Consentire alle persone di decidere con chi vogliono collaborare permette di migliorare i risultati, in azienda e altrove. Con gruppi di lavoro più equilibrati per genere, le donne lavorano con altre donne solo se desiderano davvero farlo.

Le quote rosa e la competitività delle imprese

Dagli anni Settanta, l’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro ha cambiato la demografia del contesto lavorativo. In diversi paesi sono stati introdotti provvedimenti per favorire l’inserimento e l’integrazione delle donne in specifici segmenti del mercato del lavoro; l’esempio più noto è quello riguardante le quote di rappresentanza di genere, le quote rosa. In Norvegia, nel 2002, il governo decise di introdurre una legge sul gender balance, che ha portato ad avere nel 2008 un 40 per cento di donne nei board delle società quotate, rispetto al 6 per cento del 2002. Sull’esempio della Norvegia, altri paesi hanno varato provvedimenti simili: in Italia, nel 2011, è entrata in vigore la legge Golfo-Mosca (L 120/2011), che ha imposto alle società quotate con il consiglio di amministrazione o i collegi sindacali in scadenza di rinnovare i propri organi sociali riservando alle donne una quota pari ad almeno un quinto (al secondo e al terzo rinnovo, invece, si sale a una quota pari a un terzo dei membri dei Cda). Nel 2019 la legge è stata prorogata e rafforzata, imponendo che le quote rosa nei Cda delle società quotate salissero al 40 per cento.

Le grandi società non sono l’unico campo di applicazione di simili misure. Si è infatti cercato di introdurre una maggiore rappresentanza femminile anche nei partiti politici e in altri contesti della società che prevedono dinamiche di gruppo. Perché queste azioni siano efficaci, però, è necessario capire come la composizione di genere influenzi le dinamiche e le performance di un gruppo di lavoro. Uomini e donne, infatti, hanno una diversa propensione al rischio e alla competizione, un approccio diverso alla negoziazione e una diversa capacità di captare segnali non verbali: tutte queste differenze possono influenzare il modo di interagire e relazionarsi.

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In un articolo del 2012, pubblicato su Management Science, Apesteguia e coautori hanno riportato i risultati di un esperimento condotto dividendo alcuni studenti universitari in gruppi di tre. Dallo studio emerge che i gruppi composti da tre donne avevano performance significativamente peggiori di quelle dei gruppi misti o composti da soli uomini. Nel 2013 Hoogendoorn e coautori, usando un business game simile, ma con gruppi di sei studenti, evidenziarono che le performance dei gruppi diminuivano al crescere della presenza femminile nel gruppo.

Risultati simili potrebbero essere strumentalizzati nel dibattito sul gender gap all’interno del mercato del lavoro, fornendo argomentazioni a supporto di posizioni contrarie a correggere il mercato con azioni positive come quella delle quote, sostenendo che tali provvedimenti darebbero luogo a un mercato meno efficiente.

Ma è vero che le donne lavorano peggio con altre donne?

Molti degli studi che analizzano il comportamento di gruppi con composizioni di genere diversi sono condotti in situazioni in cui i soggetti non hanno la possibilità di scegliere con chi lavorare. È il caso, ad esempio, dei due studi citati sopra. Come cambia invece la resa individuale e di gruppo quando ciascuno è libero di scegliere se lavorare con donne o con uomini?

In un nostro studio recente, abbiamo condotto un esperimento con 1.038 studenti particolarmente talentuosi di scuola media superiore, iscritti a un programma di matematica. Nell’esperimento abbiamo diviso gli studenti in due gruppi: il primo è stato costituito assegnando nel primo, abbiamo assegnato gli studenti a squadre con diverse composizioni di genere; nel secondo gruppo abbiamo invece lasciato che gli studenti fossero liberi di comporre le squadre da soli. Gli studenti si sono trovati a dover lavorare in squadre composte da sei membri, per tre giorni consecutivi. La domanda cruciale a cui lo studio prova a rispondere è proprio se la possibilità di scegliere se lavorare con maschi o femmine abbia un impatto sulla dinamica e la qualità del lavoro, intesa come performance di squadra.

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Dallo studio emerge che quando i soggetti sono liberi di scegliere con chi lavorare, mostrano una preferenza per le squadre a predominanza maschile. Tuttavia, i risultati mostrano anche che le squadre a predominanza femminile hanno prestazioni inferiori solo quando sono formate dall’esterno, mentre le differenze scompaiono quando sono le donne stesse a scegliere di lavorare in squadre a prevalenza femminile. Queste differenze nelle prestazioni riflettono differenze nello stile di lavoro dei team e nella percezione del proprio contributo rispetto agli altri componenti. Le donne a cui viene imposto di collaborare mostrano una minor propensione a specializzarsi in un’attività e a dichiararsi più talentuose rispetto agli altri. Sembrerebbe quindi che le donne abbiano una minor stima delle proprie capacità, ma nel caso in cui scelgano di lavorare con altre donne, quest’aspetto non costituisca un ostacolo alla loro produttività.

Manager, educatori, politici che desiderino migliorare i risultati e ridurre le differenze tra gruppi con varie composizioni di genere dovrebbero quindi consentire alle persone di decidere con chi vogliono collaborare.

Ciò implicherebbe che si formino gruppi di lavoro più equilibrati per genere, dove i maschi traggono vantaggio dalla presenza femminile e le donne lavorano con altre donne solo nel caso in cui esprimano una reale preferenza a farlo.

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