Il Mondiale delle non sorprese è finito facendo cadere l’ultimo tabù: una squadra europea, la Germania, ha vinto per la prima volta un’edizione disputata in Sudamerica. La legge di Lineker – quella secondo cui il calcio è un gioco con 22 giocatori in campo in cui alla fine vincono i tedeschi- è tornata a valere dopo 24 anni.
Ha vinto la Germania, la squadra più consistente ad alto livello. Otto finali nelle ultime sedici edizioni dei Mondiali, di cui quattro vinte. Dal 2006, da quando Loew è in panchina, come allenatore o vice, la Germania è arrivata almeno in semifinale in ogni competizione disputata. Si pensava che la casa del calcio fosse in Inghilterra o in Brasile. Forse lo è stata, ma ormai il calcio sembra avere trasferito la residenza in Germania.
Hanno perso o sociologi e gli economisti da bar, quelli secondo cui la Germania ha vinto perché rappresenta l’ordine e la disciplina, perché i suoi giocatori sono senza tatuaggi, oppure perché applica il rigore ai suoi conti pubblici e alle sue squadre di calcio. Erano gli stessi esperti che esaltavano l’ordine e la disciplina dell’Inghilterra, unica squadra ad avere fatto peggio di noi. Ed erano gli stessi che avrebbero esaltato le virtù dell’improvvisazione e della resistenza argentine se Higuain, Palacio e Messi avessero segnato in una delle tre gigantesche occasioni avute durante la finale. La storia del calcio la scrivono sempre i risultati.
Hanno vinto, almeno in larga parte, gli allenatori. Quasi tutte le squadre avevano una notevole organizzazione tattica, malgrado il tempo limitato per preparare i Mondiali. Hanno vinto i due guardalinee italiani, capaci di vedere fuorigioco millimetrici in modo implacabile. E’ la prova che gli incentivi funzionano: grigliati e messi alla gogna da infiniti replay ogni weekend, hanno imparato a non sbagliare più. Chissà cosa accadrebbe al calcio italiano se la stessa attenzione delle moviole fosse messa sui calciatori incapaci di fare i più elementari stop o passaggi. Magari eviteremmo figure imbarazzanti come quella contro la Costa Rica. Ha perso l’Italia e non solo in campo. Le polemiche post eliminazione di Prandelli e i tweet di Balotelli danno l’idea di quanto questo gruppo fosse allo sbando. Chissà che fine ha fatto la “casetta Manaus” di Coverciano che doveva servire per preparare i giocatori al clima brasiliano.
Ha perso il Brasile squadra. Il 7-1 contro la Germania va a rimpiazzare il Maracanazo del 1950 come l’incubo calcistico nazionale. Ha vinto il Brasile Paese organizzatore. Dopo tutti gli allarmi sui ritardi, tutto ha funzionato e gli stadi erano bellissimi. Per essere onesti, le ultime edizioni con stadi orrendi sono state Usa 1994 e, neanche a dirlo, Italia 1990.
Ha perso la Fifa con le regole del sorteggio cambiate il giorno prima e le partite a Natal e Recife all’una. Purtroppo è stata proprio l’Italia a farne principalmente le spese. Hanno perso gli esperti televisivi, le cui previsioni, per parafrasare l’economista Galbraith, sono servite essenzialmente per far fare bella figura agli astrologi. Hanno perso elefanti, scimmie e tutti gli animali chiamati a fare pronostici. Il polpo Paul non ha lasciato eredi.
Hanno vinto ancora una volta i Mondiali, unico vero evento globale, capace di coinvolgere anche chi il calcio non lo segue abitualmente. Coreani e cinesi che passavano notti insonni per vedere le partite, americani che gonfiavano come mai in precedenza gli ascolti delle reti che trasmettevano il soccer. Le Olimpiadi sono ormai un evento minore. E’ il calcio ad avere unito il mondo. Proprio per questo non si può che restare sgomenti di fronte a decisioni come quella di far giocare i Mondiali in Qatar nel 2022.
Il New York Times di ieri titolava il suo ultimo servizio sui Mondiali “It was a pleasure”. Verissimo, almeno per me. Abbiamo quattro anni per prepararci al Mondiale russo. Nelle prossime settimane dovremo accontentarci delle notizie di calciomercato, sempre più simili alle storie di fantascienza, specialmente da quando le società italiane hanno finito i soldi, e delle conferenze stampa di Conte e Mazzarri. Coraggio!
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