L’evidenza empirica dimostra che povertà e mancanza di istruzione giocano un ruolo ben piccolo nel trasformare un normale cittadino in un terrorista. Molta più importanza hanno le rivendicazioni geopolitiche e la convinzione che il solo modo per veder riconosciuti i propri diritti passi attraverso il terrorismo. Ma servono anche organizzazioni che sappiano sfruttare in modo razionale il fanatismo degli estremisti. E sono queste che dobbiamo combattere, riducendone la credibilità.
Il mio vecchio compagno di scuola
Tyler Cowen, scrive nella sua recensione al mio ultimo libro, What Makes a Terrorist: Economics and the Roots of Terrorism (Princeton University Press, 2007): “Il mio unico rammarico è che il libro non tiene fede al titolo, ci dice da dove non nasce un terrorista, ma ancora non so da che cosa nasce un terrorista”. Cowan scrive anche che “l’analisi empirica è di primordine” e che il libro “sfata molti miti sul terrorismo”. Sono pienamente daccordo con la seconda parte del suo commento, e cercherò quindi di rispondere qui alla prima parte.
La povertà non centra
In primo luogo, potrei dire a mia difesa che il titolo del libro è stato suggerito dall’editore: in un primo tempo avevo pensato di intitolarlo Enlisting Social Science in the War on Terrorism, una sorta di appello a utilizzare e produrre analisi empirica nella lotta al terrorismo, alla fine, però, ho preferito il più efficace titolo proposto dall’editore. E dunque, come difesa, non è granché.
Meglio dire allora che è più facile eliminare alcune cause piuttosto che identificare un piccolo insieme di fattori che inducono un normale cittadino a trasformarsi in un terrorista. Come Cowan ha scritto, il mio libro stabilisce che “se si guarda ai dati, non è la povertà a generare il terrorismo”. Inoltre, mostro come sia più probabile che i terroristi arrivino dalle fila delle persone più istruite piuttosto che da quelle masse ignoranti e non scolarizzate. E ho trovato ben poca evidenza empirica a supporto della tesi che il terrorismo sia più diffuso nelle nazioni di religione musulmana, o nei paesi caratterizzati da un basso Pil pro-capite e unalta mortalità infantile.
In terzo luogo, tutti questi risultati “nulli” in realtà ci dicono molto sul fenomeno terrorismo e su che cosa determina la nascita di un terrorista. La mia tesi è che i terroristi sono in primo luogo “guidati da rivendicazioni geopolitiche”. (1) Divengono fanatici pronti a sacrificare civili innocenti (e qualche volta, sé stessi) perché desiderano ardentemente perseguire quella rivendicazione, reale o presunta, e perché vedono nel terrorismo il modo migliore, o lunico, per farlo.
Nel libro sostengo anche che è più probabile che i terroristi provengano da società che vietano le libertà civili e i diritti politici, come la libertà di espressione e il diritto a riunirsi. E la mia tesi è suffragata dallanalisi dei dati sui paesi di origine dei terroristi e sui paesi colpiti. (2)
Lanalisi dei risultati empirici dei diversi paesi suggerisce che le persone cresciute in società che hanno una scarsa tradizione in fatto di mezzi di protesta pacifici hanno più probabilità di diventare terroristi quando cercano di perseguire unagenda geopolitica.
Rivendicazioni di ogni tipo
In un lavoro sullo stesso argomento, Laurence Iannaccone sostiene che le ragioni che spingono le persone a rivendicazioni geopolitiche sono molte e disparate: alcune sono nazionalistiche, altre territoriali, altre ancora religiose o ambientali, e così via. Probabilmente è per questo che povertà, educazione e gli altri “soliti sospetti” sono così poco utili nel predire la partecipazione al terrorismo: non esiste un modello di rivendicazione né un modello del profilo del terrorista. Probabilmente, in tutte le popolazioni abbastanza grandi, ci sono estremisti pronti a immolarsi per una qualche causa. Ed è per questo che l’offerta di terroristi è abbastanza elastica: anche se si elimina una presunta causa di rivendicazione, ci saranno sempre molti altri pronti a perseguirne altre con mezzi violenti.
La “risorsa” finita è il numero di organizzazioni terroristiche capaci di spingere gli estremisti a compiere i loro atroci atti di terrorismo. La mia tesi è che in questi contesti la strategia migliore è prendere di mira non tanto l’offerta di possibili terroristi, quanto le organizzazioni terroristiche, colpendone la credibilità e rispondendo alle loro rivendicazioni, se giuste.
