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Buone notizie in momenti difficili

L’inchiesta sulle forze lavoro relativa al primo semestre 2005 segnala un aumento di 84mila posti di lavoro rispetto al quarto trimestre del 2004, pari allo 0,4 per cento. Come si spiega questo andamento se si considera la riduzione del Pil degli ultimi due trimestri? L’aumento occupazionale è legato al processo di riforme del mercato del lavoro. Ma anche alla rilevazione di lavoratori sommersi. Nel complesso, la crescita dell’occupazione rimane un fatto totalmente settentrionale, con il Centro e il Mezzogiorno addirittura in leggero calo.

Le statistiche non portano solo cattive notizie, ma quelle buone vanno interpretate. L’inchiesta sulle forze lavoro relativa al primo semestre 2005 segnala un aumento di 84mila posti di lavoro rispetto al quarto trimestre del 2004, pari allo 0,4 per cento. Su base annua (rispetto quindi al primo trimestre del 2004) l’occupazione è aumentata ad un tasso pari all’1,4 per cento, a cui corrispondono in valore assoluto quasi 310mila posti di lavoro in un anno. Confrontando l’aumento occupazionale con la riduzione del Pil registrata negli ultimi due trimestri (il quarto del 2004 e il primo del 2005) appare chiaro che il mercato del lavoro dimostra una capacità di creare posti di lavoro superiore a qualunque aspettativa.

Come interpretare la buona notizia

Stabilito che si tratta di una notizia positiva e inaspettata, occorre ora interpretarla. Le spiegazioni più plausibili appaiono due. Primo, stiamo assistendo a una ripresa della cosiddetta “luna di miele” delle riforme, ossia l’aumento occupazionale legato al processo di riforme del mercato del lavoro. Permettono alle imprese di assumere i lavoratori con forme contrattuali flessibili, senza poter in alcun modo aggiustare lo stock di occupati regolari e permanenti.
L’idea è che fino a quando i lavoratori regolari non saranno tutti in pensione, l’occupazione totale potrà continuare a crescere. Il fatto che il part-time sia aumentato su base annua del 2,6 per cento, raggiungendo così 13,1 per cento degli occupati, va esattamente nella direzione dell’effetto luna di miele. Così come il recupero degli occupati a termine, la cui incidenza sul totale è risalita all’8,5 percento, contro il 7,8 per cento del primo trimestre 2004. Ma per spiegare il miracolo ci deve essere dell’altro. La rilevazione nelle forze lavoro di lavoratori sommersi può essere la seconda spiegazione.
Si noti che stiamo parlando di rilevare lavoratori sommersi, e non di vera e propria emersione. La differenza è sottile, ma merita di essere sottolineata. Nelle statistiche sul prodotto (ossia nella formazione del Pil) l’Istat procede già da tempo a correggere per il sommerso. Ciò non accade nell’inchiesta delle forze lavoro, dove gli individui intervistati rispondono a domande sulla loro condizione nel mercato del lavoro, senza alcun riferimento diretto alla natura della prestazione, sia essa regolare o irregolare. È possibile quindi che diversi lavoratori, effettivamente regolarizzati, tendano a emergere soltanto nelle statistiche del lavoro e non in quelle del prodotto, dove la correzione per il sommerso è invece già presente. Il boom dell’occupazione nelle costruzioni, cresciute in un anno del 9 per cento sembra andare in questa direzione:è risaputo che la maggior parte dei lavoratori sommersi si trovano in questo settore. E i dati del Pil più recenti ci dicono invece che il boom delle costruzioni si è arrestato.

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Le solite luci e ombre

Il resto delle statistiche pubblicato nasconde le solite luci e ombre. La crescita dell’occupazione rimane un fatto totalmente settentrionale, con il centro e il mezzogiorno addirittura in leggero calo. Positiva è invece la ripresa occupazionale nei servizi, mentre appare fisiologico il calo dell’agricoltura. L’industria in senso stretto è piatta.
Infine, il tasso di occupazione (il rapporto tra occupati e popolazione in età lavorativa) è salito al 57,1 per cento, il livello più alto da oltre un decennio. Il tasso di disoccupazione è pari al 7,9 per cento su base congiunturale, in leggera diminuzione rispetto al quarto trimestre del 2004.

