Bisogna fare chiarezza sui costi di costruzione, manutenzione e gestione del ponte sullo Stretto. Altrimenti, c’è il rischio che a pagare siano i contribuenti. E che ne facciano le spese altri investimenti, più utili per colmare il divario Nord- Sud.
Il progetto del ponte sullo Stretto
Il ponte sullo Stretto è un’opera di cui si parla da quasi un secolo e la questione emerge puntualmente in ogni legislatura, con la maggioranza che in genere preme per la sua realizzazione e la minoranza che si oppone. Si rivendica il beneficio dell’opera per le realtà locali che si concretizzerebbe, con stime che secondo alcuni sarebbero discutibili, in abbattimento dei costi e tempi di trasporto per i traffici commerciali, convenienza per molte attività imprenditoriali a situarsi in Sicilia (l’idea è che prima non lo avrebbero fatto per l’assenza del grande collegamento), maggiore comodità per i cittadini che potrebbero passare da una sponda all’altra in minor tempo e soprattutto diminuzione dell’inquinamento.
L’impossibilità di finanziare con capitali privati un’infrastruttura potrebbe essere classificata come tipico fallimento del mercato, a cui può rimediare lo stato, se si ritiene che l’opera possa aumentare il benessere dei cittadini che ne fruirebbero. Sembra essere questa la decisione oggi presa dai nostri politici.
Tariffe e costi di manutenzione
Una volta costruito, però, il ponte avrà bisogno di una manutenzione ordinaria annuale e di una straordinaria da programmare su base pluriennale. La gestione dovrebbe essere affidata alla società Stretto di Messina. È una società a capitale interamente pubblico, dove il socio di maggioranza è il ministero dell’Economia, che dovrebbe attenersi a criteri efficienza ed economicità. Come sarà finanziata la gestione della manutenzione ordinaria e straordinaria? Il ministro Salvini, commentando l’approvazione da parte del Cipess, ipotizzava pedaggi pari a 10 euro per le auto. Successivamente Pietro Ciucci (amministratore delegato della società) ha sostenuto che le tariffe sarebbero state attorno ai 4 euro per le moto, 7 euro per le automobili e 10 per i camion. Il Centro studi Unimpresa parlava di 10 euro per le auto e 20 per camion. Insomma, una gran confusione.
Se teniamo buona, in via cautelativa, l’ipotesi dei 10 euro per le auto e 20 euro per i mezzi pesanti, ipotizzando volumi pari a due milioni di auto e un milione di camion (i numeri del 2022 sono di circa 1,7 milioni per le auto e 800mila per i mezzi pesanti), i ricavi annui arrivano a 40 milioni di euro. Nello scenario descritto dalla società Sdm, i costi di gestione e manutenzione annuali ammontano a quasi 70 milioni, a cui bisogna aggiungere i costi per la manutenzione straordinaria spalmati su trent’anni, pari quasi 44 milioni all’anno. Il totale fa poco più di 113 milioni all’anno. La tariffa ne coprirebbe il 35 per cento. Il resto dovrebbe essere finanziato con trasferimenti a carico della fiscalità generale. Per evitare l’esborso dei contribuenti, le tariffe dovrebbero aggirarsi mediamente per una sola tratta attorno ai 28 euro per le macchine e 56 per i camion, ben lontane dalle tariffe proposte dalla società Sdm, ma molto simili a quanto si paga oggi per il traghettamento.
I conti fatti dalla società Stretto di Messina
Tuttavia, si afferma che queste tariffe generiche possano garantire il completo finanziamento delle spese di gestione e manutenzione del ponte. Ciò sarebbe deducibile dai dati inclusi nel piano economico finanziario, che però non è pubblico. Gli unici numeri trapelati relativi al piano fanno riferimento a un articolo del Sole24ore di agosto: lì, contrariamente a quanto avvenuto nelle interviste rilasciate sia dal ministro che dall’amministratore delegato della società, si entra nel dettaglio delle tariffe per tipologia di mezzo e, soprattutto, si fanno ipotesi sui flussi di mezzi che passerebbero dal ponte nel 2032 e nel 2062.
