La legge che impone la presenza di donne nei cda e collegi sindacali delle società quotate e partecipate pubbliche ha finalmente fatto crescere la rappresentanza femminile nei board. Mentre aspettiamo di vedere anche da noi i più generali effetti positivi associati in altri paesi a norme simili.
DUE ANNI DI LEGGE SULLE QUOTE DI GENERE
Il rapporto Consob On Corporate Governance of Italian listed Companies uscito a novembre mostra che oggi il 17 per cento dei posti di consigliere è ricoperto da donne (a fine 2011 erano il 7,4 per cento) e in 198 imprese (135 a fine 2011) almeno una donna siede nel consiglio di amministrazione. Come si sottolinea nel rapporto, la diversità di genere è diventata una realtà diffusa: quattro consigli su cinque hanno entrambi i generi rappresentati.
Questi numeri sono il risultato della legge 120/2011 (cosiddetta Golfo-Mosca) che ha introdotto in Italia l’obbligo temporaneo di rispettare un’equa rappresentanza di genere nei consigli di amministrazione e collegi sindacali delle società quotate e partecipate pubbliche. La quota di rappresentanza di genere è fissata al 20 per cento per il primo mandato e al 33 per cento per i successivi due.
Si tratta di una vera rivoluzione per le società italiane. La presenza di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate è sempre stata molto bassa, ben al di sotto del 7 per cento fino al 2011, circa un terzo di quella di paesi come la Finlandia (27 per cento), la Svezia (25 per cento) e la Francia (22 per cento). (1)
Come mostra la figura 1, la legge ha accelerato un processo di lentissima evoluzione della presenza femminile nelle società quotate. Quanti anni ci sarebbero voluti per arrivare alla percentuale attuale in assenza della legge? Troppi, probabilmente. Come ricordava Magda Bianco “se la presenza femminile nei boards avesse dovuto continuare a crescere con il tasso medio degli ultimi anni, sarebbero occorsi oltre sessanta anni per raggiungere il 33 per cento imposto dalla legge”.
Come già per altri paesi europei che hanno approvato prima dell’Italia una legge sull’equa rappresentanza di genere, l’introduzione delle quote è stata essenziale per raggiungere una maggiore presenza femminile ai vertici delle società.
Figura 1

IL MERITO ENTRA NEL CDA
Anche se è ancora troppo presto per dare una valutazione approfondita degli effetti della legge, possiamo già avanzare qualche riflessione.
I consigli di amministrazione italiani sono stati per anni dominati dal potere decisionale maschile. La legge sulle quote agisce come una misura shock per scardinare questo equilibrio, consolidatosi negli anni. Si tratta di una misura temporanea, pensata come un elemento di rottura necessario in questo momento. L’idea è infatti che, una volta minato lo status quo alla radice, le quote non saranno più necessarie. La legge obbliga ad aprire le porte dei consigli a una platea più ampia, non solo perché richiede di considerare le donne, tipicamente escluse, ma anche perché rende conveniente un ripensamento dei meccanismi di selezione per tutti, uomini e donne. L’introduzione delle donne nei consigli di amministrazione infatti si accompagna a una selezione più accurata, in cui tutti i talenti e le competenze, maschili e femminili, hanno le stesse opportunità di emergere e ricevono la stessa valutazione. Diventa conveniente per l’azienda stessa selezionare i migliori, uomini e donne. Criteri di merito saranno adottati per selezionare le migliori donne in ingresso, e gli stessi criteri saranno applicati anche agli uomini, per la prima volta nel nostro paese, con la conseguenza che la “qualità” media dei rappresentanti non potrà che aumentare. La governance delle società quotate italiane quindi potrà beneficiare dell’apertura a una maggiore concorrenza.
