La definizione dei livelli adeguati di servizio nel trasporto pubblico locale è una buona notizia per l’attuazione della riforma del 2023 e per quella del federalismo fiscale regionale in ambito Pnrr. Resta la modesta portata perequativa del modello.
Perché si continua a usare la spesa storica
In larghissima parte, il Fondo per i trasporti pubblici locali continua a essere ripartito tra le regioni secondo il criterio della spesa storica. Vale a dire applicando le quote dell’anno precedente, eventualmente con piccoli aggiustamenti. La riforma approvata all’inizio del 2023 (decreto legge 176/2022, conv. L n. 6/2023) non è quindi attuata. Quella riforma prevedeva infatti un nuovo sistema basato per metà sui costi standard (Cs) e per l’altra metà sui livelli adeguati dei servizi (Las), con piccoli importi residuali destinati a specifici scopi.
Come si spiega questa situazione? In primo luogo, si spiega con il fatto che a tutt’oggi i Las non sono stati calcolati, mentre una prima stima dei costi standard è stata approvata nel 2018. Solo di recente il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, di concerto con quello dell’Economia e delle finanze, ha elaborato un modello per la loro determinazione. Il decreto ministeriale che lo contiene, attualmente all’esame della Conferenza unificata, costituisce indubbiamente un passo in avanti, ma non è privo di criticità. Il tema è di particolare rilievo perché, nel primo trimestre del 2026, scade la milestone del Pnrr relativa all’“attuazione del federalismo fiscale regionale” (M1C1-119).
Breve storia dei livelli adeguati dei servizi
I Las – livelli adeguati dei servizi – hanno come “antenati” i “servizi minimi”, previsti sin dal trasferimento alle regioni e agli enti locali delle funzioni amministrative in materia di trasporto pubblico locale (decreto legislativo n. 422 del 1997). I Las propriamente detti fanno la loro comparsa con la legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, in attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. Secondo l’art. 8, c. 1, lett. c), nel determinare la spesa per il Tpl, si doveva tener conto “della fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale nonché dei costi standard”.
Quanto alla determinazione dei costi standard per i Tpl, fu disposta dalla legge di stabilità per il 2014, che indicava la data del 31 marzo 2014 per la loro definizione, con decreto Mit: definizione che arrivò solo quattro anni più tardi, con il decreto ministeriale 28 marzo 2018, n. 157.
Il ricorso ai Las per il riparto del Fondo Tpl è stato invece disposto con il Dl n. 50 del 2017: entro 90 giorni avrebbero dovuto essere definiti, con decreto ministeriale, i criteri per la loro determinazione e le regioni avrebbero dovuto determinarli entro i successivi 120. Non se ne fece nulla.
Alla fine, con il Dl 176/2022, è stata approvata la riforma complessiva di ripartizione del Fondo, che prevede appunto la formula del 50 per cento Cs + 50 per cento Las. Entro il 31 luglio 2023, con decreto del Mit, di concerto con il Mef, avrebbero dovuto essere definiti “gli indicatori per determinare i livelli adeguati di servizio e le modalità di applicazione degli stessi”. Lo fa adesso, con più di due anni di ritardo, il decreto del ministero delle Infrastrutture.
Il modello per il calcolo dei Las
Il modello ministeriale, cui il decreto rinvia, risulta ben strutturato. I Las sono calcolati separatamente per gli spostamenti intra-comunali e quelli intercomunali. Per ciascuna regione, il Las è dato dalla somma pesata dei servizi Tpl per quattro modalità: bus, treno, metro, tram. I pesi sono basati sui costi standard e sulla capacità media dei mezzi (urbani/extraurbani), e sono normalizzati rispetto al bus veloce.
La quota di Fondo spettante a ciascuna regione è data dal rapporto tra il proprio Las e il totale nazionale. Nel modello si considerano tre componenti della domanda: (i) la domanda sistematica (numero di spostamenti rilevati e stimati); (ii) la domanda potenziale (propensione al passaggio dal mezzo privato al Tpl); (iii) la domanda aggiuntiva, vale a dire la componente erratica e turistica, quantificata convertendo i turisti in “residenti equivalenti” (2022). Per i bus sono introdotti parametri di round-up per garantire un minimo di corse anche nelle aree a domanda debole, ma i flussi sono calcolati con riferimento a cluster di comuni vicini, aggregando dunque le corse minime su più comuni.