I mezzi che attraversavano lo Stretto nel 1991 erano circa 3,8 milioni, nel 1999 si è arrivati all’incirca a 3 milioni e nel 2022 a più o meno a 2,6 milioni. Quindi dal 1991 al 2022 si è registrato un calo di attraversamenti del 46 per cento. Verosimilmente, la tendenza alla diminuzione degli ultimi trent’anni, pur con qualche fisiologica ripresa dal 2011, è dovuta al forte incremento dell’uso del trasporto aereo. Nel piano approvato dal Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) e su cui si è espressa, con vari rilievi, mercoledì 24 settembre la Corte dei conti, il numero di mezzi che si ipotizza attraverseranno il ponte nel 2032 è di oltre 4,5 milioni: una crescita del 71 per cento in dieci anni. È una previsione che richiederebbe qualche giustificazione, visto quanto si è verificato negli ultimi decenni. Fra l’altro, il dato smentisce un documento ufficiale della società Sdm, dove si prevedono, per il 2032, circa 3,6 milioni di attraversamenti.
Ovviamente, nel caso in cui si verifichi la prevista crescita degli attraversamenti, date le tariffe ipotizzate, si riuscirebbe a coprire i costi gestione e manutenzione annui dal 2032 in poi. Tuttavia, se, ad esempio, gli attraversamenti fossero pari a quelli del 2022, sarebbero necessari ogni anno 50 milioni di trasferimenti per garantire la copertura dei costi di gestione e manutenzione. Parte di questa cifra sarebbe assicurata dal contributo di circa 36 milioni delle ferrovie – sono comunque soldi pubblici, non legati alle tariffe. Inoltre, pare che nel piano economico e finanziario sia previsto per il 2062 un incasso di 300 milioni che significherebbe, date le tariffe unitarie ipotizzate, avere attraversamenti di 10,5 milioni di mezzi, ovvero un incremento in trenta anni del 131 per cento rispetto al dato del piano economico finanziario, che salirebbe al 200 per cento se si utilizzasse la stima per il 2032 fornita dai documenti ufficiali della società. Infine, l’incremento sarebbe di circa il 300 per cento rispetto al dato (l’unico certo) del 2022.
Un confronto con il Golden Gate
Le stime fin qui esaminate si basano su dati forniti dalla società Stretto di Messina. Può rivelarsi utile allora una semplice analisi che usi come benchmark un’opera simile come il Golden Gate di San Francisco, ipotesi molto prudenziale visto che il ponte sullo Stretto avrebbe una lunghezza quasi tre volte maggiore. Se ne ricavano costi di gestione e manutenzione che sarebbero pari a circa 200 milioni annui. Nessuna delle tariffe ipotizzate sarebbe sufficiente a coprirli, nonostante la generosa crescita del traffico ipotizzata. Inoltre, se immaginassimo (come sarebbe realistico fare) di parametrizzare i costi del Golden Gate alla reale lunghezza del nostro ponte avremmo una cifra non inferiore a 500 milioni di euro di costi operativi e di manutenzione. Solo esodi biblici dal continente verso la Sicilia e viceversa, superiori anche ai 10,5 milioni previsti per 2062, potrebbero portare al pareggio per i costi di gestione e manutenzione.
Si può legittimamente decidere per la costruzione del ponte, ma la cosa importante è essere chiari e trasparenti sui costi di costruzione, manutenzione e gestione dell’opera, senza farsi guidare dalle sirene elettorali. Altrimenti, il rischio è di incorrere successivamente in spiacevoli sorprese, che potrebbero anche concretizzarsi in una drastica diminuzione di altri servizi e investimenti pubblici di cui invece il Sud avrebbe un disperato bisogno nel processo di recupero del gap infrastrutturale con il Nord. Basta pensare al disastro nella sanità pubblica delle regioni meridionali o allo stato dei trasporti interni e alla rete ferroviaria.