LA REGOLA DEL TRE
Un secondo elemento di riflessione riguarda il ruolo che una massa critica di donne nei consigli di amministrazione potrà avere per le decisioni dell’azienda, le sue scelte e alla fine la sua performance. La letteratura economico-manageriale ha da tempo sottolineato i vantaggi della diversity, come elemento chiave per il successo di un’organizzazione. In un contesto eterogeneo si allargano le prospettive, si rafforza la rappresentanza di tutti gli azionisti, si raccolgono i risultati resi possibili dall’azione dei diversi stili di leadership. Studi più recenti mostrano che in un contesto eterogeneo la massa critica è importante. Analizzando i verbali di 402 consigli di amministrazione e comitati di un campione selezionato di imprese israeliane, Martha Schwartz-Ziv mostra che le aziende con una massa critica di almeno tre persone dello stesso genere nel consiglio di amministrazione, in particolare tre donne, hanno un andamento migliore delle altre, una maggiore probabilità di cambiare il Ceo quando la performance è bassa, oltre a una probabilità almeno doppia di richiedere ulteriori informazioni e di prendere un’iniziativa. (2) A livello individuale, inoltre, sia gli uomini sia le donne consiglieri sono più attivi quando ci sono almeno tre donne nel consiglio.
La legge sulle quote sta introducendo nel nostro paese una massa critica di donne nei luoghi decisionali, che potrebbe rivelarsi decisiva in un più ampio processo di cambiamento e di miglioramento delle policy, anche nei confronti delle altre donne, e così via via autoalimentarsi.
DALLA PARTE DEGLI STAKEHOLDERS
Un terzo elemento di riflessione riguarda la composizione del gruppo di donne che sono entrate nei consigli a seguito della legge e i potenziale cambiamenti nello “stile” manageriale. È probabile che le donne, meno caratterizzate da un legame di parentela con il controllante e con una più lunga e continuativa esperienza di lavoro, abbiano una maggiore considerazione per il welfare degli impiegati. Finora ciò che emerso dalla esperienza di altri paesi che hanno un numero di elevato di donne nei board è che queste siano, rispetto agli uomini, più stakeholder-oriented piuttosto che shareholder-oriented (come nel caso della Svezia) e che i board influenzati dalle quote di genere abbiano licenziato meno lavoratori (come è stato dimostrato per il caso della Norvegia). (3) Sempre per la Norvegia, paese pioniere nell’introduzione delle quote, un recente studio di Bertrand, Black, Lleras-Muney e Jensen mostra che le quote possono avere anche effetti di ricaduta più ampi sull’intera società, per esempio contribuendo ad aumentare l’occupazione femminile. (4)
Quando avremo disponibile un numero più ampio di dati, potremo valutare se l’introduzione delle quote nel nostro paese ha effetti positivi sulle condizioni di lavoro femminili e fare delle valutazioni accurate su tutti questi aspetti. Per ora, esiste un forte contrasto tra la crescita della rappresentanza femminile nei board e la situazione statica dell’occupazione femminile italiana, ferma ormai da anni al 47 per cento, ai livelli più bassi d’Europa, mentre l’Italia è al 97° posto per opportunità economiche nel Global Gender Gap Index del 2013.
* Una versione dell’articolo è disponibile anche su www.ingenere.it
(1) “Women in economic decision making in the EU”, Luxemburg 2012 http://ec.europa.eu/justice/gender-equality/files/women-on-boards_en.pdf
(2) Schwartz-Ziv Martha (2013)” Does the Gender of Directors matter? http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1868033
(3) Si veda rispettivamente Adams, Renée B., Amir Licht e Lilach Sagiv (2011) “Shareholders and Stakeholders: How Do Directors Decide?” Strategic Management Journal, 32 (12), 1331-1355; e Matsa, David A. and Miller, Amalia R. (2013) “A Female Style in Corporate Leadership? Evidence from Quotas,” American Economic Journal: Applied Economics,vol. 5, (3) 136-196.
(4) Bertrand M., Black S., Lleras-Muney A., Jensen S. “Breaking the glass ceiling: The effect of board quotas on female labor market outcomes in Norway”, Slides presentate all’università Bocconi, settembre 2012.
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Ph.D. Università di Wisconsin-Madison, è Professore di Economia Politica all’Università di Torino e Fellow del Collegio Carlo Alberto. È anche Research Fellow dell’Institute di Human Development(IHDSC) della New York University, del network HCEO dell Università di Chicago e dell’ IZA (Bonn). È stata membro del Consiglio Generale della Compagnia San Paolo (2012-2020) e del Comitato Scientifico della Confindustria. I suoi interessi di ricerca riguardano l’economia della famiglia e del lavoro, le differenze di genere e degli investimenti nella prima infanzia. È Associate Editor del Journal oh Human Capital e Review of Economics of the Household. Dal 2000 è Direttore del Centro CHILD e di IEU (Unit of Evaluation) del Collegio Carlo Alberto. Nel 2007 è stata insignita dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dell’Ordine del Merito della Repubblica Italiana e nel 2021 ha vinto il Premio Tarantelli.
