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La morte bianca è spesso un incidente stradale

I dati Inail dicono che gli infortuni stradali sono di gran lunga la prima causa delle cosiddette morti bianche. A essi è riconducibile circa la metà dei morti sul lavoro. La circolazione stradale è mediamente più rischiosa anche quando si fanno confronti con i settori produttivi a più alta frequenza di infortuni. Grandi le differenze fra la cultura della sicurezza sul lavoro e quella della sicurezza stradale, in termini di allarme sociale, di risorse umane e finanziarie devolute a formazione, prevenzione e controlli, di conseguenze giuridiche.

In base ai dati Inail, gli infortuni stradali sono di gran lunga la prima causa delle cosiddette morti bianche. A essi è riconducibile circa la metà dei morti sul lavoro. (1)

Strade pericolose

Della rilevanza del fenomeno degli incidenti stradali come causa delle morti bianche si è preso pienamente atto solo di recente, in particolare a seguito della ristrutturazione delle procedure Inail di acquisizione dei dati sulla base della metodologia Esaw (European Statistics on Accidents at Work). La messa a regime del nuovo sistema è stata effettuata nell’anno 2005.
Ne è emerso che 638 dei 1.280 infortuni mortali denunciati all’Inail derivano da infortuni stradali.

Infortuni mortali sul lavoro (anno 2005)

Valori assoluti

Composizione percentuale

Riconducibili

a incidenti stradali

638

49,8

(di cui: nel percorso casa-lavoro)

(280)

(21,8)

Altri

642

50,2

Totale

1280

100

Fonte: Inail

In ampia misura, dunque, il tema della sicurezza sul lavoro coincide con quello della sicurezza stradale.
Il totale dei morti sulle strade italiane è di 5.426 unità (dato Istat 2005). I morti sui luoghi di lavoro, al netto dei 638 riconducibili a incidenti stradali, sono 642. Il numero dei decessi sulle strade è dunque molto più alto di quello che si registra all’interno dei luoghi di lavoro: il rapporto è di oltre 8 a 1.
Soprattutto, come emerge da una recente analisi dell’Ania, è molto più alto il rischio, ossia la probabilità di morte per unità di tempo, per il fatto che mediamente gli italiani passano molto più tempo nei luoghi di lavoro che su strada.
In base ai dati Istat, il monte ore lavorate in un anno in Italia è di 44,6 miliardi (corrispondente a una media per occupato di 1.495 ore, inclusiva dei lavori part-time e intermittenti). Ipotizzando che il tempo medio trascorso su strada sia di un’ora al giorno per abitante (2), il monte ore annuo relativo all’intera popolazione sarebbe di 21,5 miliardi. In questo caso, il rapporto di 8 a 1, in termini di valori assoluti, diventa di 17 a 1, se valutato in termini di rischio per unità di tempo. Secondo un’ipotesi forse più verosimile, il tempo medio trascorso su strada è più vicino alla mezz’ora. In tal caso il rapporto in termini di rischio diventa di 34 a 1.
È evidente che i dati medi nascondono realtà molto differenziate, per settori, età, fasce orarie eccetera.
Il dato che colpisce tuttavia è che la circolazione stradale rimane mediamente più rischiosa anche quando si effettuino confronti con i settori produttivi in cui è più alta la frequenza degli infortuni.
Nel 2005, i morti nel settore delle costruzioni, al netto di quelli dovuti a infortuni stradali, sono stati, secondo l’Inail, 170. È un dato elevato, specie se confrontato con i morti (sempre al netto di quelli dovuti alla circolazione stradale) registrati nell’intera industria manifatturiera (112 unità). Dato che il monte ore lavorato nelle costruzioni è di 3,3 miliardi (fonte Istat), il rapporto di rischio per unità di tempo si colloca fra 5 e 10 (a secondo che il tempo medio trascorso su strada sia di 1 ora o di mezz’ora). (3)

