Nel dibattito sulla competitività delle imprese italiane il ruolo dell’innovazione organizzativa è spesso trascurato o considerato solo marginalmente. Una indagine di Assolombarda mostra che l’innovazione organizzativa è più presente nelle imprese che competono sui mercati internazionali, che operano in rete e che investono molto in tecnologie e capitale umano. Le proposte per colmare il vuoto istituzionale in questo campo, a partire dalla stipula di un vero e proprio “patto per la riorganizzazione nei luoghi di lavoro”.

Il ritardo italiano

 

Nel dibattito sulla competitività delle imprese italiane il ruolo dell’innovazione organizzativa è spesso trascurato o considerato solo marginalmente. Ciò avviene nonostante numerose evidenze empiriche dimostrino che tali innovazioni, se ben attuate, possono portare sia a migliori risultati economici e produttivi per l’impresa, sia a un arricchimento dei contenuti del lavoro e a un accrescimento della soddisfazione dei lavoratori, ragione per cui nel dibattito internazionale tali pratiche sono note come High Performance Work Practices (Hpwp). Sul ritardo italiano pesa senza dubbio la scarsissima disponibilità di dati (ufficiali e non), che è un ulteriore indicatore di disattenzione: negli Stati Uniti e in misura minore nel Regno Unito, studiosi e policy maker possono invece contare su dettagliate fonti informative fornite dai rispettivi centri statistici nazionali.

 

Caratteristiche e tendenze dell’innovazione organizzativa

 

Un’originale fonte informativa è una recente indagine realizzata da Assolombarda (1), che ha analizzato le tendenze negli ultimi dieci anni dell’utilizzo da parte delle imprese di alcune Hpwp. (2) Sulla base di tali dati si possono effettuare alcune interessanti considerazioni dalle quali derivare poi qualche implicazione per gli attori in gioco.

Un’elevata quota di imprese (più del 50 per cento) sta modernizzando la propria organizzazione del lavoro, ma solo poche tra esse (meno del 10 per cento) si caratterizzano come sistemi di lavoro innovativi tout court, ossia introducono cambiamenti seguendo un approccio “sistemico”. Le nuove pratiche sembrano interessare molte realtà produttive, ma si tratta per lo più di un interesse circoscritto, relativo ad alcuni aspetti dell’organizzazione aziendale, e non una vera “rivoluzione” nei modelli organizzativi. Risultati simili, relativamente all’Italia, sono stati peraltro raggiunti anche da uno studio della Commissione europea. (3)

Nell’indagine Assolombarda si registra una forte tendenza all’innovazione nelle piccole imprese. Nonostante rimanga confermata la relazione positiva tra ricorso alle nuove pratiche e dimensioni aziendali, nei dieci anni osservati sono state le imprese di dimensioni minori ad aumentarne maggiormente l’impiego.

 

Andamento dell’utilizzo complessivo delle nuove pratiche per classe dimensionale 1996-2005

 

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Fonte: Centro Studi Assolombarda (2006)

 

Dai dati a disposizione si possono individuare anche alcune caratteristiche delle imprese più innovative dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro. L’innovazione organizzativa è più presente nelle imprese che competono sui mercati internazionali, che operano in rete (soprattutto con imprese estere) e che investono molto in tecnologie e capitale umano. Si tratta in sostanza di una sorta di ‘modello generale di impresa innovativa’, che considera l’organizzazione del lavoro come una fonte di vantaggio competitivo da spendere sul mercato. Inoltre, il fatto che la presenza di innovazione tecnologica nelle imprese che utilizzano in misura consistente le Hpwp sia associata anche a un impiego mediamente superiore di personale laureato, ci fa ritenere di essere di fronte ad una “buona innovazione” dal punto di vista della qualità sia del lavoro, sia dei prodotti.

