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Dare credito allo studio

I dati mostrano che il modello italiano di diritto allo studio è inefficace. I sussidi sono modesti rispetto al costo della laurea, e difficilmente possono influire sulle decisioni dei giovani provenienti dalle famiglie meno abbienti. Meglio sarebbe introdurre forme di credito agli studi universitari. Che dovrebbero coprire i costi dell’istruzione, ma anche i mancati salari, con rimborsi a lungo termine. Ricordando che i paesi con una alta percentuale di laureati hanno anche un elevato differenziale medio salariale a favore di chi possiede un titolo universitario.

Il diritto allo studio è garantito dalla Costituzione italiana: “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. (1)
L’intento appare quello di favorire una maggiore mobilità sociale. Ma in quale misura l’attuale modello di diritto allo studio consegue questo obiettivo?

Le politiche di diritto allo studio

Storicamente, in Italia il diritto allo studio è stato perseguito attraverso la drastica riduzione dei contributi per tutti gli studenti, e non con l’esenzione dalla contribuzione solo dei più poveri o più meritevoli. I pur consistenti aumenti delle tasse universitarie applicati dopo la riforma Ruberti sull’autonomia dell’università non hanno modificato in modo sostanziale le linee di questa politica. Da dati ricavati dal sito dell’ufficio statistiche del ministero dell’Istruzione, università e ricerca, abbiamo calcolato che nell’anno accademico 2002-03 il 10 per cento degli studenti (il 16 per cento dei non fuori corso) ha usufruito dell’esenzione totale dai contributi e un ulteriore 9 per cento dell’esenzione parziale. In media, esenzioni totali e parziali non ammontano a più di 600 euro.
Inoltre, nonostante sia prevista la devoluzione di assegni di studio, borse di studio e altre provvidenze, in base principalmente al reddito familiare, questi interventi riguardano una piccola frazione della popolazione universitaria. Sempre secondo i dati del ministero, meno dell’8 per cento degli studenti in corso ha beneficiato degli interventi di Stato e Regioni, per un importo medio di 1.320 euro l’anno
Includendo solo le borse di studio erogate (l’altra categoria principale di interventi è costituita dai contributi per la mobilità internazionale degli studenti), l’importo medio sale a 2.321 euro.
Sommando la borsa di studio all’esenzione delle tasse, un giovane meritevole e proveniente da una famiglia poco abbiente può quindi aspettarsi di ricevere un sussidio inferiore ai tremila euro l’anno: in totale in quattro anni sono 11.170 euro (annualizzati al tasso del 5per cento), a fronte di un costo totale degli studi, che include i salari mancati, di quasi 72mila euro.

I dati mostrano dunque che il modello italiano di diritto allo studio soddisfa in misura solo parziale e inadeguata gli auspici del dettato costituzionale. I trasferimenti sono modesti rispetto al costo della laurea, e difficilmente possono influire sulle decisioni dei giovani provenienti dalle famiglie meno abbienti.
Il fallimento della politica del diritto allo studio è reso evidente dal fatto che, come consegue dai dati della
Conferenza dei rettori, nel 2002 la percentuale di laureati tra la popolazione adulta (di età compresa tra i 25 e i 64 anni) è in Italia pari al 10 per cento, inferiore a quella della media dei paesi Ocse (15 per cento), ma anche a quella della Repubblica Ceca (12 per cento), del Regno Unito (14 per cento), dell’Islanda (18 per cento), della Danimarca (24 per cento), e così via.

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Dai poveri ai ricchi

Né l’importo ridotto delle tasse universitarie incentiva la mobilità sociale attraverso l’ingresso all’università dei giovani più capaci e meritevoli provenienti da famiglie meno agiate. Al contrario, sono i giovani provenienti dalle famiglie più agiate a essere favoriti. Questo perché gli interventi per il diritto allo studio, finanziati in larga parte dal bilancio fiscale dello Stato, rappresentano un trasferimento dalle famiglie che non hanno figli iscritti all’università a quelle che ne hanno. Ma sono queste ultime a essere relativamente più abbienti.
Usando i dati dell’indagine sui redditi delle famiglie italiane della Banca d’Italia, abbiamo confrontato i redditi e la ricchezza delle famiglie dei ragazzi fra 17 e 25 anni in possesso di diploma di maturità che vivono con i genitori. Le famiglie dei ragazzi che frequentano l’università guadagnano più di 31mila euro annui e possiedono una ricchezza netta di quasi 320mila euro, mentre le famiglie dei non iscritti guadagnano meno di 25mila euro annui (escludendo il reddito del figlio che lavora) e possiedono una ricchezza inferiore ai 200mila euro. (2)
Inoltre, le tasse e i contributi universitari introdotti negli atenei statali negli ultimi dieci anni, oltre che modesti, sono progressivi: crescono cioè in modo più che proporzionale al reddito, in pratica spesso al reddito dichiarato ai fini dell’imposizione fiscale. In un paese a elevata evasione come il nostro, questo può rappresentare un sussidio agli evasori fiscali.

