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Se la politica economica non aiuta i più poveri

I dati Istat certificano l’aumento della povertà in Italia. E la politica come risponde? L’analisi delle conseguenze di alcune scelte dei Governi Letta e Renzi mostra che la capacità del sistema di tax-benefit di sostenere i redditi nei momenti di crisi è bassa. Il reddito di inclusione sociale.

POVERTÀ IN AUMENTO

Negli ultimi anni, a causa della crisi, la diffusione della povertà nel nostro paese è decisamente aumentata. Secondo i dati diffusi dall’Istat il 14 luglio, nel 2013 il 7,9 per cento delle famiglie italiane si trovava in povertà assoluta, una percentuale quasi doppia rispetto al 4,1 per cento del 2007. In quell’anno erano povere assolute 975mila famiglie, un numero salito a 2,03 milioni nel 2013. In termini di individui, l’incidenza della povertà assoluta è passata nello stesso periodo dal 4,1 per cento (2,4 milioni) al 9,9 per cento (6 milioni, un italiano su dieci).
Alla luce di questa dinamica, è sempre più importante chiedersi in quale modo le scelte di policy possano incidere sui redditi dei poveri. Le loro condizioni non risentono infatti solo del ciclo economico, ma anche degli interventi su imposte e trasferimenti. Nel periodo 2011-2013 il segno delle politiche pubbliche in Italia è stato sicuramente restrittivo e l’austerity ha coinvolto sia le spese che le entrate.
Il recentissimo rapporto della Caritas “Il bilancio della crisi” fa il punto sulle politiche contro la povertà in Italia. Qui ne riassumiamo un capitolo, che quantifica le conseguenze di alcune scelte del Governo Letta e del Governo Renzi sui redditi più bassi. Rimandiamo al testo integrale del Rapporto per una discussione più ampia.
Si considerano in particolare l’aumento della detrazione Irpef per i lavoratori dipendenti deciso nell’ultima legge di stabilità, l’incremento dell’Iva, la nuova tassazione degli immobili e il bonus di 80 euro sui redditi da lavoro dipendente fino a 26mila euro. Nel testo del Rapporto si quantificano anche gli effetti che a regime avrebbe la Nuova carta acquisti, di cui il governo Letta ha iniziato una complessa sperimentazione; in questo articolo di sintesi non si parla di questa misura, perché non si tratta ancora di un provvedimento dotato di un finanziamento strutturale ed esteso a tutte le famiglie in povertà. Se però la nuova carta acquisti verrà trasformata, una volta terminata la sperimentazione, in un vero sostegno al reddito delle famiglie povere, si tratterà di una svolta con effetti molto importanti. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali del governo Letta ha elaborato un disegno complessivo per un Sostegno per l’Inclusione Attiva (Sia), che se attuato rappresenterebbe un vero reddito minimo contro la povertà, (1) e che dovrebbe costituire  la naturale evoluzione della carta acquisti.

IL GOVERNO LETTA

L’incremento della detrazione da lavoro dipendente incide ben poco sui poveri assoluti, a causa della scarsa frequenza dei redditi da lavoro nei bilanci di queste famiglie, mentre ha un impatto non insignificante, anche se molto basso, sui redditi delle famiglie in povertà relativa. Dopo i tanti episodi di parziale riforma dell’Irpef succedutisi negli ultimi quindici anni – che hanno agito soprattutto sulle detrazioni senza modificare le aliquote formali, le quali rimangono molto alte anche per redditi non elevati – molte famiglie povere hanno smesso di pagare l’Irpef e non possono vedere migliorato il proprio reddito attraverso maggiori detrazioni.
L’aumento dell’aliquota ordinaria dell’Iva, da ottobre 2013 passata dal 21 al 22 per cento, è invece sicuramente regressivo sul reddito e danneggia proporzionalmente di più proprio le condizioni dei più poveri. Certo, se si fossero toccate anche le aliquote ridotte del 4 e del 10 per cento, che colpiscono soprattutto beni di prima necessità, l’impatto sarebbe stato ancora più regressivo, ma anche il solo intervento sull’aliquota ordinaria peggiora la distribuzione del reddito corrente.
La nuova imposta sulla prima casa ha effetti molto difficili da prevedere, perché dipendono dalle scelte di migliaia di enti diversi. Senza detrazioni, l’imposta sulla prima casa penalizza sicuramente le famiglie povere, a causa della forte diffusione della proprietà immobiliare. Con detrazioni molto alte, finanziate da aliquote elevate, l’impatto distributivo dovrebbe essere vicino a quello della vecchia Imu sulla prima casa: leggermente progressivo. Il fatto comunque che il prelievo sulla prima casa venga reintrodotto dopo un anno di assenza determina in ogni caso un calo del reddito anche per le famiglie povere.
L’effetto complessivo di queste misure a sostegno dei poveri è quindi stato nullo, anzi il loro reddito è diminuito. Questa valutazione, va ricordato, non considera la nuova carta acquisti, visto il suo carattere sperimentale. Se fosse trasformata in un reddito minimo strutturale, l’effetto sarebbe sicuramente quello di incrementare il reddito dei poveri.

