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Qualità a Nord-Est

Una legge della Regione Friuli Venezia Giulia rivela un approccio quasi rivoluzionario. Forse per la prima volta, lo Stato non dice all’azienda come deve innovare, ma predispone un menu di strumenti tra cui l’impresa può scegliere per innovare. E per accertarsi che le risorse pubbliche non siano usate per fini diversi da quelli per cui sono concesse, è previsto un monitoraggio prima, durante e dopo il progetto. Non con per burocratizzare, ma al fine di correggere in corso d’opera il progetto iniziale in vista dell’obiettivo di aumentare la qualità e la competitività.

La crescita economica del 2006 non è stato solo il risultato della ritrovata lena delle imprese ma, almeno in alcuni casi, anche di qualche avveduta iniziativa di politica economica che ha prodotto un risultato nel corso dell’anno. Uno dei casi di best practice in questo campo è la legge regionale 4/2005, approvata nel novembre 2005 dalla Regione Friuli Venezia Giulia.

La Regione Friuli Venezia Giulia e l’innovazione

La legge 4/2005 contiene rilevanti elementi di innovazione nella politica industriale. L’obiettivo è quello tipico di tutte le leggi per l‘innovazione: “superare i fattori tradizionali di debolezza competitiva delle Pmi friulane: (…) l’insufficienza dimensionale e dei livelli di capitalizzazione, la scarsa apertura degli assetti di governo societario, l’inadeguatezza dei livelli di managerializzazione, la carenza di processi reali di internazionalizzazione e di presidio dei mercati finali di sbocco”. Si tratta di una lista di problemi comune alle strutture industriali di molte regioni italiane.
Per porvi rimedio, la legge prevede una politica di finanziamento delle innovazioni qualitative delle imprese grazie a una pluralità di strumenti di politica industriale, compreso il finanziamento di servizi di consulenza strategica che servono per realizzare progetti di sviluppo competitivo di più lungo termine. Ad esempio, per favorire l’internazionalizzazione, la Regione Friuli contribuisce alla realizzazione di reti commerciali all’estero e allo sviluppo strutturato di relazioni internazionali. Inoltre, finanzia l’assunzione di manager commerciali a tempo e la creazione di prototipi e la realizzazione di produzioni di prova, oltre che azioni volte alla razionalizzazione degli assetti gestionali e organizzativi dell’impresa. L’insieme di queste misure rappresenta una novità nel panorama delle politiche per l’innovazione in Italia.
Il tutto è poi sostenuto da un procedimento valutativo che prevede espressamente la sospensione e addirittura la restituzione dei fondi ricevuti per le imprese che si discostano significativamente in modo immotivato dai progetti finanziati.

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L’esito della legge

Per realizzare questi obiettivi con gli strumenti indicati, la Regione ha messo a disposizione fondi utilizzabili in progetti da 20 a 500mila euro (la soglia minima è stata rivista nei primi mesi del 2006, dopo che era stato riscontrato il gradimento delle imprese per “pezzature” di finanziamento più piccole). Per la legge c’è una dotazione finanziaria residua (degli anni 2005 e 2006) pari a 28,5 milioni di euro con una dotazione di altri 25 milioni per il 2007. Insomma non mancano i soldi, il che è stato invece un problema cronico per simili progetti (Fit, Far) di carattere nazionale.
Per ora, gli esiti della legge sono molto soddisfacenti. Dei business plan già esaminati, circa 100 sono stati approvati e 30 respinti o ritirati, con gli altri in corso di esame. La maggior parte delle domande richiede servizi di consulenza, manager a tempo e finanziamenti per la realizzazione di prototipi, anche se non mancano le domande a scopo di ricerca e trasferimento tecnologico. Metà delle 240 domande di finanziamento proviene da Udine e un quarto da Pordenone, sia da aziende industriali che da società di servizi. Delle aziende industriali coinvolte, metà sono classificabili in settori ad intensità tecnologica medio bassa e l’altra metà a intensità tecnologica medio-alta. Circa un sesto di chi ha presentato domanda è uno spin-off o una start-up. (1) Circa due terzi delle richiedenti sono piccole imprese con un fatturato inferiore a 5 milioni di euro (45 imprese hanno un fatturato inferiore a 1 milione di euro) e un numero di addetti inferiore a 50.
I finanziamenti concessi sono stati pari a 27 milioni di euro, che hanno fatto da leva a circa 135 milioni di investimento da parte delle imprese. Insomma, la Regione ha messo uno e le (piccole) imprese hanno messo cinque. E si è scoperto che i servizi di consulenza strategica non servono solo alle imprese high-tech di Trieste ma a un ventaglio di imprese molto più diversificato e diffuso geograficamente.
Infine, oltre ai soldi sono arrivati anche i risultati. I dati su un sottoinsieme di circa 150 imprese indicano che le aziende partecipanti mostrano incrementi di fatturato superiori al 73 per cento e incrementi di produttività del 40 per cento. I nuovi posti di lavoro creati sono in posizioni molto qualificate, il che ha fatto registrare un netto aumento della quota dei laureati in organico.

