Il sistema delle agevolazioni industriali nelle aree deboli d’Italia resta barocco. E mentre assorbe ingenti risorse, è difficile valutarne l’efficacia: serve davvero a garantire investimenti aggiuntivi delle imprese? Dall’analisi dei dati si ricava che al Sud è molto alta la spesa diretta verso l’industria, ma è basso il flusso di denaro pubblico per beni e infrastrutture, quelli che davvero potrebbero assicurare la crescita nel lungo periodo.

Con la Finanziaria, si torna a discutere di incentivi agli investimenti nelle aree deboli del Sud e del Nord del paese, e in particolare della Legge 488.
Purtroppo, se ne discute solo come un mezzo per ricavare risorse per il bilancio pubblico. È comprensibile che Confindustria si opponga, sinora con successo, a modifiche che si limitano a sottrarre risorse alle imprese che rappresenta.
Ma che cosa sappiamo del sistema delle incentivazioni industriali? Davvero non c’è nulla che si possa fare per migliorarlo?

Un sistema barocco

In primo luogo, nonostante le misure prese da Pierluigi Bersani nel 1998, il sistema delle incentivazioni in Italia (sia specifiche per le aree deboli sia ad altri fini) rimane barocco.
Pur senza considerare il dato formale delle novantacinque norme ancora in vigore, sono ben diciassette gli interventi più importanti e ne nascono di nuovi, come i contratti di localizzazione. Inoltre, molte Regioni, sulla base dei poteri di cui già disponevano, poi rafforzati dalla riforma costituzionale, legiferano in materia. Nessuno è stato sinora in grado di ricostruirne il quadro completo.
Resta perciò ancora all’ordine del giorno il problema della semplificazione del quadro normativo e della specializzazione degli interventi. Questo anche per evitare fenomeni di sovraincentivazione, attraverso provvedimenti diversi, delle stesse imprese.
Il rischio non è peregrino. Negli anni 1997-2001 si può stimare che circa il 9 per cento delle imprese non agricole italiane sia stato incentivato (1).

La percentuale è più alta nel Centro-Nord, dove supera il 10 per cento, ma in presenza di un’intensità delle agevolazioni più contenuta.
E più bassa nel Mezzogiorno (7 per cento), ma in presenza di intensità di aiuto decisamente più alte. In media, negli stessi anni, le agevolazioni alle imprese rispetto al valore aggiunto non agricolo sono intorno allo 0,2 per cento nel Nord e all’ 1,1 per cento nel Sud, con punte sopra l’1,3 per cento in alcune Regioni. Nel Sud dunque un numero relativamente piccolo di imprese riceve un ammontare relativamente grande di agevolazioni.

Leggi anche:  Il Patto che non c'è*

L’utilità delle agevolazioni

Queste agevolazioni servono? Il discorso varia secondo le diverse misure della politica industriale.
Sulla Legge 488 vi sono stati numerosi tentativi di valutazione, compreso l’interessante dibattito su
lavoce.info. Alla burocrazia ministeriale (il cui vertice, però, è stato subito sostituito dall’attuale ministro) vanno certamente molti meriti: la legge è stata efficiente (criteri predeterminati di valutazione, trasparenza) ed è riuscita a innescare meccanismi di asta competitiva fra le imprese.

Ma nessuno è in grado di dire con certezza se la legge è stata utile, se ha determinato investimenti che senza di essa non si sarebbero avuti: nessuno può comparare con certezza l’esito con l’ipotesi controfattuale. L’onere della prova spetta però ai sostenitori della misura, anche in considerazione dell’ammontare di spesa coinvolto: dodici miliardi di euro di incentivazioni per tutti gli interventi per la riduzione delle disparità territoriali nel quinquennio 1997-2001. E sinora nessuno ha potuto convincentemente dimostrare che sono tutte risorse utilmente spese, per generare investimenti davvero aggiuntivi.

Beni pubblici a Sud

Ma vi è un ulteriore e fondamentale interrogativo sull’utilità degli incentivi: sono la maniera migliore per utilizzare le relativamente scarse risorse pubbliche, confinando ancora il discorso alle sole risorse per lo sviluppo territoriale?
Per rispondere a questa domanda, elementi molto utili possono venire dai dati dei “Conti pubblici territoriali” del ministero dell’Economia che sommano, consolidano e confrontano l’intera spesa in conto capitale (trasferimenti e investimenti pubblici) del settore pubblico allargato.

 

I dati della tabella, che si riferiscono alla spesa procapite nelle sole Regioni a statuto ordinario più grandi, sono chiari. Nelle Regioni del Sud la spesa diretta verso l’industria, principalmente incentivi, è estremamente alta. Al contrario, è spesso più basso il flusso degli investimenti pubblici, sia per beni e infrastrutture materiali che immateriali (e non si dimentichi che si parte da uno stock molto più basso rispetto alla media nazionale). Naturalmente, se la quantità non fosse così modesta, conterebbe moltissimo anche la qualità degli investimenti pubblici.

Leggi anche:  Mission impossible: rifinanziare le misure anno per anno

In conclusione, il vero problema è che nonostante gli sforzi degli ultimi anni al Sud si continua a spendere moltissimo per incentivi dall’utilità tutta da dimostrare, mentre si investe ancora troppo poco in quei beni pubblici che sono davvero importanti per la crescita nel lungo periodo.

 

(1) Tutti i dati citati provengono da G. Viesti e M. Capriati, “The impact of national policies on territorial cohesion: the case of Italy”, background report per il 3° Rapporto sulla coesione della Commissione Europea, Bari, agosto 2003.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Italia al bivio: intervista a Romano Prodi*