Sicurezza sul lavoro e sicurezza stradale

I dati mettono ulteriormente in luce la gravità del fenomeno degli incidenti stradali. Inducono anche a domandarsi se vi siano validi motivi per spiegare le notevoli differenze che tuttora si riscontrano fra la cultura della sicurezza sul lavoro e quella della sicurezza stradale, in termini di allarme sociale, di risorse umane e finanziarie devolute a formazione, prevenzione e controlli, di conseguenze giuridiche.
Quali responsabilità gravano, per omessi controlli, sulle tante amministrazioni comunali nei cui territori circolano migliaia di ragazzi in motorino senza casco o automobilisti che superano di gran lunga i tassi alcolici prescritti?
E chi è responsabile della sicurezza delle infrastrutture? In base al codice della strada, il ministro dei Lavori pubblici può diffidare gli enti proprietari delle strade a emettere i provvedimenti ritenuti necessari per la sicurezza e “nel caso in cui gli enti non ottemperino nel termine indicato, il ministro dispone, in ogni caso di grave pericolo, l’esecuzione delle opere necessarie, con diritto di rivalsa nei confronti degli enti medesimi”. Qui si parla di rivalsa, a fronte di situazioni di “grave pericolo”, mentre nel diritto del lavoro, per molto meno, scattano obblighi e sanzioni pesanti. Soprattutto, non si spiega perché, a differenza di quanto accade per la sicurezza sul lavoro, non esista un corpo ispettivo che abbia la responsabilità di verificare che questa norma, come tante altre, venga fatta rispettare.

(1) Si veda il rapporto annuale (luglio 2006). Per infortunio stradale l’Inail intende sia quello accaduto nel percorso casa-lavoro (infortunio in itinere), sia quello accaduto a persone che utilizzano, abitualmente o occasionalmente, un veicolo per motivi di lavoro.
(2) Secondo un’indagine commissionata dall’Aci (Rapporto Ambiente Italia 2007) la percorrenza media per abitante in Italia sarebbe pari a 41 chilometri al giorno. A secondo dei pesi, non noti, delle percorrenze urbane ed extraurbane, 41 chilometri appaiono percorribili in un tempo compreso fra mezz’ora e un’ora.
(3) La valutazione non cambia sostanzialmente se si tiene tenere conto dell’osservazione di Tito Boeri e Pietro Ichino  secondo cui, nei cantieri irregolari, molte morti bianche vengono fatte passare per incidenti automobilistici.

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  1. greco

    E’ molto grave che in italia, anche grazie alla pressante sensibilizzazione a seguito della 626, sia finalmente passata almeno la cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro, mentre la circolazione stradale rimane un’attività non considerata almeno altrettanto pericolosa ( anche se i numeri di quest’articolo dimostrano che se si riducono le morti sulla strada si riducono anche le morti sui luoghi di lavoro che in gran parte avvengono sul percorso per raggiungere il luogo di lavoro (quindi a prescidere se in miniera o in ufficio per strada ci dobbiamo scendere tutti e cmq, almeno fino a quando non si investirà seriamente sul telelavoro, altro mezzo per elimonare alla radice gli incidenti stradali, oltre che il traffico, l’inquinamento……e invece si investe su nuove metropolitane quando un decimo del medesimo investimento nel telelavoro eliminerebbe il problema degli spostamenti e degli incidenti).
    quindi ricapitolando da oggi nn sprechiamo più parole sulle morti bianche, se sensibilizziamo la società sullla sciurazza stradale raggiungeremmo 2 obbiettivi….
    insomma leggendo l’articolo possiam ricavare impegati e operai che se raggiungiam indenni il luogo di lavoro ci rimane solo il 10% di possibilà di farci male sul lavoro….

    • La redazione

      Sì: i dati sono tutti ufficiali e disponibili sui siti dell’Inail e dell’Istat. E’ anche vero che sembra esserci un fenomeno di rimozione collettiva – e bipartisan – del problema. Nella passata legislatura si è tenuta una importante commissione d’inchiesta sulle morti bianche che aveva fra i suoi compiti quello di accertare le cause del fenomeno. Nella relazione finale (8 marzo 2006), si parla di tante cose importanti (tra cui gli incidenti domestici), ma non si fa nessun cenno agli incidenti stradali, nemmeno al fatto che il dato citato in apertura di relazione (oltre 1200 morti sul lavoro ogni anno) è in gran parte riconducibile proprio agli incidenti stradali. Cliccare per credere: http://www.senato.it/commissioni/47155/96313/genpagina.htm

  2. DP

    Gentile Dr. Galli,
    per completezza di argomento, mi permetto di segnalarle un articolo apparso sull’Unità del 22 luglio relativo all’istituzione di una Agenzia per la Sicurezza sl Lavoro.
    Quell’articolo è, a mio parere, indicativo del clima ideologico che pervade una parte di questo paese. Suppongo che i dati da Lei esposti, siano ufficiali e a disposizione di chiunque, mi chiedo pertanto se chi decide si preoccupa di esaminare la realtà oppure preferisce affidarsi ai soliti luoghi comuni.
    Con cordialità.

