La Riforma Moratti non nega la validita’ di principi generali, ribaditi dal piu’ recente dibattito pedagogico. Come l’integrazione fra insegnamento delle materie di base con quelle le attivita’ laboratoriali, la costruzione di relazioni continuative e stabili, la garanzia di una pluralita’ dei modelli cognitivi e di una molteplicita’ degli stili di insegnamento. Abbandona pero’ il tempo pieno non modularizzato e con l’insegnante unico introduce un modello organizzativo che ne impedisce la concreta attuazione.

Uno dei temi sollevati dalla Riforma della scuola primaria delineata dal ministro Letizia Moratti è costituito dal numero di maestri per classe.

Com’è stato finora. E come sarà

La scuola elementare attuale prevede due tipologie organizzative. Il modello del “modulo” dove tre o quattro insegnanti specialisti delle diverse aree disciplinari (linguistico-espressivo, socio-antropologico, scientifico-matematico, e delle educazioni) si distribuiscono su due o tre classi.
E il modello del “tempo pieno” non modularizzato, in cui due insegnanti (uno per l’area umanistica e uno per l’area scientifica) hanno la responsabilità della classe, alternando momenti con un solo insegnante, momenti di compresenza e momenti di attività laboratoriali trasversali, in ogni caso condotte nell’ambito della programmazione della classe.

Entrambi si fondano su alcuni principi sanciti dalla precedente riforma dei cicli del 1985. In particolare, 1) l’esigenza che i singoli maestri possano mettere in atto una specifica competenza culturale e professionale in un determinato ambito del sapere, 2) l’importanza del pluralismo educativo. Tutta la ricerca psicologica sostiene il valore del confronto con una pluralità di figure di riferimento (il padre e la madre; i genitori e i nonni; figure adulte esterne alla famiglia; il gruppo dei pari; diversi insegnanti) per lo sviluppo cognitivo e socio-affettivo del bambino, 3) la necessità che vengano rispettati e sviluppati i diversi stili cognitivi dei bambini. La presenza di più insegnanti permette al bambino di riconoscersi in modelli cognitivi differenti e di ricevere proposte differenziate.

La Riforma Moratti prevede invece il ritorno all’insegnante unico (insegnante prevalente, insegnante tutor) su cui ricadranno almeno 18 delle 27 ore settimanali di insegnamento, l’intera responsabilità formativa della classe e l’insegnamento delle discipline di base, mentre le altre verranno affidate di volta in volta a diversi docenti specialistici.
Questa organizzazione cerca di perseguire l’obiettivo dichiarato nelle “Raccomandazioni” di offrire proposte educative globali e non frammentarie. Ma si richiama anche a esperienze di maestri come Maria Montessori, Don Lorenzo Milani, Mario Lodi che hanno saputo raccogliere in sé competenze disciplinari trasversali, nonché intuizioni e competenze pedagogico-didattiche eccezionali.

I principi educativi

In questi anni, l’analisi delle diverse realtà scolastiche ha messo in luce che ognuno di questi tre modelli didattici costituisce una scelta che non può essere semplicemente legata al numero degli insegnanti destinati a una classe.
Ci sembra auspicabile, perciò, spostare la riflessione da una questione meramente quantitativa all’analisi degli aspetti educativi di carattere qualitativo. Tanto più che esiste una significativa ricerca di livello internazionale su questi temi.

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In un recente seminario a Oxford organizzato dalla Qualification and Curriculum Authority sul tema International Trends in Primary Education, sono stati presentati i risultati di ricerche comparate a cui partecipano diversi paesi europei, Stati Uniti e Canada, oltre a Nuova Zelanda e alcuni paesi orientali (Corea, Giappone, Indonesia). Ne emergono tre punti principali

· Innanzitutto, l’insegnamento delle materie di base deve essere integrato con quello delle cosiddette “educazioni”. Richiamandosi esplicitamente al modello della scuola dell’infanzia di Reggio Emilia, per la scuola primaria si auspica una proposta formativa in cui le attività laboratoriali e creative non siano considerate come “specialismi”, ma diventino il terreno su cui costruire abilità e competenze di base. (1)

· È stato sottolineato come la costruzione di relazioni continuative e stabili con e fra i bambini, con e fra i genitori, rappresenti un forte fattore di protezione rispetto all’insuccesso scolastico e ai casi di svantaggio secondo la ricerca psicologica più avanzata. L’esperienza italiana, che salvaguarda la continuità del gruppo classe durante la settimana e nel corso di tutto un ciclo scolastico, costituisce un modello di forte interesse, anche se ancora poco studiato.

