Misurare l’effetto dell’aggiustamento previsto dalla manovra di bilancio sull’imposta effettiva dei diversi contribuenti è complesso, per la somma degli interventi degli ultimi anni. Il calcolo per un lavoratore dipendente, un pensionato e un autonomo.

L’Irpef nella manovra di bilancio

Il confronto politico sulla manovra di bilancio si è concentrato soprattutto sull’intervento sull’Irpef che, mantenendone invariata la struttura a tre scaglioni, prevede la riduzione della seconda aliquota. Tuttavia, per valutare appieno quali saranno gli effetti dell’ennesimo aggiustamento occorre tener conto che la struttura dell’imposta si è terribilmente complicata per il bailamme di detrazioni, bonus, regimi sostitutivi e addizionali territoriali introdotte o modificate negli ultimi anni. Il risultato è che riconoscere e misurare l’impatto della manovra sull’imposta effettiva dei diversi contribuenti non è affatto ovvio e immediato.

Infatti, le nuove aliquote legali applicate ai tre scaglioni – 23 per cento fino a 28mila euro, 33 per cento da 28 a 50mila euro e 43 per cento per redditi superiori a 50mila euro – sono soltanto l’inizio della storia, in quanto servono per il calcolo dell’imposta lorda. Sottraendo da questa le detrazioni – per lavoro, per famiglia e per oneri – si ricava l’imposta netta erariale, che è nulla per coloro che presentano un’imposta lorda minore delle detrazioni. Occorre poi considerare le addizionali regionali e comunali, che sono dovute qualora l’imposta netta erariale sia positiva. Per i pensionati, il calcolo si ferma qui. Per i lavoratori dipendenti, invece, vanno considerati due trasferimenti monetari: il trattamento integrativo (l’ex bonus Renzi) e il trasferimento monetario applicato a partire da quest’anno (che ha sostituito, per redditi da lavoro dipendente fino a 20mila euro, la riduzione del cuneo fiscale precedentemente in vigore). Per questi lavoratori, sottraendo dall’imposta netta, comprensiva delle addizionali, l’ammontare dei due trasferimenti, si ottiene il debito di imposta effettivo, se positivo, o l’ammontare del trasferimento, se negativo. Per i lavoratori autonomi la situazione è diversa: occorre distinguere tra coloro che hanno ricavi superiori a 85mila euro, soggetti alla disciplina Irpef ordinaria, e coloro che presentano ricavi pari o inferiori a 85mila euro che possono optare per la cosiddetta flat tax degli autonomi, che consente di calcolare l’imposta, in sostituzione dell’Irpef e delle addizionali, applicando l’aliquota del 15 per cento alla differenza tra ricavi effettivi, costi forfetari e versamenti contributivi.

Quanto pagano un dipendente, un pensionato e un autonomo di Torino

L’insieme di Irpef, trasferimenti monetari e regimi sostitutivi, introdotti o modificati nel tempo senza una visione complessiva, si intrecciano spesso in modo capriccioso, finendo per determinare prelievi anche molto differenti per contribuenti con redditi uguali o simili ma derivanti da fonti diverse, con evidenti violazioni dell’equità orizzontale. Tali criticità possono essere illustrate confrontando il debito di imposta 2026 per un lavoratore dipendente, un pensionato e un lavoratore autonomo. Per rendere il confronto più semplice, assumiamo che tutti questi contribuenti non abbiano carichi di famiglia, non abbiano altre fonti di reddito, non beneficino di detrazioni per oneri e siano residenti in Piemonte, a Torino. Per il lavoratore autonomo consideriamo il regime più conveniente tra l’Irpef ordinaria e la flat tax opzionale, assumendo un’aliquota contributiva del 14,5 per cento sul reddito e del 4 per cento sui ricavi e, infine, costi forfetari (per ipotesi uguali a quelli effettivi) del 22 per cento.

Le figure 1 e 2 illustrano, rispettivamente, l’andamento del debito di imposta e l’aliquota media (debito di imposta in percentuale del reddito al netto dei contributi) per le tre tipologie di contribuenti. Per il lavoratore dipendente è evidente la minore imposta (che è un sussidio, dato che i valori sono negativi, per redditi fino a circa 15mila euro) rispetto al lavoratore autonomo e al pensionato fino a circa 28mila euro di reddito, mentre successivamente è il lavoratore autonomo a pagare meno imposte rispetto alle altre due tipologie di contribuenti. Il pensionato, a parità di reddito, subisce il prelievo più gravoso rispetto al dipendente e all’autonomo, fatto salvo un piccolo intervallo tra i 5 e i 15mila euro circa, nel quale risulta più tassato il lavoratore autonomo. Per i redditi maggiori di 50mila euro, dipendenti e pensionati pagano la stessa imposta perché le detrazioni da lavoro cessano di applicarsi, mentre per il lavoratore autonomo ciò avviene attorno ai 55mila euro (ma questa soglia può cambiare per altri lavoratori autonomi che pagano contributi e hanno costi forfetari diversi da quelli qui ipotizzati).

