Il ritorno al concorso nazionale deriva dal giudizio negativo sul funzionamento dei concorsi locali che hanno portato a un eccesso di promozioni dei docenti interni e limitato la mobilità. Oltre a determinare la crisi finanziaria di numerosi atenei. Ma sarebbe stato sufficiente istituire procedure di controllo e legare a queste i finanziamenti. Conseguenza di questa scelta è il controllo diretto del ministero sulla spesa, con la rinuncia a delineare un corretto sistema di incentivi. La riforma dello stato giuridico del personale docente è difficile da commentare perché siamo in possesso soltanto di un disegno di legge delega, modificabile in sede di attuazione della delega stessa, e per di più con un testo più volte cambiato. Tuttavia, alcuni tratti fondamentali sono comuni alle versioni che ho visto. Le novità più importanti consistono nelle seguenti: Sul primo punto il mio giudizio è favorevole, poiché il contratto a tempo determinato ha una durata sufficientemente lunga (cinque anni rinnovabili una volta) per garantire ai fruitori meritevoli di vincere un concorso a professore o eventualmente per crearsi una alternativa. Meglio nazionale o locale? Il ritorno al concorso nazionale deriva dal giudizio negativo sul funzionamento dei concorsi locali che hanno portato a un numero eccessivo di promozioni dei docenti interni e limitato la mobilità dei docenti. Tuttavia, il risultato dei concorsi locali non deriva dal fatto che fossero locali, ma piuttosto dal fatto che il ministero non ha istituito un sistema di incentivi per i comportamenti corretti e di punizioni per quelli inappropriati. Tuttavia, i concorsi nazionali erano molto inefficienti. Spesso cadevano (per la stessa fascia) ogni sei anni e i tempi stavano lentamente ma inesorabilmente allungandosi a causa di un forte contenzioso in molti settori scientifico disciplinari. Il risultato era che spesso i giovani brillanti avevano maggiori difficoltà a essere promossi, proprio per la velocità e abbondanza della loro produzione. Sinceramente mi aspetto che i tempi restino quelli di prima: perché mai ora dovremmo essere diventati più efficienti? Dettagli da correggere Infine, alcuni dettagli della legge delega (che speriamo si vorrà correggere) lasciano parecchio perplessi. Ad esempio si riserva il 15 per cento dei posti di idoneo a professore associato ai ricercatori confermati con almeno cinque anni di insegnamento. Perché? Se è vero che le università hanno promosso indiscriminatamente, i ricercatori con anzianità di almeno cinque anni forse non sono necessariamente tra i migliori. A prescindere da questa considerazione, se vogliamo migliorare la scelta del personale docente è opportuno che non ci siano riserve di sorta. La ciliegina sulla torta è costituita dalla spruzzata di clientelismo a favore dei ricercatori anziani.
· sostituzione del ruolo dei ricercatori con personale assunto a tempo determinato;
· eliminazione della differenza fra tempo pieno e tempo definito;
· retribuzioni collegate al merito;
· abolizione dei concorsi locali e ritorno ai concorsi nazionali;
· gli obblighi di docenza del personale docente sono fissati con criteri più precisi.
Sull’eliminazione del tempo definito sono piuttosto perplesso. Collegare le retribuzioni al merito è in linea di principio corretto, ma in questo caso è necessario sospendere il giudizio, perché molto dipende dai dettagli che saranno determinati nell’attuazione della delega.
Chiarifico con esempi. Si dice che le università con le promozioni indiscriminate abbiano compromesso il proprio equilibrio economico. Perché allora non si promuove un progetto di legge che preveda il commissariamento delle università in crisi finanziaria? Perché si è bloccato il fondo di riequilibrio (che, come dice il nome, riequilibra i finanziamenti alle diverse università sulla base di parametri oggettivi, anche se discutibili, di produttività) favorendo di fatto gli atenei che hanno sperperato e danneggiando quelli che hanno assunto comportamenti corretti?
Se il ministero avesse fatto il suo dovere di istituire procedure che consentano un controllo di merito sulle scelte degli atenei e avesse correlato i finanziamenti a questi controlli, oggi la proposta ragionevole non sarebbe la centralizzazione, ma l’abolizione dei concorsi, perché non necessari e spesso dannosi.
Assodato che il ministero non vuole dotarsi dei mezzi per controllare davvero le università, è proprio vero che i concorsi nazionali siano migliori di quelli locali? La risposta (come sempre) è: dipende dagli obiettivi.
Prima dei concorsi locali, avevamo un sistema di concorsi nazionali. Mediamente i vincitori erano migliori: non si poteva promuovere tutti perché era necessaria l’autorizzazione ministeriale per bandire il posto poiché gli atenei non avevano l’autonomia di scelta.
Nel passaggio da concorsi locali a concorsi nazionali vi sono quindi aspetti positivi e negativi. I primi potranno essere maggiori dei secondi, ma non dimentichiamo che esistono anche questi.
Insomma, in materia di reclutamento, il ministero ha assunto il solito atteggiamento da stato borbonico, con un controllo sulla forma, scarso controllo sulla sostanza e conseguentemente controllo diretto della spesa e rinuncia a disegnare un sistema corretto di incentivi.
Sulla parte degli impegni dei docenti, l’atteggiamento è analogo: perché mai lo Stato si dovrebbe preoccupare dell’impegno dei docenti di come dividono il loro impegno fra didattica e altro o su come maggiorare (non più del 10 per cento) la retribuzione di chi si assume maggiori incarichi (di insegnamento?).
Non sarebbe forse più saggio lasciare questa materia alla contrattazione fra docenti e singolo ateneo, fornendo linee guida e penalizzando in termini economici gli atenei che si collocano al di sotto dello standard?
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