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Sommario 15 giugno 2005

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L’Agenzia e la base imponibile delle addizionali locali

  1. Fabio Cantoni

    Facendo provocatoriamente una distinzione fra lavoro cattivo e quello buono, non si può che constatare che, da un po’ di anni, cresce nel paese l’opportunità di impiego in posizioni dalla bassa qualifica e valore aggiunto (commessi di supermercato, muratori, badanti…), mentre diventa sempre più difficile lavorare in settori “avanzati” ed innovativi. La crisi del comparto dell’ICT, e della ricerca, sia pura che applicata, sembrano esempi significativi in tal senso. sensa parlare di settori oramai morti, come la Chimica.
    La regressione della classe media non è solo economica, ma anche e sopratutto culturale. E’ veramente un fenomeno inarrestabile?

  2. paolo borghi

    Ci potrebbe essere una ulteriore spiegazione all’incremento dell’Occupazione a PIL calante: lo sviluppo occupazionale in settori a bassa produttività (colf; Badanti; piccole manutenzioni; occupazione extra-comunitaria a bassa qualifica).
    Il che potrebbe anche dire che il PIL (dal punto di vista della sua composizione) va ben peggio degli indicatori che lo misurano.
    Il riscontro si puo’ avere rilevando gli avviamenti al lavoro per larghissima parte di basa qualifica) e le attese occupazionali (Progetto xcelsior), sempre di bassa qualifica, oppure guardando con più attenzione i bisogni/consumi in espansione anche in relazione al forte invecchiamento della popolazione.
    Da qualsiasi parte si guardino gli ultimi incrementi occupazionali, purtroppo rilevano la pessima qualità del poco sviluppo in atto.
    Saluti Paolo Borghi – Direttore Centro Impiego Bassa Val di Cecina (LI) – paborghi@iol.it

  3. Formisano Federico

    Ho coordinato un gruppo di studio dell’Associazione Vicenza Riformista sulle tematiche del mondo del lavoro con la partecipazione di esponenti sindacali, delle associazioni datoriali, ecc. L’incremento della forza lavoro continua ad apparirmi come un dato difficile da spiegare. Noi a Vicenza siamo nel pieno del Nord-Est in una realtà dove la disoccupazione praticamente non esiste e non esisteva. Eppure anche qui la crisi ha colpito duro: lo dimostra l’incremento dei fallimenti, delle chiusure di azienda, della mobilità, della cassa integrazione salita in modo esponenziale. Interi comparti (quello orafo famoso nel mondo, quello delle confezioni, quello della concia, della ceramica, ecc.) sono in crisi spaventosa. E tutti dicono il 2004 doveva essere l’anno horribilis il 2005 doveva essere migliore; e invece al peggio non c’è limite. In compenso aumentano i lavoratori precari in maniera tale da far spaventare anche il mondo bancario ed il mondo immobiliare. I giovani che non hanno un posto sicuro non possono chiedere mutui o prestiti alle banche e quindi rimandano matrimonio ed acquisto della casa. Io non credo che questo incremento dell’occupazione stia producendo effetti reali. Anzi!

