Il Quaderno bianco sulla scuola costituisce unimportante presa datto dei problemi e delle difficoltà del sistema scolastico italiano. La sua importanza è per più versi accresciuta dal suo essere un documento congiunto del ministero di spesa settorialmente competente e del ministero di controllo della spesa. In quanto tale, ben potrebbe rappresentare il punto davvio duna riflessione sulla efficacia ed efficienza del sistema scuola in Italia. Riflessione tanto più opportuna alla luce del fatto che il nostro paese, anche nel confronto internazionale, spende tanto, in rapporto al numero di studenti, a fronte di risultati, in termini di competenze raggiunte dai nostri studenti, in media poco soddisfacenti e molto iniquamente distribuiti, con un forte divario tra Nord e Sud e tra scuole diverse, anche allinterno dello stesso ordine di scuole. (1)
I suggerimenti del Quaderno
La spesa è elevata soprattutto a causa di un elevato rapporto insegnanti/alunni, non per via di unelevata retribuzione unitaria degli insegnanti. Il Quaderno sembra voler rappresentare una sterzata rispetto ai dibattiti abituali sulla scuola, molto centrati – soprattutto in questa stagione dellanno, alla vigilia della predisposizione della legge Finanziaria – sulle quantità degli input (gli aspiranti insegnanti a cui trovare un contratto stabile) e poco sulla qualità delloutput – gli apprendimenti, alquanto differenziati tra scuole, nonostante luniformità di regole e trattamenti.
La direttrice suggerita per superare questo stato di cose sembra essere quella fornita dal combinato disposto di maggiore autonomia delle scuole (quella che viene definita lattuazione di una "riforma già fatta") e maggiore capacità di governo e monitoraggio centrali del sistema (in termini di programmazione dei flussi di personale e di valutazione degli apprendimenti e quindi delle scuole da parte dellInvalsi). La direttrice in questione pare in linea con le evidenze disponibili a livello internazionale, che nel binomio autonomia (e flessibilità operativa) e valutazione (omogenea e quindi in qualche misura centralizzata) vedono unaccoppiata vincente, luna cosa senza laltra rischiando di produrre più danni che benefici. Naturalmente, molti aspetti di dettaglio richiedono ulteriori precisazioni e approfondimenti, lobiettivo del Quaderno sembrando esser proprio quello di aprire in proposito un vivace dibattito. Senza entrare nel merito delle proposte più specifiche contenute nel documento, qui ci si limita a sintetizzare alcune evidenze significative sul come regole omogenee e meccanismi centralizzati di allocazione del personale finiscano col produrre risultati fortemente differenziati. La centralizzazione, ancor prima che il loro non affidarsi a meccanismi programmatori pluriennali (quali quello esposto nel Quaderno), sembra infatti fonte di inefficienze.
Il "va e vieni" dei docenti
In Italia molti degli insegnanti annualmente incaricati presso le diverse scuole sono precari, con incarichi fino al termine delle attività didattiche o fine al termine dellanno scolastico. Gli incarichi, circa il 15 per cento delle posizioni annualmente in essere, sono definiti annualmente ripercorrendo lordine in graduatoria di chi aspira a un contratto permanente da insegnante. (2) Di per sé, la natura centralizzata e amministrativa degli incarichi annuali porta a un notevole turnover del corpo docente delle singole scuole: anche se la gran parte dei precari con incarico annuale in un dato anno è poi occupata anche nellanno scolastico successivo, molto spesso ciò accade in una scuola diversa.
Il turnover effettivo è poi ulteriormente innalzato da quegli insegnanti che, pur avendo un contratto a tempo indeterminato, si muovono, su loro richiesta, da una scuola allaltra. Nel complesso, ogni anno circa un insegnante su cinque è un nuovo arrivato nella specifica scuola in cui si trova a operare. Lindicatore in questione, peraltro, sottovaluta linstabilità del corpo docente perché considera la situazione assestata degli incarichi annuali, senza tener conto del fatto che spesso le assegnazioni definite a settembre vengono poi mutate nel corso dellanno. Ma il fenomeno è plausibile fonte di difficoltà nello svolgimento e nella programmazione dellattività didattica. La programmazione didattica è del resto in Italia affidata più al collegio dei docenti (e ai singoli docenti) che alle scuole in quanto tali, che in questo "va e vieni" di docenti sono un elemento alquanto passivo, non potendo "scegliersi" gli insegnanti. Il turnover, oltre a variare molto tra scuole, appare negativamente correlato con i risultati (nelle scuole secondarie superiori) dellindagine Pisa.
Le scuole più desiderate
Approfondendo i processi sottostanti questa giostra del personale docente, in particolare per quanto riguarda la mobilità del personale di ruolo alla ricerca di una sede ritenuta più consona, si può evidenziare come le richieste di uscita da una particolare scuola siano alquanto diffuse. In media, il 17 per cento circa degli insegnanti di ruolo operanti in una data scuola vorrebbe in realtà andare altrove. Plausibilmente saranno ben poco motivati a ben operare in quella scuola. Confrontando le diverse scuole, questa percentuale, interpretabile alla stregua di un indicatore di mismatch e di insoddisfazione rispetto alla propria situazione lavorativa corrente, è più elevata nelle scuole del Sud, nella media inferiore e negli istituti professionali e, nel caso delle scuole secondarie superiori per cui si dispone dei risultati di Pisa, tra quelle peggio piazzate.