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IL BONUS DI RENZI

Lo sgravio Irpef di 80 euro al mese aiuta soprattutto i lavoratori a reddito basso, non le famiglie povere: solo una parte dei lavoratori a reddito basso vive in famiglie povere, e solo una piccola parte delle famiglie povere era soggetta a Irpef prima della riforma. Il bonus però va anche a famiglie che sono incapienti, se vi sono in esse lavoratori per i quali l’imposta lorda supera la sola detrazione da lavoro dipendente. Si tratta di un primo, modesto passo verso l’imposta negativa (una struttura fiscale in cui l’imposta per i redditi bassi non solo non si paga, ma si tramuta in un trasferimento monetario a loro vantaggio), l’unico modo attraverso il quale, volendo insistere con l’Irpef, si potrebbe incidere sul benessere di molte famiglie.

EFFETTI SUI REDDITI

Riassumiamo questi risultati con un grafico, che mostra per ogni 5 per cento delle famiglie italiane, la variazione percentuale del reddito disponibile prima e dopo i vari provvedimenti.
Le tre misure del Governo Letta riducono il reddito delle famiglie, perché l’aumento dell’Iva e la nuova imposta sulla casa più che compensano la maggiore detrazione Irpef. L’effetto è nel complesso molto lievemente progressivo, perché il calo in percentuale aumenta rispetto al reddito, ma si noti che proprio i più poveri subiscono una riduzione significativa, simile a quella di famiglie ben più ricche. I nuclei meno colpiti dagli interventi del Governo Letta sono quelli in povertà relativa, cioè non il 5 per cento più in basso, ma la fascia immediatamente successiva. Il bonus di 80 euro al mese inverte il segno del totale delle misure, con un saldo positivo per i tre quarti meno benestanti delle famiglie italiane.
Il segno complessivo delle quattro misure è quindi progressivo, ma l’impatto sull’area della povertà è insignificante: visto che il reddito dei poveri relativi aumenta in media dell’1 per cento e quello dei poveri assoluti dello 0,5 per cento, è inevitabile che gli indicatori di povertà relativa e assoluta rimangano praticamente immutati.

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Grafico 1 – Variazione % del reddito disponibile delle famiglie a seguito delle variazioni di Irpef, Iva, imposta sulla prima casa e bonus di 80 euro al mese, per ventili di reddito disponibile equivalenteSchermata 2014-07-20 alle 18.41.19