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Savino
Come il titolo del libro di Vannacci, il mondo al contrario, solo che riguarda argomenti molto più importanti e socialmente molto più gravi. Questa politica, di ogni schieramento, ci deve fare il sacrosanto piacere di vedere le cose con gli occhi della realtà. Il sud si sta impoverendo di capitale umano, se ne vanno intere famiglie per necessità di lavoro da parte dei figli adulti laureati e per necessità di assistenza sanitaria da parte dei loro genitori anziani. Non è che manca il ponte, manca l’acqua, mancano le strade che spesso sono ridotte a tratturi, manca in molti casi la ferrovia e quei tratti in cui c’è poche decine di chilometri vengono coperti anche in 6-7 ore.
Un bambino che nasce in alcune zone del sud ha le stesse opportunità di ascensore sociale di un bambino di Gaza o di Kiev o di altre zone di guerra e disagiate. Perchè nessuno vede ciò e si continua a speculare su altre situazioni?
Gaetano
Sono quelli come te che non vogliono il progresso che hanno creato questa situazione!
Savino
Bisogna vedere cosa si intende per progresso e chi ne è il beneficiario.
Se il progresso è fatto di appalti e mazzette è un non progresso.
Catullo
Finalmete un articolo che affronta il tema della manutenzione delle infrastrutture, argomento che sembra invisibile nella maggior parte delle testate. Quando si fa una nuova opera si deve sempre pensare al costo della manutenzione e quanto questa graverà sulle finanze pubbliche. Sembra che qualsiasi opera civile abbia vita secolare ma così non è. Lo abbiamo visto con il caso estremo del ponte Morandi ma dovrebbe essere un argomento presente in ogni programmazione di potenziamento infrastrutturale.
Edoardo Gambino
A proposito del ponte l’ ideale sarebbe non farlo e destinare le risorse per lee varie strutture fatiscenti del Sud dagli ospedali alle strade e ferrovie
Alexx
…Mah…così…a sensazione…l’impatto economico finanziario di questa colossale opera, temo che rischi fortemente di trasformarsi in un clamoroso boomerang, specialmente per le tasche dei contribuenti, che verranno chiamati a ripianare probabilissimi extra costi di costruzione, manutenzione e gestione dell’opera, che nel corso dei decenni si riveleranno indispensabili.
Ugo Buonanno
Il problema a mio parere è ben più ampio. Uno studio recente dell’OCSE afferma che circa il 30% della popolazione italiana adulta è analfabeta funzionale. Significa che sanno leggere e scrivere ma non sono in grado di capire quello che leggono. Parliamo di circa 12-13 milioni di adulti che ahimè sono anche elettori. Se a questi individui si sommano anche quelli che qualcosa capiscono ma votano solo la parte politica che fa i loro interessi (evasori fiscali, organizzazioni criminali, lobby di potere) è evidente che il numero di elettori che riflette e pondera su quanto dicono coloro che vogliono essere eletti, si riduce a pochi milioni. Per questo sono 30 anni che l’Italia è in mano agli sciacalli, sia di destra che di sinistra (questa destra è veramente improbabile ma non dimentichiamo i danni fatti da Renzi, dal Conte 1, il Conte 2 e infine Draghi con quella paranza che ha di fatto consegnato l’Italia ai neo-fascisti). Non credo che riusciamo a venirne fuori, non ci sono proprio le condizioni. L’unica alternativa per chi ha cervello e buona volontà è andare via e lasciare che questo paese affondi con tutte le sue miseri.
La domanda vera è un’altra: dove andare se il mondo dove ancora esiste una democrazia oggi sta scivolando inesorabilmente verso il baratro delle autocrazie illiberali?
Salvatore
Finalmente qualcuno che si è posto il problema del costo della manutenzione del ponte e soprattutto chi pagherà i costi .
Carlo Giulio lorenzetti Settimanni
Gli alti costi di manutenzione costituiscono l’ennesimo argomento contro la realizzazione del ponte.
Ma come ha detto icasticamente un esperto “se un’opera non la puoi testare, allora non la puoi fare”.
Ed è questo il punto dirimente; tutto il resto (costi,utilità ecc.) e’secondario.