Un modello da cambiare

È perciò necessario cambiare il modello di diritto allo studio. Gli studi universitari producono ottimi rendimenti. Se molti giovani non li intraprendono è perché (le loro famiglie) non si possono permettere di ritardare il loro ingresso nel mercato del lavoro. La componente principale del costo degli studi non sono le tasse universitarie, ma i mancati salari. L’università a prezzi di sconto è un falso rimedio a vantaggio dei ricchi (presenti o futuri).
Meglio sarebbe introdurre o facilitare forme di credito agli studi universitari. La legge di riforma prevede i “prestiti d’onore”, ma nel 2001 e 2002 (gli unici anni per cui i dati siano disponibili) non ne è stato erogato nessuno. Come impostare allora una efficace politica di credito agli studi universitari? È necessario l’intervento pubblico? Perché i mercati finanziari non offrono allo stato attuale finanziamenti allo studio? Dopo tutto, il rendimento di questo investimento è pari quasi al 10 per cento al netto delle tasse, molto più di tanti altri investimenti pur finanziati dalle banche.
Per avere un effetto sostanziale, il credito dovrebbe coprire non solo i costi di istruzione, ma anche i mancati salari, permettendo a studenti senza il supporto di genitori abbienti condizioni di vita “normali”. Il rimborso dovrebbe avvenire a lungo termine, dopo vari anni di esperienza lavorativa, quando un giovane laureato inizia a percepire in media un salario sostanzialmente superiore a quello di un diplomato. E dovrebbe essere garantito in modo efficace il diritto legale dei creditori a rivalersi sui redditi futuri dei debitori. Per facilitare lo sviluppo del credito di lungo termine allo studio, ad esempio, si dovrebbero permettere ai creditori forme di accesso al reddito imponibile ai fini fiscali o addirittura alle retribuzioni pensionistiche dei debitori.
Tali sistemi di credito potrebbero essere offerti dai mercati finanziari privati ed essere sostenuti da una garanzia statale, o direttamente dallo Stato. Che potrebbe – e dovrebbe – poi avvalersi del proprio potere di imposizione fiscale per ottenere il rimborso del prestito. Senza garanzie di questo tipo, il credito agli studi non è remunerativo per la finanza privata e non è sostenibile per quella pubblica.
Per incentivare maggiormente l’accesso all’università dei cittadini, specie i meno abbienti, il credito allo studio universitario potrebbe essere sussidiato. Almeno in parte, il sussidio potrebbe essere coperto dall’imposizione di tasse di iscrizione e contributi decisamente più elevati per le famiglie più abbienti. Tasse universitarie che coprano in maniera più consistente la spesa per l’università possono essere agevolmente sostenute in assenza di vincoli al credito, e in ogni caso dalle famiglie meno povere, pur garantendo notevoli rendimenti del titolo universitario. Per esempio, aumentare il contributo medio a 5mila euro annui per studente garantirebbe un rendimento percentuale dell’investimento pari a circa l’8 per cento annuo. (3)
La situazione del (e il dibattito intorno al) credito allo studio nell’Unione Europea non pare incoraggiante. (4) L’Australia e la Nuova Zelanda hanno introdotto negli anni Novanta forme di credito ancora di dimensioni limitate (nel caso dell’Australia volte a coprire solo i costi di iscrizione e frequenza), ma a lungo termine e da rimborsarsi mediante imposizione fiscale. Sarà interessante studiare gli effetti di questa innovativa politica del diritto allo studio nei prossimi anni. (5)
Nel nostro paese esiste certamente molto spazio per una più efficace politica del diritto allo studio. Ma una razionale riforma del sistema scolastico, e universitario in particolare, nonché una maggiore flessibilità del mercato del lavoro (che garantisca una minore compressione salariale a favore dei lavoratori più abili) avrebbero effetti potenzialmente molto maggiori nell’aumentare il rendimento degli studi universitari e quindi nell’incentivare i giovani a intraprenderli.
I paesi che hanno una elevata percentuale di laureati tra la popolazione adulta, come ad esempio gli Stati Uniti (28 per cento, secondo i dati della Conferenza dei rettori), hanno anche un elevato differenziale medio salariale a favore di coloro che posseggono un titolo universitario (negli Stati Uniti più del doppio rispetto all’Italia) e un invidiabile sistema universitario.