Nel complesso, finora, contro la povertà si è fatto ben poco. È evidente che i numeri sulla diffusione della povertà potranno ridimensionarsi solo se tornerà la crescita e si creeranno nuovi posti di lavoro, ma la capacità del sistema di tax-benefit italiano di sostenere i redditi nei momenti di crisi è davvero bassa. La scarsa attenzione del sistema di tassazione e trasferimenti per i più deboli poteva essere tollerata in tempi di “normale” crescita economica e con reti familiari ancora diffuse, ma diventa un’enorme palla al piede per l’intera società in un contesto sempre più incerto e mutevole. L’introduzione graduale di una misura contro la povertà assoluta, con tutte le dovute cautele per evitare il rischio di comportamenti opportunistici, sarebbe un grande passo avanti che, in questi anni, interesserebbe anche molte famiglie del ceto medio. La sperimentazione della Nuova Carta Acquisti decisa dal governo Letta, a cui si è prima fatto cenno, andrebbe proprio nella direzione di sviluppare un sostegno universale a favore di tutte le famiglie in povertà assoluta. Speriamo che essa si concluda positivamente, e soprattutto che vengano trovate le risorse per trasformarla in un provvedimento strutturale. Finora dal governo Renzi non si segnalano prese di posizione sul destino della Nuova Carta Acquisti e del Sia a cui si è fatto cenno.

(1) Il Sia ha molti aspetti in comune con una proposta per un Reddito di inclusione sociale (Reis) formulata pochi mesi fa da un gruppo di ricerca coordinato da Cristiano Gori e sostenuto, tra gli altri, anche dalla Caritas (www.redditoinclusione.it).

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11 commenti

  1. rob

    Il concetto di economia ha un senso solo se crea e distribuisce ricchezza. Quando viene meno questo obiettivo la società civile ha fallito. Non ci saranno più neanche i ricchi. Con la divisione mondiale e globale in blocchi geo-politici differenti si rischia che Paesi dove le differenze sociali sono abnormi prevalgono su quei Paesi che hanno raggiunto conquiste sociali notevoli.
    L’Europa non può certo diventare la Cina o il Sud- America, sarebbe tornare indietro mille anni.

    • GIULIA

      la più alta tassazione del mondo per non avere neanche il 10% di servizi di cui godono paesi come francia, germania, inghilterra, ecc…… ma ci siamo mai chiesti dove veramente finiscono tutti questi soldi?
      Se uno stipendio lordo è 2200, 00 al mese ne cedo più della metta allo stato, alle casse di previdenza, alle regioni, alle provincie (anche quelle che non ci sono più) ai comuni con il rimante ci mantengo la famiglia lo rimetto nell’economia attraverso acquisti di beni e servizi cedendo ancora un’altra parte allo stato alla fine non avrò ceduto l’85% alle casse dello stato?
      Dove finiscono i nostri soldi?

  2. Roberto Bellei

    Non per polemica ma per capire meglio il fenomeno ed inquadrarlo nei notevoli cambiamenti che stanno interessando il nostro Paese, i dati dell’Istat si riferiscono solo ai cittadini italiani o anche agli stranieri?
    Se fossero inclusi anche gli stranieri allora tutte le considerazioni sarebbero diverse. Se invece gli stranieri sono esclusi allora lo studio non ci aiuta a capire quanto le nostre strutture sociali siano in difficoltà ad erogare i loro servizi a causa del notevole numero di stranieri che si è stabilito nel nostro Paese negli ultimi 10 anni (almeno 5 milioni).

    • AM

      Condivido pienamente il commento di Bellei. Con o senza inclusione degli stranieri nel computo della povertà il quadro cambia, la diagnosi è diversa e gli interventi necessari sono diversi

  3. Piero

    Per combattere la povertà, occorre eliminarne la causa, oggi in Italia vi è stato un impoverimento della classe media e un passaggio verso i poveri della classe che fino a ieri stava sul livello minimo di sussistenza, la causa di tutto ciò? Semplice, se non aumenta il Pil, in presenza di uno stato con un livello alto di debito, si deve fare una politica monetaria espansiva, le imprese stanno tutte chiudendo e aumentano i disoccupati e quindi la povertà, lo stato può fare ben poco, l’elevato livello dei debiti non permette nessun intervento serio.
    Il governo deve decidere di prendere una posizione contro Draghi, sta uccidendo tutta l’Europa, qui vengono però alla luce delle considerazioni, l’attuale governo vuole veramente salvare l’Italia, oppure con una diversa faccia, sta realizzando gli obiettivi delle grandi istituzioni finanziarie e imprese multinazionali, riunite dentro i comitati Bildeberg, Aspen, vediamo che da questi ambienti provengono molti esponenti governativi ecc.