Il terrorismo non è un atto casuale e imprevedibile eseguito da persone psicologicamente disturbate. Lo psicologo Arial Merari ha studiato i terroristi palestinesi coinvolti in attentati falliti e la sua conclusione è che difficilmente si possono definire anormali sotto il profilo psicologico. Mentre la tempistica degli attacchi terroristici indica che spesso li si sceglie per ottenere il massimo impatto politico e mediatico. E dunque le organizzazioni terroristiche dispiegano in un certo senso razionalmente i terroristi, nel modo più utile per raggiungere i propri fini.
Quando nasce il terrorista
Ecco quando nasce il terrorista: quando qualcuno persegue con dedizione fanatica una rivendicazione e ha la convinzione che non esistano alternative diverse dal terrorismo per perseguire quella rivendicazione. E quando un’organizzazione terroristica, o una cellula, è pronta a utilizzare il potenziale terrorista. È una spiegazione che nel libro è sviluppata in modo più ampio.
Povertà e mancanza di istruzione le spiegazioni spesso indicate dai politici, compresi George Bush, Al Gore e Tony Blair non giocano invece nessun ruolo. Anzi, l’istruzione può determinare un effetto opposto a quello che molti si aspettano perché le persone più istruite hanno più probabilità di impegnarsi in politica e hanno più probabilità di avere convinzioni ben definite.
Una migliore istruzione fa cose meravigliose per un paese e per il suo popolo, ma non penso che dall’evidenza empirica si ricavi che ciò è sufficiente a determinare un perfetto accordo sociale. Se dobbiamo combattere il terrorismo anche attraverso l’educazione, è mia opinione che dobbiamo concentrarci di più sui suoi contenuti e non solo su un generico ampliamento della scolarizzazione.
Molti guardano al terrorismo nello stesso modo in cui gli economisti costruiscono il modello delle attività criminali: le persone con un basso costo-opportunità e poche opportunità legittime sono quelle che più facilmente saranno coinvolte in delitti contro la proprietà. Ed è un modello che nella pratica funziona bene.
Ma nel mio libro sostengo che l’analogia migliore per il terrorismo non è l’attività criminale, ma il voto: le persone che hanno a cuore un tema tendono a votare, anche se il loro tempo ha un costo-opportunità più alto rispetto a coloro che non votano. I terroristi e le organizzazioni che li utilizzano, vogliono fare una dichiarazione politica. Da che cosa nasce un terrorista dipende quindi dalle rivendicazioni politiche che i terroristi e le loro organizzazioni perseguono e dalle alternative al terrorismo che per conseguirle esistono. È questo il punto di vista sul terrorismo proposto dal mio libro.
(1) Vedi ad esempio pagina 51 del libro.
(2) I dati utilizzati si possono trovare sul mio sito web. Si riferiscono alle biografie di 129 Hezbollah uccisi in azione, a sondaggi d’opinione in Giordania, Pakistan, Libano e Turchia e sulla striscia di Gaza. Sempre sul sito si trovano i dati sui paesi d’origine dei ribelli stranieri catturati in Iraq. Le informazioni sulle ore del giorno in cui avvengono gli attacchi terroristici (più spesso di mattina) sono del National Counterterrorism Center. Infine ho utilizzato evidenza indiretta, tratta da altri studi.
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bellavita
Forse nell’articolo manca la definizione “chi è un terrorista” : il potere assoluto tende a definire così qualunque oppositore o dissenziente, ben prima che passi alle armi.
Ma visto che sono 25 anni che è morto Dalla Chiesa, una domanda che non ha mai avuto risposta è “chi ha sostenuto finanziariamente il terrorismo in Italia ?”. Al culmine degli anni di piombo, la logistica dei latitanti e delle armi costava 50 miliardi all’anno, a dir poco, soldi che non si ottengono con le rapine (basta poi controllare i dati negli annuari assicurativi). Eppure nemmeno i capi pentiti sanno dare spiegazioni (di uno sono amico). E credo che nella metodologia di interrogatorio non ci fosse la domanda “chi vi portava i soldi?” e l’incrocio dei dati.
Marco
Per quanto non si possa in linea generale dissentire dall’autore, mi pare che ci si trovi di fronte a un ennesimo caso di “scientismo” sociale che non tocca i punti veri della questione. Forse bisognerebbe chiedersi prima che definizione diamo del “terrorista”, concetto che se è elastico nella pratica di chi ne assume i modi e le prassi è altrettanto elastico nell’intepretazione di chi addita il terrorista del giorno. In secondo luogo nessuna parola sulla radice del terrorismo “genuino”, proliferante anzichenò in questo nostro mondo. Forse che le cause, prima che nella psicologia vadano cercate negli (dis)equilibri della democrazia e della politica “us-style”? Insomma, un articolo (ed un libro) inutile.