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Cosa c’è da imparare

I dati disponibili per ora non consentono una vera analisi rigorosa degli esiti della legge. Non sappiamo se le imprese coinvolte avrebbero fatto bene anche senza i finanziamenti ed è dunque difficile valutare l’effettivo effetto di addizionalità delle risorse impiegate.
Però la legge della Regione Friuli Venezia Giulia rivela un approccio quasi rivoluzionario. Forse per la prima volta, lo Stato non dice all’impresa come deve innovare, ma predispone un menu di strumenti tra cui l’impresa può scegliere per innovare. E per accertarsi che le risorse pubbliche non siano usate per fini diversi da quelli per cui sono concesse, è previsto un monitoraggio prima, durante e dopo il progetto. Non con l’intento di burocratizzare e sclerotizzare l’attività innovativa (un rischio sempre presente quando si mettono in piedi procedure di valutazione), ma piuttosto al fine di correggere in corso d’opera il progetto iniziale in vista dell’obiettivo di aumentare la qualità e la competitività.
È così difficile per le altre regioni italiane imitare il Friuli Venezia Giulia?

(1) Uno spin-off è un’impresa che nasce dall’iniziativa di docenti universitari che si associano per un attività innovativa a scopo di lucro. Una start-up è un’impresa innovativa appena nata.

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  1. marco

    ”… per accertarsi che le risorse pubbliche non siano usate per fini diversi da quelli per cui sono concesse, è previsto un monitoraggio prima, durante e dopo il progetto” : nella sua versione ”sana”, la IG44 e la prima SviluppoItalia (non quella roba degli ultimi anni) avevano già predisposto strumenti analoghi (la cui esigenza era emersa da una serie di studi) ottenendo ampi consensi. Testimonianza che la celerità delle procedure, per l’impresa, è sempre ragione di competitività.

    • La redazione

      Non so se la Regione Friuli Venezia Giulia abbia fatto studi preliminari nè seabbia raccolto consensi preventivi. Hanno preso e fatto, sembra con ottimi
      risultati

  2. preferisco restare anonimo

    La legge reg. 4 è sicuramente uno strumento valido, ma non sempre chi controlla lo fa ( o lo può fare) approfonditamente. ad es.: nell’ambito dei progetti dovrebbero essere controllati anche i rapporti tra aziende e subordinati, tra cui la verifica delle promesse di assunzione. dovrebbero essere realmente verificate le possibilità di rilancio delle aziende locali finanziate o delle aziende create ex-novo da consorzi di aziende esistenti, ma in crisi; altrimenti si possono verificare casi in cui il progetto è presentato come innovativo mentre la nuova realtà è composta da aziende che esistono solo sulla carta, aziende per le quali sono stati già avviati processi di concordato o messa in mobilità dei dipendenti. o addirittura, con i fondi della l.r.4, promossa la vendita di articoli d’importazione, mentre il progetto prevede il rilancio delle realtà locali grazie a progetti innovativi. se la legge lo consente, vigilate anche in tali direzioni….

    • La redazione

      Viene da dire: chi sa parli – magari con l’autorità competente – e segnali gli abusi, invece di mandare obliqui messaggi anonimi.

  3. padanus

    Buongiorno,
    nell’articolo si dice “…insomma le risorse non mancano..” e si sprona altre regioni a seguire l’esempio. Il Friuli Venezia Giulia è una regione a statuto autonomo, e credo che questo status le permetta disponibilità finanziarie normalmente precluse alle regioni più “istituzionalmente inquadrate”. Qualcuno può chiarirmi se lo sprone dell’articolo è destinato a restare lettera morta fuori dal Friuli, magari evidenziando il peso percentuale di questa legge x l’innovazione sul bilancio regionale, ed una verifica di sostenibilità per le altre regioni che volessero seguirne l’esempio?

    • La redazione

      Il fatto che le risorse non manchino non è solo il risultato dello status speciale di cui gode la Regione FVG, ma anche – come si diceva una volta – della volontà politica di rendere disponibile tali risorse per tali scopi. Ci sono altre regioni a statuto speciale; non tutte manifestano lo stesso impegno
      e interesse nella promozione dell’innovazione.

  4. GC

    Francamente, non riesco a vedere molto di rivoluzionario nella legge per l’innovazione commentata da Daveri. Lo strumento più interessante è forse il finanziamento per l’assunzione di laureati e di pesonale tecnico. Mentre non è chiaro come funzioni il sistema di valutazione dei progetti, che costituisce il passaggio fondamentale per l’efficacia degli incentivi. La valutazione, tuttavia, dice molto alle imprese su cosa è o non è innovazione. Inoltre, il fatto che nei primi due anni di operatività della legge siano state impegnate solo metà delle risorse disponibili, non mi sembra un indice di grande successo. La capacità innovativa del FVG è stata in realtà costruita in questi anni anche grazie a delle efficienti infrastrutture di servizio, ricerca applicata e di trasferimento tecnologico, che hanno aiutato le imprese ad accedere a conoscenze complesse e ad elaborare progetti di innovazione. Senza queste infrastrutture, a cui hanno contribuito anche le Università della regione, difficilmente le piccole imprese sarebbero in grado di avviare processi diffusi di innovazione.

    • La redazione

      Per una piccola impresa, innovare può voler dire anche solo entrare in un nuovo mercato che, essendo piccola, non conosce. con i fondi della LR, può assumere un manager commerciale a tempo per sperimentare. mi sembra un uso intelligente e innovativo delle risorse pubbliche che non impone alle imprese come innovare (come invece fa il credito d’imposta per le spese in R&S) ma le lascia libere
      di scegliere come fare.

  5. paolo

    A livello europeo il nuovo Programma per l’innovazione e la competitività offre a sua volta molte possibilità; bisogna però avere le competenze tecniche e linguistiche per poter lavorare direttamente con Bruxelles ma le possibilità sono comunque importanti per i prossimi 6-7 anni. Il Friuli-VG poi essendo “zona di frontiera” potrebbe appofittare per allargare la propria sfera d’azione e di pensiero..

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