Paola Profeta è professore associato di Scienza delle Finanze all'Università Bocconi di Milano e coordinatrice di Dondena Gender Initiative, unità di ricerca del Centro Dondena che raccoglie gli studi di economia di genere e leadership femminile dell'Università Bocconi. E' research fellow di CESifo e CHILD, Associate editor di CESifo Economic Studies e European Journal of Political Economy, scientific advisor di Unicredit and Universities Foundation. I suoi interessi di ricerca di rivolgono all’economia pubblica, ai sistemi di welfare (in particolare pensioni e istruzione), all’economia di genere e all’analisi di sistemi di tassazione comparati. Ha conseguito il PhD in Economics presso la Universitat Pompeu Fabra di Barcellona, ha svolto periodi di studio e ricerca o insegnamento a Columbia University di New York, CORE- Université Catholique de Louvain, Harvard Kennedy School, Università di Lugano, Rennes, CESifo di Monaco. Ha pubblicato su riviste internazionali di prestigio, è autrice di monografie con editori nazionali ed internazionali e ha coordinato progetti di ricerca finanziati da varie istituzioni internazionali, fondazioni private, università e centri di ricerca. Collabora con numerose istituzioni nazionali ed internazionali. Svolge un'intensa attività divulgativa e di dibattito in Italia e all'estero, soprattutto sui temi di uguaglianza di genere e politiche per la promozione dell'occupazione e delle carriere femminili.
stefano mengoli
Scusate la banalità che nasce da esperienza anedottica essendo non testata statisticamente ma, almeno con riferimento all’Italia, davvero mi appare un falso problema. I membri sono eletti dal controllante che co-opterà una donna che non si opponga alle decisioni piuttosto che un uomo. Cosa effettivamente si modifica? Se guardiamo ai board con donne nei Cda delle imprese italiane con occhio critico appare evidente che molte donne sono semplicemente state co-optate in modo arbitrario (alcune sono andate a sostituire il marito; altre sono entrate nel board ove continua a risiedere il marito; stesse dinamiche emergono per le figlie etc.). Non mi pare quindi un gran miglioramento. La situazione è quindi disarmante e non penso che in realtà la presenza femminile senza alcuni distinguo migliori le cose. Focalizzerei infatti più l’attenzione sull’indipendenza del board. Se la nomina è realmente indipendente, la distinzione di gender perde tanto della sua rilevanza. Ritengo infatti che le donne abbiano davvero qualità indispensabili e non presenti negli uomini come appare emergere anche dagli studi di finanza comportamentale (purchè siano quelle donne che hanno avuto la meglio su un mercato concorrenziale). La politica italiana non ha insegnato nulla in proposito?
nonsono unpanda
Cercare di dimostrare con numeri che é meglio avere donne nei cda serve solo a mascherare l’obbrobrio giuridico di una legge che fissa discriminazioni sul genere. Se la legge é giusta, moralmente ineccepibile, liberale e democratica che bisogno c’è di cercare di dimostrare che: guardate che comunque si guadagna di piú, funziona tutto meglio?
Questo sito ci ha abituato ad analisi piú accurate degli studi e considerazioni piú profonde sulle diverse interpretazioni possibili degli stessi, sugli scenari, i pro e i contro. Qui invece si sostiene che é tutto bello e buono. Piú che un approfondimento a me sembra semplice propaganda di parte.
Tommaso Arenare
Ottimi spunti e temi molto chiari.
Ho il privilegio di osservare per professione come negli ultimi anni sono state scelte le persone entrate nei consigli di amministrazione. La legge è servita da stimolo agli azionisti, obbligati a cambiare consiglieri per inserire donne, perché le scegliessero valutandone le competenze. Ne è derivata maggiore attenzione a scegliere persone capaci.
Il ragionamento di molti è stato: mi si chiede di scegliere una donna, cerco di sceglierla brava. Da lì è stato facile il passaggio successivo: una donna brava porta buoni contributi. Allora anche se scelgo un uomo lo voglio scegliere per bene.
Si è aperta più di prima la porta al merito.
Infine, non meno importante, diverse società hanno valutato se ridurre il numero dei consiglieri di amministrazione. A parità di altre condizioni, un consiglio più ridotto funziona meglio.