Entro giugno 2026 devono essere attuate tre direttive Ue che riguardano il lavoro delle donne. Su questi temi si potrebbe ricostruire l’unità sindacale, per garantire una trasparenza salariale che potrebbe aprire una nuova fase del diritto antidiscriminatorio.

Le tre direttive

Per una casuale congiuntura, a giugno 2026 scadranno ben tre direttive in tema di parità di genere: due, gemelle, sono relative al rafforzamento degli organismi di parità (la n. 1499/2024  e la n. 1500/2024); la terza è volta a consolidare la parità retributiva tra uomini e donne (la n. 2023/970).

Le prime due direttive intendono consentire agli organismi per la parità presenti in tutti gli stati membri di fornire assistenza indipendente alle vittime di discriminazione, condurre inchieste indipendenti, pubblicare relazioni indipendenti e formulare raccomandazioni e pareri sulle questioni connesse a tali discriminazioni imponendo agli stati membri l’obbligo di fornire le risorse, le strutture e le competenze per garantire agli organismi il loro funzionamento.

La terza direttiva si propone invece di promuovere la parità retributiva grazie alla trasparenza salariale che consentirà di confrontare le retribuzioni percepite da lavoratrici e lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. Beneficia delle direttive gemelle in quanto, per la sua effettività, affida importanti compiti agli organismi preposti alla promozione della parità.

Come si deve promuove la parità

In Italia oggi la funzione di vigilare sull’effettiva parità e non discriminazione di genere nel lavoro è svolta dalle consigliere/i di parità nazionale, regionali e delle città metropolitane, le quali agiscono in collaborazione con gli uffici territoriali del lavoro e le organizzazioni sindacali, possono intervenire nei giudizi in materia di discriminazioni in veste di parte o di amicus curiae (art. 37 del Dlgs n. 198/2006) e vigilano sull’effettiva parità e non discriminazione di genere nel lavoro. Il finanziamento di questi organismi è fornito dal ministero del Lavoro, con fondi ordinari ed europei.  Hanno autonomia funzionale, ma sono nominati con decreto ministeriale – e dunque possono essere in qualsiasi momento revocati – su proposta delle regioni o delle province.

In altre parole, in Italia, come del resto in altri stati membri, non è pienamente garantita a questi organismi l’autonomia necessaria per un loro funzionamento efficace.

Per altro verso, l’assenza di linee-guida europee precise e vincolanti ha indotto ogni ordinamento ad agire con piena discrezionalità, facendo registrare differenze significative in termini di mandato, competenze, strutture, risorse e funzionamento operativo, reclutamento, priorità. La totale autonomia legislativa ha determinato disarmonie, disomogeneità e livelli diversi nella protezione contro le discriminazioni all’interno dell’Unione.

Le direttive gemelle del 2024, fissando alcune norme minime per il funzionamento degli organismi per la parità, obbligano gli stati membri a garantire che siano indipendenti e liberi da influenze esterne anche politiche; a fornire agli stessi le risorse umane, tecniche e finanziarie necessarie per svolgere i loro compiti; a metterli in condizione di prevenire la discriminazione e promuovere la parità di trattamento e le azioni positive.

Assai rilevante è anche la disciplina volta a garantire l’assistenza alle vittime. Gli organismi per la parità devono poter ricevere le denunce; garantire la consulenza anche a distanza; offrire servizi per promuovere un’azione giudiziaria in proprio o per conto della vittima, avvalersi di sistemi d’intelligenza artificiale per lo svolgimento del loro lavoro. In base alle direttive gemelle, gli stati membri devono favorire la risoluzione extragiudiziale delle controversie più rapida ed economicamente accessibile. A questo fine gli stati stessi possono affidare agli organismi per la parità il potere di adottare decisioni vincolanti. Per evitare ritorsioni, gli organismi per la parità possono inoltre agire in giudizio come parte o per conto della vittima. Tutte queste attività dovranno essere rafforzate dalla legge italiana e opportunamente finanziate in modo stabile e duraturo.

Ultima chiamata per la parità retributiva uomo-donna

Anche la direttiva n. 2023/970 prevede compiti specifici affidati agli organismi per la parità per la riduzione del gender pay gap attraverso la trasparenza retributiva. È proprio sotto l’aspetto della tutela delle vittime che la combinazione fra le tre direttive può dare i risultati migliori. La direttiva n. 2023/970 obbliga gli stati membri a combattere il divario retributivo di genere rendendo più chiari i sistemi retributivi sia prima dell’assunzione sia durante lo svolgimento del rapporto di lavoro. Ai lavoratori, ai loro rappresentanti sindacali e agli organismi di parità la direttiva sulla trasparenza retributiva riconosce il potere di rilevare i dati sui livelli retributivi, sui criteri utilizzati per la determinazione della retribuzione e sulla progressione economica dei lavoratori occupati da ciascun datore di lavoro, pubblico o privato.

Ma senza risorse adeguate anche su questo versante, cruciale per l’effettività del superamento delle disparità di trattamento, le consigliere di parità resteranno alla finestra.

Meccanismi sanzionatori incerti e regime probatorio

Poco chiari sono i meccanismi sanzionatori previsti dalla legislazione Ue nel caso di violazione dell’obbligo di trasparenza salariale. La direttiva 970 (art. 28) riconosce agli organismi di parità la competenza per “le questioni che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva”. E rinvia agli stati membri i meccanismi volti a garantire la cooperazione e il coordinamento tra le parti sociali e gli ispettorati del lavoro in materia di parità retributiva. Poiché la prova della discriminazione è assai difficile, la direttiva suggerisce d’invertire a carico del datore di lavoro l’onere della prova circa l’insussistenza della discriminazione retributiva. E prevede anche l’obbligo di ordinare la divulgazione delle prove che contengono informazioni riservate, se necessarie per la decisione del ricorso; rinvia però agli stati membri le modalità della divulgazione. Anche sulla decorrenza della prescrizione opera un rinvio alla legislazione nazionale. Sulle spese legali vi è invece la sollecitazione a non farle pagare alla vittima che abbia perso la causa, per evitare che il rischio delle spese di lite conseguenti alla soccombenza operino come deterrente dall’agire in giudizio.

Rafforzare la struttura degli organismi di parità potrebbe essere una battaglia unitaria delle organizzazioni sindacali chiamate a dare attuazione alla direttiva n. 2023/970, nella quale compare un articolo dedicato al dialogo sociale (art. 13) e uno che riconosce agli stati membri la facoltà di affidare alle parti sociali l’attuazione della direttiva (art. 33). Garantire la trasparenza salariale potrebbe aprire una nuova fase del diritto antidiscriminatorio nella quale gli organismi di parità opportunamente rafforzati e le rappresentanze sindacali possano convergere nella lotta alle discriminazioni e, in particolare, a quella salariale anche negli appalti pubblici e nelle imprese operanti in regime di concessione.

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