    Dp

  3. C.G. Catanoso

    E’ noto, a chi si occupa professionalmente e seriamente di sicurezza e tutela della salute, quale sia l’incidenza degli incidenti stradali sul totale degli infortuni mortali.
    Quel che spesso ci si dimentica, quando ci si concentra sugli effetti (incidenti o infortuni), è l’analisi di quali siano, a monte, le condizioni organizzative aziendali in cui questi eventi si verificano.
    Ad esempio, un venditore dipendente di un’azienda, è obbligato per raggiungere il proprio target di vendite, a visitare giornalmente un numero elevato di clienti spostandosi con un veicolo e, quasi sempre, andando ben oltre le otto ore giornaliere. In questa situazione lo stress psicoficico, derivante dal carico di lavoro, condiziona significativamente n modo negativo, il suo comportamento di guida, facendolo divenire soggetto più esposto al rischio d’incidente stradale.
    Pertanto, visto che dalle statistiche INAIL, non è possibile far emergere queste situazioni (dovrebbero essere le aziende ad effettuare un’analisi seria ed approfondita), andrei molto cauto nell’attribuire allo stato penoso delle strade, ai comportamenti dei singoli, ecc., le cause primarie del 50% degli infortuni mortali sul lavoro.
    Del resto chi di noi, non ha mai pigiato sull’acceleratore perchè quel giorno aveva “fretta”?

  4. Mirco

    E’ ora di finirla con il moralismo delle stragi del Sabato sera la sicurezza stradale è un problema più vasto: come volevasi dimostrare le statistiche Inail dicono che sulla straa si muore in orario di lavoro. Basta ai sindaci che mettono gli autovelox solo per afre soldi occorre ristrutturare la rete stradale e sanzionare solo con cognizione di causa dove è necessario (nell’incrocio pericoloso non mettere il divieto dei 50 in un rettilineo e poi mettere l’autovelox). Basta con le furbizie!
    La sicurezza stardale è anche un problema di urbanistica.Di educazione nelle scuole, di organizzazione aziendale. Non facciamo dell’italia uno stato di polizia stradale!

  5. Claudio

    La strada è il luogo dove si muore di più (muoiono più italiani in macchina che in guerra), principalmente per dell’alta velocità. Eppure le auto sono sempre più potenti e pubblicizzate (ormai la pubblicità sui media è divisa tra auto e telefonia mobile). Nessuno si è mai preso la briga di porre un limite alla potenza delle auto vendute, se il limite di velocità massimo è 130Km/h perchè vengono vendute auto che superano i 250? Solo per incassare la tassa sul bollo?

  6. C. G. Catanoso

    E’ noto, a chi si occupa professionalmente e seriamente di sicurezza e tutela della salute, quale sia l’incidenza degli incidenti stradali sul totale degli infortuni mortali. Quel che spesso ci si dimentica, quando ci si concentra sugli effetti (incidenti o infortuni), è l’analisi di quali siano, a monte, le condizioni organizzative aziendali in cui questi eventi si verificano. Ad esempio, un venditore dipendente di un’azienda, è obbligato per raggiungere il proprio target di vendite, a visitare giornalmente un numero elevato di clienti spostandosi con un veicolo e, quasi sempre, andando ben oltre le otto ore giornaliere. In questa situazione lo stress psicoficico, derivante dal carico di lavoro, condiziona significativamente n modo negativo, il suo comportamento di guida, facendolo divenire soggetto più esposto al rischio d’incidente stradale. Pertanto, visto che dalle statistiche INAIL, non è possibile far emergere queste situazioni (dovrebbero essere le aziende ad effettuare un’analisi seria ed approfondita), andrei molto cauto nell’attribuire allo stato penoso delle strade, ai comportamenti dei singoli, ecc., le cause primarie del 50% degli infortuni mortali sul lavoro. Del res

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