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Le coalizioni e la cooperazione allo sviluppo

Le politiche di cooperazione allo sviluppo sono uno strumento importante per promuovere una globalizzazione etica. Nonostante il forte sostegno della società civile, l’Italia ha fin qui seguito un approccio che privilegia la risposta a emergenze umanitarie o politiche, piuttosto che interventi di lungo periodo. Nei programmi elettorali delle due coalizioni non ci sono impegni precisi. Anzi sembra prevalere una certa miopia. La Cdl non affronta neanche il tema. E l’Unione non cita fonti di finanziamento alternative né l’eventualità di creare un ministero.

Le politiche di cooperazione allo sviluppo sono uno strumento importante per promuovere una globalizzazione etica. Nonostante il forte sostegno della società civile, e un ruolo di primo piano nella lotta alle epidemie, l’Italia era nel 2004 in coda alla classifica Ocse per gli aiuti pubblici allo sviluppo. (1)
I dati relativi al 2005 sembrerebbero indicare un miglioramento nel rapporto fra aiuti e Pil, che, però, non riflette una maggiore quantità di risorse, quanto azioni di cancellazione del debito. (2) Ma la cooperazione italiana soffre anche di altri mali: l’assenza di un chiaro indirizzo strategico, un assetto istituzionale poco efficace che suddivide il controllo delle risorse tra ministero degli Esteri e dell’Economia, e l’alta incidenza degli aiuti “legati” a contratti con imprese italiane.

La cooperazione nei programmi elettorali

Cosa dicono i programmi elettorali delle principali forze politiche sulle risorse e sull’organizzazione della cooperazione allo sviluppo italiana?
Sul problema delle risorse, l’Unione parla di un incremento “chiaro anche se modulato per raggiungere progressivamente l’obiettivo dello 0,7 per cento del Pil”. Il programma della Casa delle libertà non menziona il tema, tuttavia nella Finanziaria di quest’anno i fondi per aiuti pubblici allo sviluppo (Aps) sono scesi a 392 milioni di euro. A dispetto dei ripetuti impegni ad aumentare il rapporto aiuti/Pil fino allo 0,33 per cento entro il 2006, l’imprevedibilità nei flussi di Aps e il massiccio ricorso allo strumento della cancellazione del debito penalizzano la cooperazione italiana. Come sottolinea l’Ocse nella recente peer review della nostra cooperazione, questo andamento è indice di un approccio che privilegia la risposta a emergenze umanitarie, o politiche, piuttosto che un impegno di lungo periodo. (3)
Sono in molti a pensare che i fondi per la lotta alla povertà globale siano un lusso che soltanto paesi in migliori condizioni economiche possono permettersi. Ciò nonostante, esistono fonti di finanziamento alternative. Pur con vincoli di bilancio altrettanto stringenti, la Francia ha introdotto un “contributo di solidarietà” sui biglietti aerei, mentre la Germania sta studiando la possibilità di applicare una tassa sulle transazioni finanziarie internazionali (la cosiddetta Tobin Tax). L’interesse del Governo italiano e dell’opposizione alle fonti di finanziamento alternative sembra essere progressivamente scemato, tanto che nessuna proposta di questo tipo appare nei programmi elettorali.
Sull’assetto istituzionale, il direttore esecutivo per l’Italia alla Banca Mondiale, Biagio Bossone, ha suggerito di guardare all’esempio della Gran Bretagna. (4)
Nel 1997, Tony Blair ha creato il Department for International Development (
Dfid), un’agenzia indipendente guidata da un ministro a pieno titolo, con ampie responsabilità di coordinamento di tutte le politiche di cooperazione allo sviluppo e un chiaro mandato a promuovere la riduzione della povertà a livello globale. (5)
Alcune proposte di legge basate su premesse simili sono state presentate già dal 2001, ma da allora languono nelle varie commissioni parlamentari. (6) Il ministro Fini ha sostenuto la soluzione di un vice-ministro per la Cooperazione, incardinato nel ministero degli Esteri.
Il programma dell’Unione non si sbilancia sulla nomina di un ministro, ma parla di una “delega forte, un’autorità politica chiaramente definita e con piena responsabilità su tutti gli aspetti della cooperazione”, e sostiene “la creazione di un ente distinto, con una funzione di gestione delle risorse”. È una soluzione intermedia rispetto al caso inglese.

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Paradosso italiano

Il paradosso è che, a dispetto della mancanza di un impegno politico chiaro da parte delle autorità italiane rispetto agli impegni presi a livello internazionale, nel nostro paese le questioni legate alla povertà e alla diseguaglianza a livello globale muovono le coscienze e interessano l’opinione pubblica. Nella speranza che la campagna elettorale possa indurre le forze politiche ad assumere impegni più precisi, il Cini e varie Ong hanno lanciato una consultazione e una campagna di sensibilizzazione.
La realtà della globalizzazione, e la necessità per l’Italia di mantenere un ruolo importante nei dibattiti internazionali, impongono una riflessione politica, in particolar modo in campagna elettorale. Tutti i processi di riforma istituzionale comportano costi e creano resistenze, ma la cosa fondamentale è tenere presente l’obiettivo di lungo periodo, e costruire il consenso necessario per realizzarlo. A nostro avviso l’assenza di proposte innovative lascia trasparire un preoccupante caso di miopia bipartisan.

* Le opinioni espresse coinvolgono unicamente gli autori e non rappresentano quelle dell’istituzione di appartenenza o dei suoi paesi membri.