Figura 1 – I debiti di imposta

Figura 2 – Le aliquote medie

La moltiplicazione delle aliquote

I debiti di imposta e le aliquote medie illustrati nelle figure 1 e 2 derivano dall’applicazione, a tutti i tipi di contribuenti, delle tre aliquote marginali legali dell’Irpef previste per il prossimo anno. Sono le aliquote considerate nel dibattito politico e mediatico. Tuttavia, quanto si considerano anche gli altri elementi dell’imposta e i trasferimenti (e, per il lavoratore autonomo, il regime opzionale della flat tax), le aliquote marginali effettive si moltiplicano, per di più in modo diverso tra le varie tipologie di contribuenti. Come si nota dalla figura 3, che riporta, oltre alle tre aliquote legali, le aliquote marginali effettive per un euro di incremento di reddito, nelle ipotesi qui fatte, le aliquote effettive diventano quattro per il lavoratore autonomo che ottimizza il carico fiscale, sei per il pensionato e nove per il lavoratore dipendente.

Figura 3 – Le aliquote marginali effettive – Variazione di reddito pari a 1 euro

In particolare, per l’autonomo, fino a quando è più conveniente il regime Irpef ordinario, l’aliquota marginale effettiva è quasi il doppio (28 per cento) di quella prevista per redditi più elevati, che si avvantaggiano della flat tax (15 per cento). Superata la soglia di incapienza, il pensionato subisce una aliquota effettiva un po’ superiore al 30 per cento fino a 28mila euro, che sale al 40 per cento da 28 fino a 50mila euro. Il problema per i dipendenti è noto: l’ulteriore detrazione per lavoro dipendente e il trasferimento monetario, previsti a partire da quest’anno, in aggiunta al trattamento integrativo, producono effetti distorsivi sullo sforzo lavorativo: con redditi bassi un dipendente beneficia di una aliquota effettiva negativa (-7,1 per cento), mentre con redditi tra 32 e 40mila euro sconta l’aliquota effettiva più elevata di tutti, il 58 per cento. Sui redditi più elevati grava invece un’aliquota effettiva minore. Complessivamente, le aliquote marginali effettive disegnano, attorno alle tre legali, andamenti erratici, anche non crescenti, e diversificati tra tipologie di contribuenti, non giustificabili in termini sia di equità sia di efficienza.

La sfida di riportare razionalità nell’imposta

Come si può riportare l’Irpef a una struttura più razionale, comprensibile e trasparente, regolarizzando l’andamento delle aliquote effettive? È una sfida complicatissima perché la ricerca del consenso e la frammentazione della rappresentanza politica fanno sì che, una volta introdotta un’agevolazione fiscale – bonus o detrazione che sia – cancellarla diventi quasi impossibile. Due linee di intervento sembrano proponibili. La prima consiste nel “far uscire” dall’imposta tutte quelle agevolazioni che sono state introdotte come sostegni temporanei dei redditi (specialmente quelli più bassi) e che poi sono diventate componenti strutturali dell’Irpef, per trasformarle in istituti di spesa pubblica adeguatamente riformati e coordinati con altri programmi di integrazione dei redditi già esistenti. La seconda è quella di rivedere il disegno di progressività dell’Irpef non più collegato alle aliquote marginali per scaglioni ma direttamente alle aliquote medie, secondo uno schema di progressività continua, che regolarizzi il prelievo minimizzando il numero di contribuenti che subiscono un aggravio di imposta dalla revisione.

L’obiettivo è riportare l’Irpef alla sua finalità fondamentale: raccogliere gettito in modo il più possibile non distorsivo ed equo, sia orizzontalmente sia verticalmente, ripartendo il carico fiscale in base alla capacità contributiva di ciascuno. Ma tutto ciò richiede di mettere mano a una riforma complessiva dell’imposta, abbandonando la politica degli aggiustamenti marginali seguita ormai da molti anni.

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