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(1) Articolo 34, comma 3 e 4 della Costituzione.
(2) Si veda “
La finta equità dell’università italiana” di Roberto Perotti su lavoce.info e l’articolo di Nicholas Barr sull’Education Forum – http://www.educationforum.org.nz/documents/articles/issue92.pdf)
(3) La cifra è ottenuta usando le stesse tecniche di calcolo del rendimento adottate nel nostro articolo precedente (LINK “
La laurea, un ottimo investimento“).
(4) Si veda a questo proposito M. Guille, 2002, “Student loans: a solution for Europe?”, European Journal of Education, 37, 417-31.
(5) Si veda per il data set della Nuova Zelanda:
http://www.stats.govt.nz/datasets/education-training/Student+loan+borrowers.htm

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14 commenti

  1. B.Veronese

    Non discordo sul fatto che ci siano inefficienze e che sia necessario aprire un serio dibattito sull’impatto redistributivo dei fondi erogati per l’educazione. Tuttavia, far indebitare gli studenti puo’ avere pesanti impatti negativi. Plausibilmente, anche questi effetti saranno un problema maggiore per i meno abbienti.
    Allego il colllegamento a un paio di articoli pubblicati su internet nel Regno Unito. Mi paiono in linea con servizi visti sulla BBC e giornali.
    http://news.bbc.co.uk/1/hi/education/3936529.stm;
    http://www.wsws.org/articles/2005/apr2005/uked-a27.shtml
    Cordialmente,
    B Veronese

    • La redazione

      Grazie per il commento e gli articoli web.
      Ma nessuno vuole “far indebitare gli studenti”. Gli studenti scelgono di indebitarsi o meno come persone responsabili. Allo stesso modo in cui scelgono che lavoro fare, che macchina comprare, chi sposare e quanti figli avere. E come persone responsabili sanno che se si indebitano poi devono ripagare. Se ciò ha “pesante impatto negativo”, non lo fanno.

  2. Giuseppe Scalas

    Io spingerei le cose ancora più oltre togliendo alle Università tutti i finanziamenti diretti dallo Stato e trasformandoli in borse di studio “universali”, graduate in base al reddito e al merito. Così l’Università sarebbe remunerata solo dalle scelte degli studenti. Ciò richiederebbe:
    1) Separare didattica e ricerca
    2) Dare totale autonomia gestionale alle Università sulle assunzioni e sulle carriere dei docenti in base unicamente ad un CCNL di tipo privato.

  3. Alessandro Albertin

    Forse bisognerebbe anche considerare che in un paese dove si “eredita” il posto da notaio, si “eredita” il posto da medico, si “eredita” il posto in Cosiglio di Amministrazione, si “eredita” il posto da Docente Universitario, ecc. il finanziamento degli studi universitari per i “poveri” non sarebbe così remunerativo e quindi i “privati” ne starebbero alla larga.

    • La redazione

      In un precedente articolo [La laurea, un ottimo investimento ] abbiamo abbozzato una stima del rendimento della laurea, che ci pareva notevole. La scarsa mobilita’ sociale (dovuta all “ereditarieta’ dei posti di lavoro”) dovrebbe implicare una rilevante riduzione del rendimento della laurea per i “figli di nessuno” perche’ l’argomento sia corretto. E’ possibile e sarebbe molto interessante accertarsene.

