Lavoce.info

La scuola e l’università dei programmi elettorali

Il programma della Casa delle libertà tratta il tema dell’istruzione con superficialità. L’unico riferimento di spesa è un probabile rifinanziamento del buono scuola della Finanziaria 2005. L’Unione porta a sedici anni l’obbligo scolastico e attribuisce al potenziamento dell’istruzione e della formazione compiti vari: dal rafforzamento del potenziale di competitività del paese, al miglioramento dell’inclusione sociale, allo sviluppo del Mezzogiorno. Ma accredita la discutibile tesi che i mali del sistema universitario italiano siano dovuti alla mancanza di fondi.

L’istruzione della Casa delle libertà

Nel programma della Casa delle libertà il tema dell’istruzione è trattato con estrema superficialità. Si promette “aiuto e sostegno alla famiglia, garantendo servizi pubblici sempre più di qualità nella scuola”, tema che poi viene articolato in un non meglio precisato “libretto vincolato per ogni nuovo nato, per aiutare le famiglie nel costo degli studi”. L’unico riferimento di spesa che compare è il “sostegno alle famiglie per una effettiva libertà di scelta educativa tra scuola pubblica e scuola privata” che riteniamo possa leggersi come un rifinanziamento del buono scuola introdotto nella Finanziaria del 2005.  In un altro punto si parla anche di “continuità nell’assegnazione di libri di scuola gratuiti per le famiglie meno agiate ed estensione fino al diciottesimo anno di età per garantire la fruizione del diritto/dovere all’istruzione”. Non è chiaro come questa assegnazione gratuita, che attualmente si applica solo fino al quattordicesimo anno, in violazione dell’obbligatorietà della scuola fino al quindicesimo, possa tradursi in sostegno per coloro che intraprenderanno l’alternanza scuola-lavoro attraverso l’apprendistato.
A livello di università e ricerca viene promessa la “libera trasformabilità delle università in fondazioni”, proposta che curiosamente è stata per la prima volta avanzata da Nicola Rossi e Gianni Toniolo.  Si parla anche di “incremento degli investimenti pubblici in ricerca pubblica e privata” senza che però questo venga quantificato. Nessuna menzione viene fatta dell’Iit, l’Istituto italiano di tecnologia, su cui sono state investite ingenti risorse pubbliche senza che a tutt’oggi questo progetto abbia preso un deciso avvio.
Sulla attuazione di quanto promesso cinque anni fa, vi è da segnalare che il Governo in carica ha esercitato una pervasiva azione legislativa, cui non hanno fatto seguito coerenti impegni di spesa . La spesa complessiva del Governo centrale non è infatti aumentata significativamente nella legislatura, attestandosi poco sopra i 40mila milioni di euro, con un leggero declino in termini di incidenza sul Pil. Il personale della scuola e dell’università è rimasto altrettanto costante, con un incremento della quota del personale a tempo indeterminato.

Scuola, università e ricerca per l’Unione

Nel programma dell’Unione la scuola, l’università e la ricerca sono un tema dominante.
Al potenziamento dell’istruzione e della formazione vengono attribuiti compiti di varia natura, dal rafforzamento del potenziale di competitività del paese, al miglioramento dell’inclusione sociale, allo sviluppo dl mezzogiorno. Lo strumento attuativo principale è il rafforzamento dell’autonomia scolastica, che verrebbe realizzato mantenendo al Governo centrale il compito di garantire “il carattere unitario del sistema nazionale pubblico di istruzione” istituendo nel contempo “un servizio di valutazione qualificato ed indipendente, in grado di intervenire per ridurre le disuguaglianze”. L’autonomia gestionale viene quantificata in termini del 15-20 per cento . L’obiettivo ambizioso di “portare tutti i ragazzi al conseguimento di un titolo di studio superiore: ad un diploma superiore e/o ad una qualifica professionale (almeno triennale)” verrebbe perseguito attraverso l’elevamento dell’obbligo scolastico a sedici anni, con spostamento verso l’alto dell’orientamento (elementi già presenti nella precedente riforma Berlinguer-DeMauro). Coerentemente, viene proposto l’innalzamento del divieto di lavoro a sedici anni.
Enfasi viene anche posta sul varo di “una legge per alfabetizzare e rialfabetizzare, riconquistare ai livelli d’istruzione dell’obbligo e di istruzione-formazione anche oltre l’obbligo”. Ne resta però imprecisata la modalità attuativa.
Le proposte dell’Unione sull’università sono analizzate in profondità nell’articolo di Pietro Reichlin, pubblicato come seconda pagina.
Quanto all’Iit, mancano anche in questo caso riferimenti precisi, se si esclude un cenno al quinquennio appena concluso, caratterizzato da “l’accentuazione del particolarismo e del clientelismo nell’allocazione delle risorse”.