Mario
Guadagnare un ora o due per l’attraveramento dello stretto di Messina nei soli periodi noti ben conosciuti come ad esempio natale o periodo di ferroagosto rispetto ai mezzi marittimi di trasporto e’ stato sempre solo e unico slogan fagocitato dai pro ponte quasi in forma ideologica.Se questo è un metodo di approccio valido di affrontare un problema di economia dei trasporti che vede impegnare da parte della comunità una somma ingente di oltre 15 miliardi di euro lascio ad altri ogni considerazione ! Complimenti per gli argomenti riportati puntuali e probabilmente forse anche sottostimati in termini di flussi futuri e di rientro dell’ivestimento fra costi e benefici dell’opera che non sapremo mai e che non vengono mai citati dalla grande stampa .Mi limito a sottoporre un aspetto delicatissimo di rischio catastrofico ,abbastanza verosimile, quello legato ad esempio ad atti di terrorismo con missili o droni contro un obbiettivo facile e poco difendibie in uno scenario di mediterraneo sempre più affollato di forze poco raccomandabili . Mi chiedo se ci sono stati chiesti studi in proposito da parte del Cipess in sede di delibera.
giuliano
manutenzione, ahahahahahahahahahahahahahahahah, molto divertente.
L’analisi tecnica più precisa che ho trovato sul web è questa
https://www.youtube.com/shorts/Xsruq_C6zaA
Giuseppe
Una grossa alternativa al Ponte sarebbe incentivare i collegamenti stradale e ferroviario con gli aeroporti siciliani che, oggi, sono sotto utilizzati e che sono concorrenziali agli scali di Palermo e Catania.
Costerebbe meno, si potrebbe fare un collegamento per cargo. [I prodotti agricoli siciliani arriverebbero in fretta sui mercati del nord Europa e potrebbe essere spediti subito dopo la raccolta].
In un ora di strada si andrebbe dagli aeroporti ,lasciati liberi dal riposizionamento della NATO , ai porti del ragusano ad esempio.
Ci potrebbe essere un interposto per container sua nelle vicinanze dei porti sua a gli aeroporti.
Sarebbe un incremento di produttività,.
Minori tempi e togliere traffico dalla strada e quindi dal passaggio sullo stretto.
Darebbe occupazione.
Darebbe maggiori sbocchi ai prodotti siciliani.
Non ultimo se l’infiltrazione bella costruzione del ponte da parte di organizzazioni illegali oltre a refalie per riciclo di denaro.
Con gli utili di questa riqualificazione degli aeroporti diventerebbe concorrenziale con attori economici spagnoli e greci che arrivano sui mercati esteri con prodotti forzati in tunnel o serre e spesso di qualità inferiore (a mio parere) di quelli siciliani.
In ultimo ricordo che un pendolare di Reggio a Messina , utilizzerete il ponte o continuerebbe ad usare il traghetto?
Oltre al pedaggio avrebbe un costo in carburante per attraversare il ponte, chi può affrontare una maggior spesa di circa 100 150 euro in più rispetto ad ora che ha l’imbarco a quota zero rispetto ai 600 metri del ponte?
IN Italia si parla di costi di manutenzione (che spesso non si fa) e si nascondono cose come il costo dell’ammortamento che non è da considerare perché è un finanziamento pubblico.
In economia esiste la spesa di reintegro e di ammortamento a cui un buon gestore non può sottrarsi perché viene immaginato di rifare l’opera dopo un certo numero di anni e si considera un incremento annuo del costo.
giuliano
Le leggende sono immortali,
non hanno bisogno do manutenzione
Francesco Vassallo
Sembra un articolo più mosso da sentimenti di no ponte che per una obiettiva disamina. Si fa qualcosa per tutti e un ponte unisce, tanto che presso gli antichi Romani era il pontefice massimo ad inaugurare tali opere. Poi ben vengano altre opere, ma se servono servono tutte. Non si può dire alla gente vi diamo l’acqua ma il pane ve lo diamo dopo. Tutto deve esser fatto contemporaneamente e l’uno non esclude l’altro, infatti non e detto che se non si fa il ponte i fondi vertanno spesi in Sicilia, ma piuttosto nelle lande brunose del nord.