  4. maurizio carra

    La fotografia che l’Istat ha fatto sullo stato di salute del paese è impietosa. Nulla che non si sapesse, ma vederlo confermato dall’Istituto Centrale di Statistica accresce la preoccupazione. Sono molte le ombre evidenziate dal Rapporto. E un sondaggio condotto da Ipsos conferma che una famiglia su cinque si trova in seria difficoltà, una su due (48%) non riesce a risparmiare, il 13% ha dovuto intaccare i risparmi accumulati e registra un calo di 14 punti (dal 48% del 2001 all’attuale 34%) in soli tre anni di chi è riuscito a risparmiare qualcosa confermando il fenomeno dell’impoverimento dei ceti medi. E il futuro non lascia presagire alcun miglioramento. Prevale infatti nella maggioranza dei cittadini la percezione del declino del paese. Solo l’occupazione cresce. Ma non c’è da rallegrarsi troppo se l’occupazione cresce in un contesto di stagnazione economica. Quello che si sta verificando da noi è l’esatto contrario di quanto avviene negli USA dove imperversa la polemica sulla “jobless recovery” (crescita senza occupazione). Per la verità l’occupazione è aumentata, ma la tendenza non è ancora consolidata. Per quale ragione in America l’occupazione ristagna e non tiene il passo della crescita economica che viaggia sul ritmo del 3/4% annuo? Le cause sono da ricercarsi nel più intenso sfruttamento della capacità produttiva degli impianti, nel miglioramento delle tecnologie e nella dislocazione all’estero di attività in precedenza svolte in loco (outsoursing). Si tratta di una grande e variegata quantità di servizi (anche ad alta tecnologia) appaltati in Asia, in India e in Russia dove il costo, a parità di qualità, è un terzo di quello domestico.
    Ma torniamo alla nostra anomalia: l’occupazione senza crescita, per esaminarne le cause. La prima può essere individuata nel comportamento di quei disoccupati che, ormai sfiduciati, si cancellano dalla lista negli uffici di collocamento e che per la statistica, non essendo più iscritti, vengono considerati occupati. Una seconda considerazione porta a ritenere che i nuovi occupati, non siano “nuovi, ma siano lavoratori emersi dal sommerso. Una terza attribuisce il fenomeno alla flessibilità del lavoro nelle sue varie tipologie. Oggi vengono considerati “occupati” i lavoratori cosiddetti atipici che prestano la loro opera anche per poche ore settimanali. Le ore lavorate nell’arco di un mese sono, infatti, cresciute in assoluto molto meno di quel che farebbe credere il numero di nuovi occupati. E anche il monte salari, depurato dagli aumenti contrattuali, non risente l’impatto dei nuovi assunti. E’ quindi un aumento più formale che sostanziale. Se poi la maggiore occupazione fosse effettiva dovremmo chiederci con apprensione il motivo per cui l’apporto di questi lavoratori non contribuisca ad accrescere, in termini di Pil, la ricchezza del paese. Saranno stati assunti (lo diciamo provocatoriamente) in lavori improduttivi o socialmente inutili? Parlando di inefficienza una cosa è certa, anche se sorprendente: i nuovi occupati non possano essere stati assunti nella Pubblica Amministrazione perché, se così fosse, anche il Pil si sarebbe mosso all’insù. Mi spiego. Nel determinare il Pil la “produzione” della Pubblica Amministrazione viene misurata con il parametro del costo. Quindi una crescita degli stipendi o i costi relativi a personale di nuova assunzione (a prescindere dalla loro produttività) va ad aumentare il dato aggregato del Pil. Incredibile, ma è così. Con l’istituzione quindi di nuove Province e il decentramento di poteri centrali alle Regioni il Pil non potrà che crescere e confermare così la propria inaffidabilità.

  5. Emanuele

    Questa sorta di “miracolo occupazionale” che l’Italia sta vivendo rischia di essere un bel rompicapo per numerosi economisti del lavoro. Come è possibile che con dei tassi di crescita del Pil prossimi allo zero nel 2004 si siano fatti registrare ben 620.005 nuove posizioni lavorative? E’ un dato di fatto: l’occupazione in Italia sta continuando a crescere pur con un’economia stagnante. Sembra proprio che la famosa legge di Okun non valga per il contesto italiano attuale.
    Si potrebbe argomentare che l’incremento occupazionale sia dovuto quasi esclusivamente all’introduzione di nuove forme contrattuali più flessibili e al recupero di una certa percentuale di lavoro nero. Se cosi fosse bisognerebbe allora riconoscere i meriti ai creatori della legge Biagi. Delle due l’una. O l’occupazione effettiva non è cambiata e il presunto aumento di occupazione è da addurre al recupero del sommerso oppure siamo davvero di fronte ad un incremento effettivo d’occupazione dovuto all’introduzione di nuove forme di flessibilità contrattuale. In entrambi i casi, tuttavia, la legge Biagi ha raggiunto gli obiettivi prefissati: incrementare l’occupazione e ridurre il lavoro nero.
    Concludo sottolineando che il saldo attivo del rendiconto INPS per il 2004 si è concluso con un risultato pari a 5.264 mln di euro , contro i 405 mln del 2003. Inoltre il Fondo pensioni dei lavorati dipendenti si presenta con un attivo pari a 2.096 mln di euro, contro i -1.658 del 2003. Penso che di questi tempi siano dei risultati positivi da non sottovalutare.

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