Leggi anche:  Voti più alti se il preside è un leader “flessibile”

L’università e un programma deludente, di Pietro Reichlin

Il sistema universitario italiano è malato a causa di una scarsa produttività, di un abnorme invecchiamento del corpo docente e di un numero intollerabile di studenti fuori corso. Questi fenomeni sono aggravati dall’eccessivo egualitarismo, dal ricorso continuo a stabilizzazioni e promozioni di docenti e ricercatori mediante concorsi riservati, da una scarsissima partecipazione degli studenti e delle imprese ai costi dell’istruzione.

È chiaro a tutti che per uscire dalla crisi non serve creare nuove fasce di docenza, né dare il posto a vita a ricercatori di ogni ordine e grado, né imporre che la laurea sia un lasciapassare per l’impiego pubblico. Se vogliamo salvare l’istruzione pubblica, dobbiamo usare con più coraggio la leva degli incentivi, lasciando maggiore libertà di iniziativa agli atenei. Basterebbe guardare a ciò che si sta facendo in altri paesi per conciliare efficienza ed equità nell’istruzione universitaria pubblica: crediti agevolati per pagare le rette universitarie, borse di studio adatte a incentivare la mobilità e la scelta degli studenti, stipendi legati alla produttività scientifica, liberalizzazione dei criteri di reclutamento e apertura al mercato accademico internazionale.

 

Il programma dell’Unione

 

Quali sono le idee nuove del centrosinistra italiano? Cosa cambierebbe, nel concreto, se vincesse le elezioni?

Il programma dell’Unione per l’università e la ricerca scientifica contiene propositi ambiziosi: dare spazio ai giovani, promuovere il talento, rilanciare la ricerca e l’istruzione universitaria mediante maggiori finanziamenti (fino al 2 per cento del Pil), costituire un “piano pluriennale di assunzioni a tempo indeterminato”, adeguare l’entità delle borse di studio ai livelli europei (“le borse di studio dovranno essere garantite a tutti coloro che ne hanno diritto”). Tutto ciò sarà fatto a carico delle finanze pubbliche senza alcun accenno alla partecipazione ai costi da parte degli utenti. In buona sostanza, il programma accredita la tesi, discutibile, che i mali del sistema universitario italiano siano dovuti alla mancanza di fondi. Poiché la ricerca e l’università non sono la sola voce di bilancio a cui l’Unione vuole destinare risorse aggiuntive, dubito che queste promesse saranno mantenute in tempi ragionevoli. Il deficit tendenziale dello Stato sembra essere fuori controllo.

Il programma è vago (a volte criptico) su ogni aspetto che riguarda la ripartizione dei finanziamenti ministeriali e la definizione delle regole concorsuali. Ad esempio, si propongono selezioni “con distinzione tra reclutamento e promozioni di carriera, che coniughino l’autonomia di scelta degli atenei con le garanzie di standard internazionali di merito e di trasparenza dei processi selettivi”. Su distribuzione dei fondi, autonomia e competizione tra università, non si segnalano novità. Il programma riafferma il valore legale della laurea, propone di rendere più “equi” e “stabili” nel tempo i finanziamenti ministeriali. Inoltre, compare la promessa di trasformare il ruolo di ricercatore in una terza fascia di docenza. Per quale motivo la moltiplicazione delle fasce dovrebbe migliorare la produttività scientifica o didattica degli atenei?