  4. AM

    Vorrei aggiungere che gli stranieri presenti in Italia apparentemente sono quasi tutti nullatenenti, ma in realtà moltissimi di loro possiedono immobili (o quote di immobili) nel paese di origine pur se non compilano il quadro RW della dichiarazione dei redditi.

  5. Maurizio Cocucci

    Se non erro siamo solamente noi e la Grecia a non disporre di un concreto programma di sostentamento al reddito, in primo luogo per chi è disoccupato. Invece di avere la presunzione di indicare agli altri la via di uscita dalla crisi (flessibilità nei conti pubblici, politiche monetarie espansive) sarebbe il caso di imitare invece quanto fatto altrove. Gli italiani pagano complessivamente più tasse e contributi dei tedeschi ma non hanno un welfare minimamente paragonabile, sia per chi come scritto prima perde il lavoro, sia in altri casi come ad esempio il beneficio fiscale a favore dei figli. Anche i fatidici ‘minijob’ sarebbero a mio avviso un ottimo strumento da copiare purché vengano correttamente rappresentati, non come fatto finora facendo credere che si debba lavorare 8 ore al giorno, 40 la settimana e 160 al mese, magari in catena di montaggio, per un salario di nemmeno 500 euro mensili. Sarebbero utili perché farebbero emergere il lavoro nero (così come è avvenuto appunto in Germania) riferito ad attività occasionale e minori e in questo modo la spesa complessiva per una indennità di disoccupazione risulterebbe molto inferiore a quella ipotizzata, che però non tiene conto del fatto che molti disoccupati in realtà lavorano, solo che non risultano ufficialmente.

  6. Ma quale programma di sostentamento del reddito? Le finanze statali sono allo sbando, si stanno reggendo solo sulle ritenute di acconto pagate dai lavoratori dipendenti, il gettito fiscale è solo sulla carta, non mi meraviglio se nel breve non vi sarà una misura straordinaria sulle entrate coattiva o volontaria, non so, ma sicuramente deve essere fatta se rimane questa gestione della politica monetaria.

  7. marcello

    Vorrei solo segnalare due dati: il primo riguarda il Regno Unito e il secondo la Germania. In entrambi i paesi le politiche non keynesiane (chiamiamole liberiste per semplicità) hanno accresciuto il valore dell’indice di Gini in modo significativo, in particolare in Regno Unito in un decennio si è avuta la più alta crescita della disuguaglianza della distribuzione del reddito nella storia. Chiunque può veder cosa significhi nella realtà facendosi un bel giro in Galles o in Scozia. In Inghilterra la visione è distorta dalla City che conta per oltre il 13% del PIL e ha 2.2 milioni di lavoratori ad alto reddito. In Germania i lavori a basso salario, compresi tra 6,21 e 6,46 euro, a seconda che si è nella ex DDR o nella RFT coinvolgono circa 7 milioni di lavoratori (1/4 della FL complessiva) e la percentuale di lavoratori che al più guadagna 7 euro l’ora è di oltre il 43% nella ex-DDR e oltre il 23% nella ex RFT. I lavoratori con bassi salari sono, a differenza di quelli USA, skilled o con titolo di studio elevato, oltre il 60% sono donne e oltre il 62 con età compresa tra 25.54 anni. In UK i salari reali sono diminuiti dell’8% dal 2008. Vista l’analogia tra le ricette thatcheriane e quelle della scuola di Freiburg forse fare una riflessione più attenta non sarebbe male. Personalmente preferisco le politiche di sostegno alla domanda aggregata.

  8. il Governo deve agire per ridurr ele polizze RC auto. s econtiamo una media di 1.3 autop per cittadino, che l’auto è ormai d’obbligo per marito emoglie che lavorano (e figlio a carico), stimiamo a spanne una media di 1500-18000 euro di assicurazione che si possono ridurre drasticamente, mettendo in tasca per i consumi quasi 80 euro al mese.

    una cifra invidiabile, e ottenibile senza penalizzare datori di lavoro in difficoltà.

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