· Infine, la centralità del costruire relazioni significative all’interno della classe non vuol dire affermare l’esistenza di un singolo modo, sempre e comunque efficace con tutti i bambini, con tutti i gruppi classe, in tutte le situazioni e contesti. Per questo, resta importante garantire la pluralità dei modelli cognitivi e la molteplicità degli stili di insegnamento.

La riforma

La Riforma Moratti non nega la validità di questi principi generali, che anzi vengono richiamati nelle Raccomandazioni. Introduce però un modello organizzativo che ne impedisce la concreta attuazione.
La figura di un insegnante unico, che garantisce la coerenza pedagogica e la continuità relazionale, è prevista a prezzo della rottura dell’unitarietà del gruppo classe, inevitabile quando si chiede alle famiglie di scegliere fra diverse attività opzionali. Inoltre, la riproposizione dell’insegnante unico introduce elementi di rigidità, perché diventa più difficile sviluppare progetti individualizzati per colmare svantaggi e insuccessi scolastici di alcuni alunni. Una rigidità tanto più preoccupante per le decurtazioni volute dal ministro sul personale specializzato: facilitatori, insegnanti di sostegno, insegnanti di laboratorio.

Infine, il modello organizzativo fondato sull’insegnante di riferimento impone gli altri insegnanti specialisti di seguire un numero così alto di classi da deresponsabilizzarli rispetto alla relazione e al progetto educativo relativo ai singoli alunni. Per esempio, nella scuola media di primo livello è stato diminuito il numero di insegnanti grazie alla eliminazione dei docenti di educazione tecnica. Sono state ridotte le ore degli insegnanti di lettere che tradizionalmente costituivano il pilastro relazionale di riferimento per ragazzi e genitori. Le lingue straniere obbligatorie sono diventate due per tutti, ciascuna con due ore settimanali di insegnamento. Tuttavia, agli insegnanti di lingue straniere è stato affidato un numero di classi così alto (sei-otto) che si rivelerà impossibile garantire quella qualità della relazione che si assurge a principio nelle Raccomandazioni ministeriali. (2)
Davvero non si spiega perché questa riforma abbia abbandonato il modello di un “tempo pieno non modularizzato” che nel dibattito pedagogico sembra poter mediare fra il rischio di frammentazione del “modulo” (per come attualmente sperimentato) e il pericolo di un modello totalizzante sotteso all’idea dell’insegnante unico.

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Nel modello del tempo pieno non modularizzato, i due insegnanti, responsabili a pieno titolo del gruppo classe e della progettazione didattica, garantiscono la continuità relazionale e, al tempo stesso, la pluralità dei modelli didattici. E si evita al maestro di rivestire il ruolo del “tuttologo”, in realtà poco preparato su tutto. La compresenza e la collaborazione fra i due docenti consente una programmazione didattica in grado di rispondere ai diversi livelli, caratteristiche ed esigenze dei bambini all’interno di un gruppo di pari che rimane comunque coeso, senza lo spettro delle vecchie classi differenziali. Le attività laboratoriali sono rivolte a tutti bambini e proprio perché progettate e realizzate in continuità con le ore curricolari dell’intero gruppo classe, costituiscono opportunità di approfondimento e qualificazione dell’attività didattica e non momenti di sporadico e occasionale intrattenimento.

 

(1) Come dimostra ad esempio il modello pedagogico steineriano, le attività psicomotorie possono costituire una delle basi per la costruzione dei concetti di spazio o per l’acquisizione di abilità legate alla scrittura.

(2) Peraltro, è solo grazie a uno degli emendamenti proposti dall’Anci che si è evitato di ridurre il tempo mensa e il cosiddetto “intervallo lungo” a mera assistenza, affidandolo a personale non docente esterno alla scuola.

 

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