Nel silenzio di Confindustria e sindacati, il decreto Maroni dispone il riassorbimento delle collaborazioni coordinate e continuative autonome nel lavoro subordinato ordinario. La formula del “lavoratore a progetto” rischia invece di far aumentare il contenzioso. Fra le tante novità previste dal decreto delegato di riforma del mercato del lavoro, il cui testo sarà sottoposto al confronto con le parti sociali prima della definitiva emanazione, ce n’è una che spicca per la sua singolarità e per la contraddittorietà rispetto alle finalità dichiarate dal Governo: la previsione di un divieto per le collaborazioni coordinate e continuative a tempo indeterminato (articoli 61 e 69). La figura del co.co.co. I cosiddetti co.co.co. costituiscono una categoria di lavoratori autonomi, la cui ampiezza è notevolmente cresciuta negli ultimi anni, assorbendo una vasta congerie di figure professionali, di alta e bassa qualificazione. Hanno offerto un’importante via di fuga dalle rigidità della subordinazione, consentendo alle imprese di eludere, in modo talora genuino, talaltra puramente frodatorio, le maglie del diritto del lavoro vigente. Si tratta di rapporti con una durata media relativamente breve (sei mesi secondo il rapporto Istat per il 2002). Quelli più flessibili sono appunto i rapporti di collaborazione a tempo indeterminato, dai quali il committente può recedere liberamente, con il solo obbligo di dare un ragionevole preavviso al collaboratore. Da tempo la categoria a parte il caso a sé degli agenti e rappresentanti di commercio, che ne rappresenta il prototipo è sotto osservazione. Sin dal 1995, con la legge Dini, i co.co.co. sono stati assoggettati a un contributo previdenziale obbligatorio (con ricadute pensionistiche molto incerte) che ha ridotto, pur senza azzerarlo, il differenziale di costo per l’impresa rispetto al lavoro subordinato. È incominciato, insomma, un lento processo di omogeneizzazione fra le due categorie, all’ombra del quale sono state lanciate idee importanti, come quella molto cara a Marco Biagi di uno Statuto per tutti i lavori, che potesse rappresentare l’occasione di un riequilibrio generale delle tutele, al di là dell’attuale dicotomia subordinazione/autonomia. Spuntano i lavoratori a progetto La Legge n. 30 del febbraio 2003 ha ripreso qualcosa dell’idea dello Statuto dei lavori, ma lo ha fatto con un eccesso di zelo che potrebbe avere esiti seriamente controproducenti. Sulla scia della delega, infatti, il decreto non si limita a garantire ai co.co.co. alcuni diritti fondamentali (un corrispettivo adeguato, la sospensione del rapporto in caso di malattia, infortunio e maternità, l’applicazione delle misure di protezione della salute e sicurezza e dell’assicurazione infortuni e malattie), ma dispone che d’ora in avanti le collaborazioni coordinate e continuative possano essere instaurate soltanto riconducendole a “uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso”, la cui gestione sia poi autonomamente affidata al collaboratore. Ciò significa che tutti questi rapporti dovranno avere un termine di durata, determinato nel contratto iniziale o comunque determinabile, in relazione alla durata del progetto o programma che costituisce la ragion d’essere del contratto. La trasformazione dei co.co.co. in “lavoratori a progetto” è portata avanti con tale rigore, da far dire alla legge che le collaborazioni non correlate a un progetto sono considerate di diritto rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Una logica difficile da capire Si fa fatica a comprendere la logica di una limitazione così forte dell’autonomia contrattuale, per giunta in un settore che ne era sinora rimasto esente. Si calcola che dei due milioni e mezzo di co.co.co. attuali, potrebbero salvarsene perché riconducibili a un progetto, non più di un quinto, tutti di alta qualifica (amministratori di società, temporary managers, etc.).I restanti due milioni si ritroverebbero attratti nell’alveo del diritto del lavoro subordinato, con un effetto dal sapore paradossalmente “bertinottiano”. È pur vero che il decreto darà agli attuali co.co.co. un anno per adeguarsi al nuovo regime, ma è prevedibile che in questo arco di tempo molti contratti verranno cessati e non più rinnovati, oppure comincerà un lavorio indefesso di avvocati e consulenti per elaborare progetti più o meno posticci, con la facile conseguenza di un incremento del contenzioso. Probabilmente, al fondo della scelta del Governo c’è il tentativo apprezzabile di riassorbire in prospettiva la figura dei co.co.co., in una logica di rilancio di un lavoro subordinato depurato dalle rigidità del passato. Ma i tempi di questo processo non sembrano ben scanditi, e comunque non si comprende perché, proprio nel momento in cui si attribuisce per la prima volta al co.co.co. un corredo di diritti autonomi, si ridimensioni la categoria in modo così netto, col rischio di riproporre la vecchia logica della forza attrattiva del diritto del lavoro subordinato.
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Dan M.
Da profano, mi pongo un paio di domande:
– cambierà realmente con la riforma Biagi la situazione degli attuali co.co.co, “falsi dipendenti”, (che come si è detto sono la generalità) oppure semplicemente anche a loro, come giustamente per i professionisti, si provvederà ad architettare un “fasullo” progetto ad hoc, se non addirittura a trasformarli in associati in partecipazione o in lavoratori sommersi?