Giuseppe Campo
A proposito dell’ottimo articolo di Alan B. Krueger Come nasce un terrorista , trovo arbitraria l’equivalenza tra povertà e disperazione che si evincerebbe dal sommario. Cosa altro sono se non dei disperati delle persone che vedono nel terrorismo il modo migliore, o lunico, per farlo (le rivendicazioni)? La povertà, ça va sans dire, con la disperazione c’entra poco.
Marco
Se non interpreto male l’ultima frase del suo commento (ma in effetti mi pare che non ci sia ironia), non comprendo signor Campo come “La povertà, ça va sans dire, con la disperazione c’entra poco”. Sono reduce da un viaggio “duro” in medio oriente e ricordo ancora molto bene alcuni paesi neri africani: le assicuro che se la disperazione non è sempre associata alla povertà, di certo quest’ultima aiuta ad essere disperati eccome! Eppoi, anche qui, la povertà non è solo economica e non solo “periferica”. Forse un altro spunto di riflessione per la tutto sommato minuscola analisi di Krueger? Diffido degli anglosassoni in questo genere di analisi.
Francesco
“Ecco quando nasce il terrorista: quando qualcuno persegue con dedizione fanatica una rivendicazione e ha la convinzione che non esistano alternative diverse dal terrorismo per perseguire quella rivendicazione. E quando unorganizzazione terroristica, o una cellula, è pronta a utilizzare il potenziale terrorista. È una spiegazione che nel libro è sviluppata in modo più ampio.” Un pò poco per un analisi del terrorismo…Ho l’impressione che qui l’analisi dei dati empirici non sia sufficiente a comprendere la questione. Il risentimento di cui parlava Nietzsche, e certe cose di Dostoevskji – magari ne parla nel Testo -, non dicono nulla all’autore dell’articolo? Per tacere poi della considerazione indifferenziata del fenomeno “terrorismo”. La nostra storia recente insegna che il terrorismo, sia esso rosso o nero, ma anche quello religioso, è solo un epifenomeno di manifestazioni più vaste, anch’esse di varia natura.
Enrico
Articolo interessante. Soprattutto l’indicazione di colpire l’organizzazione più che il terrorista singolo (definendo il terrorismo come l’abbinamento tra terrorista – anche potenziale- ed organizzazione terroristica).
Aggiungerei che nell’analisi dovrebbe essere approfondita la maturità delle organizzazioni: nell’articolo si assume che la dinamica interna di un’organizzazione definita da una rivendicazione, ma questo probabilmente è vero nelle fasi iniziali (creazione e sviluppo) di un’organizzazione, magari piccola, mentre nelle organizzazioni estese, articolate e di lungo periodo probabilmente si innestano dinamiche “di carriera” e potere interne.
MS
Le semplificazioni e generalizzazioni sul terrorismo sono quanto di più pericoloso vi possa essere, e spesso non reggono al confronto storico. Garibaldi e Mazzini erano terroristi allora? Alcuni storici hanno cercato di sostenere anche questa tesi, chi per amore di provocazione (e può essere utile discutere di tutto), chi perché semplicemente ultraconservatore, monarchico….Entrambi avevano rivendicazioni territoriali, o geopolitiche, ed avevano una “mente politica”. Non erano dei menefreghisti qualunque, si direbbe…(e ciò non toglie che possano essere giudicati più o meno intelligenti nell’agire politico).
La matrice logica dell’articolo (non conosco nè leggerò il libro), sembra ovviamente da pensiero unico. Merita quindi tutte le proteste che si vogliono. Non mi convince che un libro sia inutile. Non è in effetti inutile che qualcuno mostri chiaramente anche quelli che possono essere i vizi di un certo modo di ragionare, che nel negare sistematicamente problemi, o nel nasconderli sotto al tappeto, finiscono a volte per combinare più guai di quelli che vogliono risolvere.
Inoltre questi articoli di poche righe non permettono nemmeno tanto di capire di che si tratti. L’autore è un economista, e quindi scrive come un economista, peraltro apparentemente conservatore.
Forse si tratta solo della solita propaganda, che è anche illiberale nel senso autentico, o profondo, del termine.
francesco daveri
Ecco il link a una versione più lunga e più argomentata dell’articolo di Krueger. http://pubs.aeaweb.org/doi/pdfplus/10.1257/089533003772034925
Si potrebbe anche (addirittura!) comprare il suo libro (ad esempio su Amazon).
E’ il capo economista dello staff del presidente Barack Obama alla Casa Bianca.