Le stime risentono della povertà delle banche bati, un difetto non facile da eliminare. Per esempio, per la stima della domanda di trasporto intercomunale, si utilizza la matrice “origine-destinazione” dell’Istat che risale al 2011. Nonostante il coraggioso tentativo di aggiornamento con informazioni tratte dall’indagine casa-lavoro del 2019, è difficile che delinei un quadro della mobilità vicino alla realtà attuale. La stima della domanda di trasporto a livello comunale si basa poi su dati provenienti da un’indagine campionaria realizzata da Isfort con un’altra finalità, su campioni di popolazione che sono, invece, rappresentativi solo a livello regionale. E si può dubitare della robustezza, rispetto agli effetti della pandemia, di una stima dei residenti equivalenti costruita sulla base delle presenze turistiche del 2022.
In generale, poi, un aspetto di rilievo, cui varrebbe la pena porre mano, è la modesta portata perequativa del modello: i coefficienti di ripartizione finiscono per dipendere da grandezze storiche, senza un significativo impatto di riequilibrio territoriale. Se ne ha prova nella stima della propensione al passaggio dal mezzo privato al Tpl, dedotta dall’indagine Isfort come percentuale di individui che dichiarano di voler «aumentare l’uso di Tpl» o «diminuire l’uso dell’auto». Con domande poste a qualità e condizioni dei servizi dati, le risposte non possono non riflettere la valutazione dello «status quo»: tant’è che Milano presenta il più elevato livello di propensione allo switch.
È un aspetto importante in vista di un impiego dei Las nella riforma del sistema di finanziamento del Tpl, necessaria nella prospettiva del completamento del federalismo fiscale su cui l’Italia si è impegnata in ambito Pnrr. Un’applicazione integrale della riforma comporta, infatti, la fiscalizzazione del Fondo Tpl, vale a dire l’abolizione dei trasferimenti statali, compensata dal riconoscimento alle regioni di nuove risorse fiscali proprie. L’operazione richiede la costruzione di un sistema di perequazione, data la forte differenziazione delle capacità fiscali a livello regionale. È da auspicare che sia di tipo verticale, vale a dire gestito dallo stato – e non tramite flussi interregionali – perché meno problematico sul piano politico e perché consentirebbe di non fiscalizzare l’intero Fondo (rimanendo, appunto, a livello centrale, la componente perequativa, come consentito dalla riforma costituzionale del 2001).
Si tratterebbe di applicare quanto disposto dalla legge delega 42/2009 per una fornitura uniforme su tutto il territorio nazionale basata sui Las e sui Cs.
La differenza tra Las e Lep
Si è molto discusso sulle caratteristiche che differenziano i Las dai più noti Lep, i livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla Costituzione, elemento fondativo del disegno della delega del 2009, e di recente al centro del confronto politico in tema di autonomia differenziata.
Sul piano pratico, mi sembra che la domanda da porsi sia se, come previsto dalla delega del 2009, il sistema perequativo in materia di Tpl possa stabilmente poggiare sui Cs e sui Las. Credo che la risposta debba essere positiva, ma a due condizioni. La prima che si modifichi l’architettura attuale del sistema di riparto del Fondo. La soluzione, indicata dalle norme attualmente in vigore, di applicare i Ca a metà del fondo e i Las all’altra metà è molto grossolana. Difficile mettere in dubbio l’esigenza di passare al fabbisogno standard, che nel caso specifico è dato dal prodotto tra Cs e Las. La seconda condizione è appunto quella che si rafforzi, sul piano della costruzione tecnica, la portata perequativa dei Las, molto debole, se non assente, nel modello ministeriale.
*Lo studio fa parte di una ricerca più ampia finanziata dall’Unione Europea – NextGenerationEU, Missione 4, Componente 2, nell’ambito del progetto GRINS – Growing Resilient, INclusive and Sustainable, spoke 7 “Territorial sustainbility” (PE00000018 – CUP C93C22005270001).
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