L’impressione è che gli autori del programma siano principalmente interessati a “rassicurare” il personale accademico invece che a risolvere problemi, rimanendo impigliati in una logica attendista e contraddittoria. Da una parte, si riafferma il valore dell’autonomia “responsabile” degli atenei, si vuole dare spazio ai giovani e promuovere i talenti. Dall’altra, si accenna a riequilibri territoriali, stabilità dei finanziamenti ordinari, piani di assunzione a tempo indeterminato che tengano conto dell’urgenza di stabilizzare i precari. (1) Infine, si vuole imporre un “rapporto equo tra servizi offerti, contribuzione studentesca e strumenti del diritto allo studio”, cioè, deduco, limitare ulteriormente, con metodo dirigistico, i livelli delle tasse universitarie.

In altre parole, il testo è un passo indietro persino rispetto alla situazione presente, già ampiamente funestata da vincoli ministeriali, uniformità delle procedure, limiti all’utilizzo di nuove forme contrattuali e ai criteri di reclutamento. Nessun punto del programma suggerisce lo sviluppo di una maggiore concorrenza tra gli atenei per aumentare l’efficienza del sistema. Né si incoraggiano le università a cercare risorse sul mercato.

L’unico punto programmatico in controtendenza è l’idea di legare una quota dei finanziamenti degli atenei alla valutazione di un’agenzia indipendente (“incentivi finanziari premiali”). Tuttavia, non si argomenta quale sia la novità rispetto al sistema di valutazione Civr, che è stato appena costituito e di cui sono stati appena pubblicati i risultati, e non si accenna minimamente all’entità della quota di finanziamenti che sarebbero condizionati alla valutazione: un regresso rispetto alla proposta Moratti, che quantifica la quota di incentivazione al 30 per cento dei fondi complessivi.

Speriamo che emerga maggiore consapevolezza dell’entità della crisi del nostro sistema d’istruzione superiore in un futuro non troppo lontano.

 

 

(1) Testualmente: “urgenza di incidere profondamente sull’enorme numero di persone che lavorano nelle università e negli enti di ricerca con forme innumerevoli di precariato”.

Leggi anche:  Nel rapporto Ocse lo stato di salute del sistema educativo italiano

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Diritto allo studio per molti, ma non per tutti*

Precedente

Una proposta per la qualità del lavoro

Successivo

I poli e il federalismo fiscale

  1. Giancarlo Fragomeno

    Nel vostro articolo non ricordate che la Cdl ha varato durante l’ultima legislatura una intera riforma della scuola elementare/media/superiore e che non è stata del tutto attuata, per ovvi tempi tecnici. I’impegno della Cdl,che da queste semplici parole traspare, sembra scontato: mettere a pieno regime la nuova riforma e diffondere i suoi effetti nel mondo dell’istruzione; cosa non da poco, soprattutto considerando che l’Unione mira piuttosto a eliminarla o comunque a ridimensionarla cancellando i possibili effetti benefici che la riforma porta con se. E indubbio quindi secondo questo punto di vista, notare che è l’Unione a non portare posizioni innovative e propositive per la scuola, trattandola con assolutamente inappropriata superficialità.
    Come è possibile comprendere questo commento e l’articolo a cui si riferisce, sono due chiare prese di posizione verso l’uno-l’altro schieramento politico. Peccato solo che nell’articolo non sia cosi correttamente esplicitato.

    Complimenti vivissimi per questo interessantissimo sito. Grazie

  2. Roberto

    Sebbene il programma dell’ Unione non contenga, al suo interno, un preciso piano di redistribuzione delle risorse in senso meritocratico, fornisce delle proposte positive, quali l’introduzione del credito di imposta per le imprese che assumono ricercatori, fatto che a mio avviso migliorerà notevolmente l’interscambio di personale tra settore pubblico e privato, quest’ultimo oggi fortemente deficitario sul piano dell’innovazione. Grazie!