(1) L’Italia è tra i principali donatori bilaterali al fondo globale per la lotta a Aids, tubercolosi e malaria.
(2) Una recente
nota del ministero degli Esteri sostiene che il livello complessivo per il 2005 è stato dello 0,27 per cento del Pil, quasi il doppio del 2004. I dati Ocse ufficiali per il 2005 non sono ancora disponibili, quindi non è possibile effettuare confronti internazionali. Il forte aumento è dovuto all’impatto di operazioni di cancellazione del debito in Nigeria e Iraq, a versamenti arretrati dovuti a banche e fondi di sviluppo e al contributo obbligatorio al bilancio comunitario europeo.
(3) Oecd, Peer review of Italy, Development Assistance Committee, 2004, disponibile a
www.oecd.org/dac/peerreviews.
(4) Vedi la sua intervista sulla rivista
Nigrizia.
(5) Tra i fattori che hanno determinato il successo della riforma britannica, ma anche dell’esperienza dell’Agence Française du Developpement (Afd), che svolge compiti di cooperazione per conto dello Stato o proprio, vanno citati una forte e riconoscibile leadership, la chiara indicazione degli obiettivi da perseguire, la possibilità di disporre di produzione analitica di qualità per ragionare su temi strategici e la regolare presenza nel dibattito politico-economico nazionale e internazionale. Dfid, in particolare, è diventata agenzia leader nello sviluppo di idee e pratiche innovative. In due White Papers nel 1997 e nel 2000, e nella nuova legge del 2002, vi sono chiare indicazioni sulle linee programmatiche da seguire, compresa la necessità di ‘slegare’ completamente i fondi per la cooperazione da contratti con imprese britanniche, aumentandone così l’efficacia.
(6) Vedi per esempio la proposta di Ddl n. 38 presentata il 31 maggio 2001 (http://www.senato.it/leg/14/BGT/Schede/Ddliter/13380.htm). Per una lista completa delle proposte di legge avanzate dai vari schieramenti in merito si veda il sito di
Tana de Zuleta.

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  1. Empedocle Maffia

    Concordo assolutamente sul paradosso di un paese che ha nelle proprie radici culturali il valore della solidarieta’ e che fa fatica a tradurre questo valore in programmi politici sul versante che e’ la frontiera della solidarieta’, oggi: quello della lotta alla poverta’ nel mondo e dell’aiuto allo sviluppo.
    La proposta di un ministero per lo sviluppo internazionale con portafoglio che abbia responsabilita’ istituzionale unica su tale politica, accompagnato dal controllo di specifiche Commissioni parlamentari, e’ il modo piu’ chiaro per istituzionalizzare l’impegno del Paese su questo tema.
    L’Italia, con tale innovazione, potrebbe contribuire alla definizione di una politica europea di lotta alla poverta’: gia’ ora alla Banca Mondiale esiste un coordinamento dei Direttori esecutivi dei paesi EU che spesso ovvia alle assenze di indicazioni politiche dalle capitali. Inoltre, sprovincializzerebbe la natura di gran parte del nostro intervento di Cooperazione, ancora legato al ritorno commerciale: e pensare che gi’ negli anni ’20 gli inglesi si posero il problema di staccare l’aiuto ai popoli poveri da esigenze di ritorni commerciali diretti. Stiamo dunque evocando la possibilita’ di un salto ideale nella missione della lotta alla poverta’.
    Non a caso, il Ministero dovrebbe anche avere una sezione che funzioni da think-thank per giovani italiani che, dopo gli studi, volessero cimentarsi sul campo della lotta alla poverta’ o nelle istituzioni che la affrontano istituzionalmente. Va considerato che, da quando c’e’ il DFID in Inghilterra, i giovani inglesi in massa lo preferiscono -come ambito di impegno professionale- allo stesso Ministero degli Esteri.
    Sono infine d’accordo che su tale proposta -che certamente va contro interessi consolidati bipartisan- sarebbe opportuna, e possibile, una intesa bipartisan.

  2. Simone Sereni

    Due sole note a margine all’articolo peraltro del tutto esauriente rispetto ad una lunga e complessa questione.
    1) non è ancora culturalmente chiara al pubblico, almeno da noi, la differenza tra alcune “agenzie” umanitarie di “nuova generazione” (come alcune di quelle riunite nel citato Cini) e le Ong in senso tradizionale. Oltre che tra queste e le agenzie internazionali, ad esempio legate all’Onu. La distinzione aiuterebbe, secondo me, anche a scegliere, sostenere e chiarire maggiormente delle politiche serie oltre che a formare una cultura più consapevole e partecipata di solidarietà internazionale, in questo caso.
    2) Purtroppo ad una grave crisi politica e di sensibilità verso la cooperazione internazionale, mi pare corrisponda in Italia una crisi, anche qui soprattutto culturale e creativa, del mondo della cooperazione non governativa tradizionale, spesso ancora prigioniera di schemi ideologici (mentre le “idee buone” non hanno età) arretrati di almeno 25 anni. In particolare soffre un empasse sul fronte dell’autofinanziamento e dell’organizzazione che solo negli ultimi 5 anni sembra in qualche caso aver cambiato inerzia. Non considero necessariamente un problema la grande frammentazione di questo mondo (ufficialmente mi pare che in Italia esistano almeno 150 sigle riconosciute). I processi di concentrazione che si sono tentati in questo settore sono stati abbastanza fallimentari, soprattutto (e gli appelli ripetuti e inascoltati lo dimostrano) nel terreno della lobbying politica.

  3. Iacopo Viciani

    Bell’articolo, solo una precisazione il programma dell’Unione indica nella Tobin Tax come strumento di governo della globalizzazione per finanziare la lotta alle pandemie e le azioni di sicurezza alimentare.

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