  4. Paolo Giabardo

    Ci sarebbe un modo per migliorare la situazione per pervenire ad un effettivo diritto allo studio e migliorare anche efficacemente la preparazione degli studenti. Bisognerebbe creare dei centri di formazione universitaria di eccellenza, da affiancare ai tradizionali atenei, sul modello della Scuola Normale di Pisa piuttosto che della Scuola Galileiana di Padova. Ovviamente gli studenti che frequentassero questi centri di eccellenza non dovrebbero pagare nulla, nè le tasse universitarie, nè vitto o alloggio (proprio come succede per i due istituti sopracitati). In questo modo forniremo agli studenti di eccellenza un seria opportunità di formazione, mentre oggi molti studenti di questo tipo sono letteralmente mortificati dal sistema universitario tradizionale.

    • La redazione

      Completamente d’accordo: le scuole d’eccellenza sono ottime istituzioni. In Francia funzionano benissimo, salvo generare una cultura chiusa di appartenenza che molti lamentano. Ma l’attivita’ di ricerca in queste istituzioni e’ di prim’ordine.
      Queste scuole si rivolgono pero’ a una frazione limitatissima della popolazione studentesca. Il diritto allo studio ha come obiettivo soprattutto il resto della popolazione.
      Alberto Bisin

  5. Emanuele M.

    Nel Vostro contributo si fa riferimento alla tutela costituzionale del diritto allo studio. Si indica come possibile soluzione la formula del credito agli studenti. Ma il credito va ripagato e se viene ritenuto troppo oneroso? Rispondete che “come persone responsabili …se ciò ha “pesante impatto negativo”, non lo fanno”. A mio parere, non e’ semplice per uno studente appena diplomato prevedere quale rendimento avra’ negli studi universitari, quanto tempo gli occorrera’ per completare gli studi, quando trovera’ lavoro e quanto guadagnera’. Pertanto, alcuni (secondo me, molti) studenti potrebbero ritenere incauto contrarre tale debito. Per questi individui si dovrebbe parlare di libera scelta di non proseguire gli studi oppure considerare la loro condizione come conseguenza della mancata attuazione al principio costituzionale?

    • La redazione

      Ogni giovane (studente o meno) prende tantissime decisioni che hanno enorme impatto sulla sua vita futura: decide se fumare, bere, fare uso di droghe; se avere rapporti sessuali protetti o meno; se sposarsi, con chi e quando; se avere figli, quando, equanti. Meno drammaticamente ogni giovane
      (possibilmente con il supporto della famiglia) decide se andare all’universita’, e in caso a quale facolta’ iscriversi, quanto studiare, quali corsi frequentare, quale attivita’ lavorativa intraprendere. Potremmo andare avanti con esempi per piu’ di quanto LaVoce voglia ospitarci. Di
      tutte queste scelte (fortunatamente!) ogni giovane e’ responsabile e ritenuto tale dalla societa’. Uno dei punti dell’articolo e’ che il ripagamento dei debiti debba essere fatto non subito ma avanti nel corso della vita dell’individuo,
      quando il suo potenziale di reddito e’ raggiunto, o addirittura in eta’ di pensione. Piu’ diritto allo studio di cosi’…. Ma per essere certi che le scelte degli individui siano responsabili e’
      necessario che essi ne ripaghino le conseguenze; in questo caso i debiti. Cosi’ come se uno scopre a 40 anni che avrebbe fatto meglio ad continuare la carriera di calciatore
      professionista invece di fare l’economista, beh, … paga gli errori di gioventu’ e continua a fare l’economista.

  6. Nicola D'Alessio

    L’indebitamento può risultare una soluzione solo se il valore atteso del proprio investimento universitario risulti relativamente consistente. Purtroppo in alcune zone depresse del paese e per particolari lauree considerate “deboli” (es. indirizzo umanistico-letterario) il valore atteso futuro dell’investimento è molto, molto basso. Inoltre un soggetto economicamente debole sarà sicuramente influenzato dalla presenza di particolari eventi, come problemi di salute, o peggio famiglia di origine non autosufficiente da mantenere a causa di problemi di salute dei produttori di reddito del nucleo di origine. Soprattutto le aree depresse, quelle a maggiore concentrazione di soggetti universitari “deboli” avranno maggiore probabilità di ritrovarsi in situazioni di emergenza che, se avvengono ad esempio a metà degli studi vanificano buona parte di essi. Le attuali borse ISU (se ne discuteva sul forum del ns corso di laurea) non garantiscono forme “assicurative” in caso di problemi di salute, familiari, lutti. Si rischia di perdere la capacità di essere (parzialmente) autosufficienti tramite la propria borsa, e quindi abbandonare l’università. Con i prestiti un eventuale abbandono (a meno di clausole assicurative su eventi particolari) a causa di eventi particolari comporterebbe probabilmente la revisione anche delle condizioni del prestito, nonchè la creazione di una situazione debitrice che pregiudicherebbe l’accesso al credito presso altre istituzioni…. piove sul bagnato.