  3. antonio gasperi

    solo due parole sul commento del lettore Fragomeno: per giudicare di parte i due articoli che riportano brevemente le posizioni degli opposti schieramenti su scuola ed università, bisogna essere autorevoli. Ora non pare che dal suo commento traspaia una particolare conoscenza dei fatti, anzi: banali osservazioni desunte con ogni probabilità da mass media generalisti, servono al lettore per prendere una netta posizione di parte a favore del centro destra.
    La contraddizione in cui cade inconsapevolmente il Fragomeno non è altro che una conferma di quanto sostenuto in altro articolo della stessa newsletter, e cioè che nel nostro dibattito politico i dati statistici vengono sistematicamente trascurati se non stravolti. La cosa è particolarmente disdicevole per un settore della vita nazionale così delicato com’è quello dell’istruzione e della ricerca.
    Distinti saluti
    Antonio Gasperi

  4. Alessandro Figà-Talamanca

    Nell’articolo si afferma che il Ministro Moratti propone di assegnare il 30% del fondo di finanziamento ordinario (FFO) dell’università sulla base dei risultati della ricerca scientifica svolta nelle diverse sedi, come evidenziati dalle valutazioni del CIVR. In realtà il Ministro ha solo detto che intende destinare sulla base dei risultati della ricerca il 30% della quota distribuita secondo la formula elaborata dal Comitato Nazionale per la Valutazione del istema Universitario. Tale quota era nel 2005 solo 150 milioni, e la parte concernente la ricerca è stata distribuita in base a criteri, elaborati dal CNVSU, che prevedevano poco più che un conto dei ricercatori impiegati dalle diverse sedi. Può essere che nel decreto di ripartizione dello FFO del 2006 si faccia uso delle valutazioni del CIVR, ma è certo che l’ordine di grandezza della quota “incentivante” non potrà cambiare visto che le spese per il personale di ruolo assorbono il 90% circa dello FFO. Su questo punto il programma dell’Unione è per lo meno più trasparente e non lascia credere cose che non si ha nessuna intenzione di fare.

  5. docente azzurro

    Sign. Fragomeno, mi permetterebbe una domanda? Quale lavoro svolge?
    Pur nella mia ignoranza in tal senso, il suo intervento evidenzia la sua non appartenenza al mondo insegnante… In caso contrario, avrebbe avuto contatto diretto con i “benefici della Riforma” che ci sono piovuti dall’alto da persone che non conoscono il significato del verbo insegnare (e non conoscono nemmeno la realtà scolastica attuale, come pubblicamente dimostrato dalla gentil signora Letizia). Dimostrazione lampante sia il rifiuto dell’ambiente universitario.
    Tengo a precisare che mi ritengo totalmente contro ogni partito, ma completamente a favore di una scuola che possa evitare il Medioevo, da qualsiasi partito essa provenga…

    Grazie per l’opportunità di esprimere il mio parere.

  6. Andronico

    Nel sul articolo Pietro Reichlin sembra auspicare una maggiore partecipazione ai costi delle università da parte delle famiglie degli studenti. Immagino che a ciò siano associate borse di studio per gli studenti più meritevoli.
    Tuttavia, in primo luogo non capisco perché un ricco col 26 di media debba avere più opportunità di un povero con la stessa media.
    In secondo luogo, osservo che sistemi, come quello francese, tedesco, svedese, danese, norvegese, finlandese, olandese, belga, dove i costi per gli studenti sono in termini reali anche inferiori a quelli italiani realizzano ottime performance sia nella formazione che nella ricerca.
    In terzo luogo, faccio notare che prima della riforma Berlinguer il livello dei laureati italiani (soprattutto in materie scientifiche) era qualitativamente elevato, tanto è vero che i nostri laureati eccellevano nei programmi post-lauream anglo-sassoni. Ciò è segno che le facoltà assolvevano bene i loro compiti formativi nonostante il finanziamento gravasse poco sulle famiglie degli studenti (anche se ci si metteva di più a laurearsi).
    Possibile che in Italia per avere più efficienza è necessario rinunciare a minimi elementi di equità?

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén