto contrario. Basti guardare i dati sugli affitti ai giovani nelle grandi città per capire che gli italiani sbagliano, che bisogna, invece, aiutare le giovani generazioni, in particolare se altamente scolarizzate, nell’ottenere miglioramento delle proprie condizioni di vita. Gli italiani adulti hanno già deciso da almeno 3/4 decenni di lasciare giovani e laureati in condizioni di marginalità e di isolamento sociale. Non è un fenomeno spontaneo, ma artato da una società egoista e da una mentalità vecchia.

  2. Stefano Monoscalco

    L’ analfabetismo funzionale -che può manifestarsi anche in soggetti con apprezzabili livelli di cultura – è un problema serio, molto serio, come giustamente evidenzia e sottolinea l’autore. Ma il ricorso all’ aumento della spesa credo possa essere solo uno dei possibili strumenti per affrontare la questione, . Strumenti che devono però – come chiaramente indicato in questo lavoro del dr. Bruno – essere affiancati da altri interventi. Interventi non facili da individuare, ma senza i quali si finisce – data la struttura e le regole della nostra organizzazione amministrativa – per utilizzare con scarsa efficacia le (sempre più rare) risorse pubbliche. E’ ovvio comunque che queste risorse sarebbero certamente meglio utilizzate in questo contesto che in quell’inutile e dannoso Ponte sullo Stretto

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