 

Come colmare il “vuoto istituzionale”

 

Le istituzioni europee e diverse altre organizzazioni internazionali (ad esempio l’Oecd e l’Ilo) hanno da tempo individuato nella modernizzazione del lavoro uno degli strumenti principali per aumentare la competitività delle imprese e il benessere dei lavoratori. Dal libro verde dell’Unione Europea Partnership for a new organization of work del 1997 in poi, sono state intraprese diverse iniziative volte alla diffusione di conoscenza e di best practice riguardo all’impiego delle Hpwp. Le “linee guida” contenute nel libro verde e nei documenti successivi sostengono chiaramente la necessità di una costruzione concertata dei cambiamenti da adottare e invitano governi e parti sociali dei paesi membri ad adottare specifici programmi o patti sociali in questa direzione.

Le imprese italiane si trovano a operare in un contesto istituzionale assolutamente carente di elementi che supportino e favoriscano le innovazioni organizzative nei luoghi di lavoro. Si tratta in verità di un ritardo non solo italiano, ma comune a buona parte dei paesi dell’Europa meridionale (mentre i paesi nordici rappresentano in questo senso delle best practice a tutti gli effetti, vedi in particolare il caso finlandese). I dati brevemente richiamati sopra mostrano chiaramente che l’industria italiana possiede notevoli potenzialità innovative, che vanno però adeguatamente sollecitate con stimoli esterni che ne favoriscano lo sviluppo.

Le iniziative istituzionali da realizzare sono almeno due: la prima riguarda l’adozione di specifici programmi volti alla diffusione di conoscenza, anche attraverso la promozione delle best practice esistenti. Mentre la seconda consiste nel coinvolgimento delle parti sociali nella stipula di un vero e proprio “Patto per la riorganizzazione nei luoghi di lavoro”, come proposto da un appello sottoscritto da un nutrito gruppo di studiosi italiani.

Sul primo punto, le politiche pubbliche volte alla promozione delle Hpwp devono avere in mente due target ben distinti di destinatari. Da un lato, infatti, occorre un’operazione di sensibilizzazione e di trasmissione di conoscenza rivolta a quelle imprese che ancora non sono entrate in contatto con le nuove pratiche. Dall’altro lato, sono necessari interventi volti a favorire il completamento della fase di transizione in cui si trovano le imprese, stimolando l’adozione di un approccio “sistemico” al cambiamento organizzativo.

Sul secondo punto, nonostante alcuni casi virtuosi e la consapevolezza che gli esiti migliori si ottengono quando i cambiamenti avvengono in un clima di “buone relazioni industriali”, l’innovazione organizzativa stenta a diventare materia di contrattazione tra le parti sociali tanto a livello nazionale, quanto a livello locale e aziendale. (4) L’appello per un “nuovo patto sociale” può rappresentare un punto di partenza importante per aprire un confronto tra gli attori sociali a livello nazionale e richiamarli a una diversa responsabilità.

La pre-condizione è riconoscere un ruolo ai modelli organizzativi nelle politiche di intervento pubblico, uscendo dal paradosso della neutralità dei mezzi che caratterizza visioni rigidamente economiciste o giuridiche della governance istituzionale che si scontrano con i reali comportamenti degli attori coinvolti come dimostrano le recenti vicende del capitalismo italiano.

 

 

 

(1) Centro Studi Assolombarda (2006), La modernizzazione del lavoro nelle imprese milanesi, collana Studi e Analisi, giugno. I dati utilizzati in questo articolo si riferiscono anche a nostre elaborazioni effettuate sui dati di circa 250 imprese che gentilmente Assolombarda ci ha messo a disposizione.

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(2) Ossia decentramento decisionale, rotazione e polivalenza su più mansioni, gruppi di lavoro autonomi e semiautonomi, fomazione per una maggiore flessibilità interna.

 

(3) Commissione europea (2002), New Form of Work Organization: The Obstacles to a Wider Diffusion, Final Report, Business Decision Limited, October.

 

(4) Cfr. Pini P. (a cura di, 2005), Innovazione, relazioni industriali e risultati d’impresa, Milano, Franco Angeli.

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