    • La redazione

      non capiamo il “piove sul bagnato.” Condizioni di assicurazione per eventi osservabili non soggetti ad azzardo morale sono sempre possibili e auspicabili. Ma questo non ha nulla a che fare con l’universita’ per se. Un imprenditore che
      apra un ristorante puo’ ammalarsi, e anche un operaio che abbia fatto un mutuo per comprarsi una casa. Non dovremmo dare mutui perche’ abbiamo paura che la casa bruci? no, ci assicuriamo contro gli incendi. E comunque credito allo
      studio serve esattamente a posticipare il ripagamento dei costi dello studio cosi’ che lo studente dipenda meno dalle condizioni della famiglia di origine. Il punto e’ che lo studente
      ripaghi con i propri redditi futuri, e non con quelli presenti.
      Il fatto che alcune lauree rendano molto poco (facolta’ umanistiche) e’ vero, ma noto. Se lo studente sceglie tali indirizzi di studio lo fa perché presumibilmente ricava altri vantaggi non monetari. Non c’è ragione perche’ la
      società provveda un sussidio a questa scelta, a meno che non si argomentino rilevanti rendimenti sociali (relativamente ad esempio alle scienze).

  7. Matteo Olivieri

    Uno dei luoghi che la Guardia di Finanza dovrebbe frequentare più assiduamente ci sono i parcheggi delle case albergo universitarie, vere e proprie concessionarie all’ultima moda di grossa cilindrata. SIamo un popolo di poeti ed evasori.
    La problematica del credito è tuttavia secondaria se si pensa che molti dei meno abbienti sono oggi costretti a lavorare durante gli studi, e niente gli impedirebbe di pagare in acconto i prestiti. Soprattutto l’accesso al credito darebbe un impulso, da noi svanito, allo studiare è bello. Pensando alla mia esperienza di fuori sede parsimonioso penso a quanti pochi soldi ho speso per le tasse univerisitarie in rapporto ad affitto e divertimenti. Perchè non creare una rete di convenienze legate a questo credito che scardini il secolare inciucio tra amministrazioni pubbliche, esercenti, affittuari ed universitari tartassati?
    Una volta che le cose si fanno si fanno per bene.

  8. barbara balboni

    L’idea dei prestiti non sembra male, però, anzichè rivoluzionare un sistema di diritto allo studio con tanti difetti, ma consolidato, sarebbe forse il caso di sperimentarla da qualche parte e vedere se in effetti, in Italia ( e non in altri paesi del mondo che hanno realtà sociali diverse ) porta in università un numero maggiore di persone “capaci e meritevoli” provenienti da famiglie non abbienti e non istruite.
    Detto questo l’idea di aumentare le tasse universitarie a 5000 euro l’anno mi sembra proprio una provocazione inutile. Oltre a non migliorare automaticamente le possibilità di accesso all’università dei capaci e meritevoli non abbienti, peggiora sensibilmente le possibilità di accesso dei figli di famiglie mediamente abbienti: pensando di avere una università raggiungibile via treno in giornata, una famiglia mediamente agiata con due figli farebbe molta fatica a garantire l’università a tutti e due, anche se sono entrambi mediamente meritevoli; a questo punto che si fa, si gioca a testa e croce?
    In un paese che lamenta un basso numero di laureati mi sembra un po’ grottesca come situazione.

    • La redazione

      Grazie per il commento, ma purtroppo non ci aspettiamo nessuna sperimentazione. Non c’e’ intento di provocazione nell’idea di aumentare le tasse. E’ invece la (una) conseguenza dell’argomento base dell’articolo: Dare qualcosa
      gratis a tutti perché alcuni non possono permetterselo non e’ buona politica economica.

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