Dario
Niente. Come per tutti i viadotti e ponti italiani… quando crolleranno ci si chiederà il perchè…
Piero Rubino
Complimenti per la nota che, facendo tesoro di informazioni ( colpevolmente ) frammentarie, cerca di “fare i conti in tasca” al progetto. Un solo quesito: quando affermate ( in esordio ) l’impossibilità di un finanziamento privato a copertura dei costi ( suppongo del CAPEX ) dell’opera, si tratta di un’assunzione di SdM oppure di un’ipotesi verificata su tariffe di break-even che forse risultano troppo elevate per attivare domanda intra-modale ? Avete provato comunque a calcolare ( anche in forma back of the envelope ) quale sarebbe la durata minima della concessione che renderebbe positivo il VAN ( finanziario ) ?
Enrico
Il 90% del traffico mondiae di merci viaggia su nave e noi pensiamo ancora di costruire un ponte per far passare camion che al massimo portano un paio di container ciascuno contro le migliaia anche di un modesto feeder (ed oltre 20000 per una nave “ultra grande”). Per non parlare degli spostamenti turistici o per lavoro, che costano (e durano) meno con un fly&drive rispetto all’attraversamento di mezza Italia in auto per arrivare al ponte. L’esperienza fallimentare del tunnel sotto la manica dovrebbe aver insegnato qualcosa. Col costo del ponte si potrebbe dotare la Sicilia di trasporti stradali e ferroviari decenti che darebbero un impulso molto maggiore allo sviluppo della regione e di tutto il Sud.
Felix otived
Il costo dela manutenzione di queste opere gigantesche e’ il vero problema. Cosi come il Mose (sommerso, molto meno se esterno). Ce le possiamo permettere? La nota precedente contiene rispostae. Per il Sud, abbandonato e depresso, servirebbe altro. Il ponte puo’ attendere,
Marco Spampinato
L’articolo è molto utile. Purtroppo pochi si soffermano sulla comprensione “macro” dello sviluppo economico e sociale. Questo facilita semplificazioni e previsioni azzardate che possono condurre anche ad errori mastodontici – dai quali nessuno è protetto, perché le nostre capacità razionali sono limitate. La mancata considerazione dei costi di manutenzione è quasi una regola quando si parla di investimenti infrastrutturali. Sembra che il mondo (e nel suo piccolo il Sud d’Italia) possa funzionare sempre allo stesso modo, come negli anni ’60 del secolo scorso (ad esempio). Allora l’idea prevalente era che più si infrastrutturava un territorio e più quel territorio diventava “attrattivo” per investimenti privati. Pochi aggiungono a questa “ricetta minima” informazioni fondamentali come l’espansione economica globale e le sue caratteristiche, la crescita demografica del Sud (allora notevole), il ritardo (allora) nel possesso di nuovi beni durevoli (auto, frigoriferi, etc.), la caduta successiva della tassazione progressiva sul reddito – in tutto l’occidente, a partire dagli anni ’80 -, il conseguente aumento della diseguaglianza economica (diventata endemica e disfunzionale), la straordinaria diversità tecnologica tra allora ed ora. Le file al traghetto degli emigranti che tornano a casa, ai momenti di chiusura di fabbriche e uffici non ci sono più. Chi ha meno di 40 anni non ha mai fatto 8 ore incolonnato dall’autostrada all’imbarco di Villa S. Giovanni (senza aria condizionata). Questo è un passato che non torna (fortunatamente). Probabilmente, se ci fosse stato allora, un Ponte avrebbe potuto ripagarsi la manutenzione con le tariffe per due o tre decenni. Il problema nasce quindi dalla decontestualizzazione dell’investimento (degli investimenti) – dalla difficoltà a pensare il futuro data anche la quantità di incognite (incertezza). Oggi i costi di manutenzione andrebbero contabilizzati anche sulle strade rurali (una strada in più? per chi?), figuriamoci sulle megaopere. Serve “ampliare le reti infrastrutturali” quando la popolazione si riduce inesorabilmente e diventa più anziana? Non sarebbe il momento di dedicarsi solo alla manutenzione e a innovazioni valide sulle infrastrutture esistenti – adattandole alle nuove esigenze?