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Quando l’autodenuncia non è un condono

Banca d’Italia stima che gli italiani detengano illegittimamente all’estero capitali per circa 200 miliardi.  Altri paesi prevedono procedure per dichiarare i redditi sottratti. Con una “confessione” spontanea e la rinuncia all’anonimato non sarebbe un condono.

A CACCIA DEI CAPITALI ALL’ESTERO

Da qualche tempo sono tornati di moda i capitali illegittimamente detenuti all’estero e la volontà di snidarli. La materia è, in sé, affascinante (le stime Banca d’Italia parlano di 200 miliardi di euro) ma gravida di sospetti, visti i precedenti scudi di Giulio Tremonti che poco hanno arricchito le casse erariali (e meno che meno stimolato l’economia nazionale) e molto ingrassato le tasche dei soliti ignoti (per di più rimasti tali).
Certo è che la linea di un più trasparente rapporto bancario con la comunità internazionale su cui la Svizzera si sta muovendo (lasciamo perdere se scelta per amore o per forza), le posizioni più incisive assunte dall’Ocse dal 2010 in poi (anche sulla spinta dei Facta stipulati con gli Usa), le indicazioni della nostrana Commissione per lo studio sull’antiriciclaggio (Commissione Greco), hanno prodotto un contesto che rende sempre più pericoloso il mantenimento di ricchezze occulte all’estero ma in paesi “omogenei” (Svizzera, Lussemburgo, Singapore). E tuttavia hanno anche rafforzato la spinta a radicalizzare il nascondimento, muovendo i relativi capitali verso destinazioni più recalcitranti a qualsiasi forma di trasparenza che ne accentuano una già difficile governabilità e ne sottolineano gli scarsi confini con forme più esplicitamente delinquenziali (Isole Vergini, Panama, Vanuatu).
Non a caso procedure di voluntary disclosure sono state varate negli ultimi anni, tra gli altri, dagli Usa (nel 2009 in forma temporanea e poi, dal 2012, a regime), dalla Gran Bretagna, dalla Germania, dalla Francia e dalla Spagna.
Si tratta, in sostanza, di mere riaperture dei termini per procedere a dichiarare redditi sottratti, in passato, a tassazione mediante uso (perlopiù) di veicoli esteri e che oggi vengono regolarizzati. Lo sconto è concentrato sulle sanzioni, penali e amministrative; richiede una valutazione in qualche misura discrezionale del grado di collaborazione offerta dal contribuente pentito ed è, ovviamente, basata sulla piena trasparenza dell’operazione. Cioè a dire: niente anonimato.

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SANZIONI E PRESCRIZIONE

La versione italiana è contenuta in un emendamento alla Legge di stabilità che ragioni di opportunità hanno fatto accantonare, ma che dovrebbe essere ripresentato a breve in un “veicolo” normativo più adeguato.
La sostanza del discorso dovrebbe essere coerente con l’impostazione internazionalmente data a sanatorie del genere.
Innanzitutto la “confessione” deve essere spontanea e riguardare anche ricchezze possedute “indirettamente” (cioè via società, trust, fondazioni e quant’altro). “Spontanea” significa che non deve essere preceduta da alcuna attività accertativa in corso. In cambio della piena confessione circa la provenienza dei capitali (beni e attività finanziarie) oggi posseduti all’estero, si avrebbe la tassazione integrale dei redditi che furono sottratti a tassazione e necessari per costituire la ricchezza oltreconfine; e, in aggiunta, la tassazione piena dei redditi generati dalle ricchezze costituite all’estero. Le sanzioni amministrative applicabili sarebbero ridotte al minimo edittale e ulteriormente abbattute alla metà (nei fatti pari a un sesto dell’imposta dovuta) per ricchezze costituite in paesi white list e abbattute solo di un quarto per quelle costituite in paesi black list. Le sanzioni penali verrebbero del tutto meno se il reato consiste solo nell’infedeltà o nell’omissione della relativa dichiarazione (articoli 4 e 5 del Dlgs 74/2000) oppure ridotte alla metà se la violazione si è prodotta mediante utilizzo di false fatturazioni.
Determinante, in questo contesto, diventa la tassabilità dei redditi al momento della costituzione dei patrimoni esteri. Se sono stati realizzati in periodi d’imposta ormai prescritti (ad esempio nel 2002) la tassazione sarebbe limitata ai rendimenti degli importi occultati: con i meccanismi attualmente in uso sono, perlopiù, dell’ordine del 3 per cento annuo. Al contrario, se i redditi da cui è derivata la ricchezza estera sono stati conseguiti in periodi più recenti e i cui termini per l’accertamento non sono ancora prescritti, la tassazione riguarderebbe anche questa fase e risulterebbe verosimilmente ben più onerosa. Con il che si conferma che la procedura non si risolve in un condono mascherato, ma in una pura e semplice mitigazione delle sanzioni.
Sennonché anche la mera individuazione di quali sono i periodi d’imposta ancora suscettibili di accertamento e quelli, invece, esauriti per prescrizione presenta delle insidie.
Le disposizioni in materia di “accertamento” tributario prevedono, da un lato, che il relativo termine scade alla chiusura del quarto anno (rectius: periodo d’imposta) successivo a quello nel corso del quale avrebbe dovuto essere presentata la dichiarazione dei redditi; che detto termine si prolunga di un ulteriore anno nell’ipotesi di “omessa presentazione” della dichiarazione; e che detti termini vengono raddoppiati qualora la violazione comporti la denuncia (ex articolo 331 cp) per violazioni tributarie previste dal Dlgs 74/2000. Che il termine in questione risulti raddoppiato è certo qualora i redditi di cui si discute si siano realizzati mediante uso di fatture false (visto che la punibilità permane, ancorché mitigata). Ma il raddoppio vale se la violazione è consistita solo nell’infedeltà o nell’omissione della dichiarazione? Parrebbe di no, visto che la norma ipotizza la non punibilità di questa seconda fattispecie. E anche che l’Agenzia delle Entrate debba comunicare all’autorità giudiziaria competente la conclusione della procedura di “collaborazione volontaria” che dà luogo, per l’appunto, alla non punibilità dei “delitti di cui agli articoli 4 e 5” del Dlgs 74/2000.

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  1. AM

    L’articolo dà per scontato che i capitali esportati illegalmente all’estero siano stati dovunque e sempre frutto di evasione fiscale ignorando il fatto che in certe circostanze escono illegalmente capitali anche per altri motivi. Se ne possono citare alcuni collegati a successioni ereditarie, a rotture di famiglie a seguito di divorzi, a timori di cambiamento dei regimi politici con guerre civili e insediamento di dittature. Ad esempio in Italia all’epoca delle brigate rosse non era da escludere uno sbocco verso la guerra civile. Diversa era quindi la situazione rispetto agli Usa e all’Inghilterra.

  2. Piero

    Ma sono calcoli affidabili, quelli fatta dalla Banca d’Italia, in base a quali considerazioni emerge tale somma 200 mld?
    Forse oggi fa comodo alla Banca d’Italia affermare voi, si concentra il problema sull’evasione e non sul veto problema del credit crunch, che volta il sistema bancario sta uccidendo tutte le imprese, e tutti stanno a guardare senza fare nulla.

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