– Non vi è il rischio che, pur imponendo un termine al contratto (progetto), questo possa comunque essere aggirato, utilizzando artifizi, o quantomeno proroghe, se previste, e mantenendo quindi inalterata nella sostanza la posizione attuale del collaboratore?
Mi associo ai complimenti per il sito e rinnovo gli auguri di una lunga e proficua esistenza.
Grazie
La redazione
“E’ molto probabile che si verifichino fenomeni come quelli paventati dal lettore, anche perché l’art.61 dello schema di decreto prevede che le future collaborazioni coordinate e continuative siano riconducibili “a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal
committente”. Si tratta di nozioni molto ampie (i “programmi” ancor più dei “progetti”), che consentiranno probabilmente di “salvare” la maggior parte dei co.co.co., altrimenti destinati a rientrare nell’alveo del lavoro subordinato. Nè sono previsti (e questo in pratica sarà molto importante) limiti alla prorogabilità dei progetti.E’ dunque possibile che la rigidità
della norma si attenui di molto, nei fatti, dando peraltro la stura a nuove pratiche elusive.
r.d.p.”
giorgio bassi
All’art.1 co.2 dello schema del decreto legislativo presentato dal governo viene precisato che il “decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale”.
Vuol dire che nella pubblica amministrazione sopravviveranno i co.co.co. ? Da quanto mi risulta non sono mica pochi!
Voi come interpretate questo aspetto?
La redazione
“Non c’è dubbio che il nuovo decreto non sarà applicabile ai lavoratori pubblici, ai sensi dell’art.1 co.2 ricordato dal lettore. La ragione di questa scelta, già prefigurata dalla legge delega (che peraltro disponeva l’esclusione delle misure in essa contenute per il solo personale “alle dipendenze” delle pubbliche amministrazioni, e quindi a rigore non per i
co.co.co.; ma il decreto non ha raccolto questa possibilità), è che la specificità del lavoro pubblico richieda una regolazione ad hoc, che il Ministro per la funzione pubblica dovrebbe incaricarsi di promuovere entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto (art.86 co.6). Ne segue che i co.co.co. continueranno ad esistere nei comparti pubblici, con un indubbio passo indietro sulla strada della privatizzazione. L’unica ed eccezionale ipotesi di immediata applicabilità della nuova normativa al lavoro pubblico riguarderà la disciplina della somministrazione di lavoro a tempo determinato (art.86 co.7), rimanendo invece esclusa quella della somministrazione a tempo indeterminato o staff leasing; d’altra parte, venendo abrogati gli articoli della legge Treu (n.196/1997) sul lavoro interinale, quest’ultimo non poteva essere lasciato privo – relativamente alle pubbliche amministrazioni – di una base normativa.
r.d.p.
Vincenzo Mattina
Molto interessante l’articolo sui co.co.co. Mi permetto di sollecitare la riflessione di uno o più esperti sull’articolo 29 del decreto che regola gli appalti di servizio.
Mi sembra che la somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing) sia stata molto ingabbiata e in qualche modo abbia assorbito i vincoli che in precedenza regolavano gli appalti di servizio. Ma mi chiedo cosa diviene l’appalto di servizio? chi ne è il soggetto gestore? potrebbe essere finanche un singolo che apra una partita IVA? e potrà il nuovo appalto di servizi estendersi a tutte le attività (fino ad oggi è stato escluso per le attività interne al ciclo produttivo)? E l’obbligo della parità di trattamento retributivo e contributivo, che è giustamente previsto per le aziende di somministrazione a tempo determinato e indeterminato, vale anche in caso di appalto di servizi?
Non è che avremo una esplosione del fenomeno, tutt’altro che trasparente e corretto, delle cooperative di lavoro? E non c’è il rischio che le impres si frantumino in una miriade di appalti di servizio, che gestiscono linee di produzione, servizi ecc? e non potrebbe capitare che, nella medesima azienda, diversi appaltatori applichino ciascuno salari diversi dall’altro?
Saluti
Enzo Mattina
La redazione
Le sue osservazioni hanno un serio fondamento. Molti appalti di servizi sono, in realtà, mere forniture (d’ora in poi somministrazioni) di manodopera, ed è pertanto comprensibile il tentativo del decreto di riassorbirli all’interno del nuovo regime autorizzatorio della somministrazione,a tempo determinato o indeterminato. E’ovvio,tuttavia, che gli appalti di servizi continueranno ad esistere,ed il criterio distintivo tra essi e la somministrazione (v. art.29 del decreto) rimarrà, grosso modo, quello attualmente in uso.C’è quindi il rischio di un mero spostamento della frontiera dell’elusione, anche perché le imprese appaltatrici di servizi, che attualmente debbono applicare ai loro dipendenti il medesimo trattamento degli interni, qualora l’appalto sia inerente al ciclo produttivo tipico della committente,saranno in futuro esonerate da tale obbligo, che permarrà solamente per le imprese di somministrazione. La corsa verso gli appalti di servizi, ad es. tramite le cooperative di lavoro, potrebbe quindi accentuarsi, anziché cessare.
Riccardo Del Punta