Un ultimo indicatore è ottenibile considerando non solo le scuole da cui molti docenti di ruolo vogliono andar via, ma anche quelle verso cui lintera popolazione dei docenti di ruolo italiani vorrebbe andare. Lindicatore in questione coglie le preferenze rivelate dai docenti nei confronti di una data scuola, preferenze che plausibilmente colgono la minore o maggiore difficoltà di operare come insegnante in quel contesto, visto che le condizioni retributive in quanto tali non mutano tra scuole. Una scuola avrà valori positivi dellindicatore laddove è desiderata da più docenti di quanti non siano quelli che dalla stessa vogliono andare via. Lindicatore denota una grande variabilità tra scuole a riprova della natura sistematica dei flussi di docenti, evidentemente non governati solo da preferenze idiosincratiche ed è positivamente correlato coi risultati Pisa. Sembra quindi che i docenti italiani (almeno loro) sappiano bene quali sono le scuole di qualità. Con pochi incentivi ad andare e a impegnarsi in quelle "difficili", quando capitano, nella marcia di avvicinamento verso la sede desiderata, esprimono preferenze alquanto marcate nei loro confronti.
* Le opinioni qui espresse sono esclusivamente personali e non necessariamente impegnano lIstituzione di appartenenza.
(1) Il divario rispetto ad altri paesi in termini di competenze, per come misurato dallindagine Pisa, sembra più marcato di quello in termini di conoscenze (le prime essendo definibili in termini di capacità di utilizzo delle seconde). Ciò potrebbe in parte discendere da un orientamento culturale più "scolastico" e tradizionale della scuola italiana, non ben rappresentato da misure originatesi in prevalenza nel mondo anglosassone. Più discusso è se ciò rifletta un problema connesso ad esempio al rischio che la nostra scuola sottovaluti lempirismo, la scienza e la tecnologia moderne. Lopinione di chi scrive è che, almeno in parte, nellorientamento culturale della nostra scuola vi siano dei tratti problematici. Il punto che però qui più interessa è che una scarsa qualità media degli apprendimenti degli studenti italiani è comunque confermata anche da altre misure (ad esempio Pirls e Timms) una volta che si effettuino confronti su base omogenea con gli altri paesi. Se dal confronto tra le diverse indagini una conclusione deve trarsi è semmai che i ritardi degli studenti italiani crescono al procedere del corso degli studi, segnalando le difficoltà della scuola, in particolare di quella media inferiore. Soprattutto, quelle misure (e quelle definite dallInvalsi a livello esclusivamente nazionale) confermano il pattern delle differenze interne allItalia.
(2) Essi non esauriscono luniverso del precariato, in cui vanno anche ricompresi i soggetti incaricati per periodi più brevi. Sono le cosiddette supplenze
brevi, definite dalle singole scuole, la cui effettuazione poi consente, in assenza di qualsivoglia concorso e meccanismo di verifica di attitudini e capacità, di entrare nelle liste degli aspiranti al ruolo da cui sono anche tratti i docenti con incarichi annuali.
Correlazione tra mobilità dei docenti e risultati del test Pisa 2003 (a livello di scuola)
Matematica | letteratismo | |
Dati grezzi | ||
Turnover |
-.238 | -.27 |
Mismatch |
-.281 | -.353 |
Preferenze rivelate |
.227 | .318 |
Dati Pisa al netto degli effetti di genere e background familiare | ||
Turnover |
-.159 | -.200 |
Mismatch |
-.228 | -.323 |
Preferenze rivelate |
.231 | .369 |
Dati Pisa al netto degli effetti di genere, background familiare, provincia e tipo di scuola e indicatori di mobilità al netto degli effetti di provincia e tipo di scuola | ||
Turnover |
-.265 | -.325 |
Mismatch |
-.485 | -.580 |
Preferenze rivelate |
.392 | .534 |
Fonte: Gianna Barbieri, Piero Cipollone e Paolo Sestito: Labour market for teachers: demographic characteristics and allocative mechanisms, mimeo, luglio 2007
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mario lorenzini
L’ha detto anche il Ministro a Milano recentemente. Noi modestamente lo abbiamo sempre detto. Gli insegnanti non sono troppi. Infatti la scuola italiana è diffusa in tutti i comuni e spesso nelle frazioni perchà deve essere garantito il servizio a tutti i cittadini. Non è cosi negli altri Paesi. Inoltre in Italia gli alunni portatori di handicap sono inseriti nelle classi normali mentre negli altri Paesi ci sono le classi differenziali.
Giovanni Caruselli
Avendo lavorato come precario per 10 anni intervengo con qualche cognizione di causa sulla cosiddetta giostra dopo l’entrata in ruolo. In molti casi essa è determinata dal fatto che quando si entra in ruolo si è costretti ad accettare la scuola in cui c’è disponibilità di posti. Difficilmente è quella ideale. Ad esempio quella in cui sono stato costretto a fare il mio anno di prova si trovava a 25 km da casa mia senza mezzi pubblici utili a raggiungerla. 50 km al giorno in macchina sono un costo insostenibile per uno stipendio di 1.090 euro mensili e quindi si richiede una scuola più vicina. Ma non è detto che ci sia disponibilità e allora ci si accontenta per l’anno successivo di una scuola che è a 15 km di distanza che sono sempre meglio che 25. Magari al terzo tentativo si ottiene la scuola buona. Moltiplicate questi passaggi per il numero di inseriti in ruolo e capirete. Inoltre la maggioranza del corpo docente è costituito da donne. Ancora qualche donna fa figli in Italia e in tali sporadici casi è necessario disporre di un posto di lavoro che permetta di accompagnare i piccoli all’asilo o alla materna o alle elementari. Anche in questi casi si è costretti a richiedere sedi compatibili con le esigenze familiari. Certamente l’autonomia di ogni singola scuola risolverebbe qualche problema, ma è piuttosto curioso che si chieda al tempo stesso il massimo di mobilità e di flessibilità quando serve e il massimo di stanzialità quando serve. Come la mettiamo se uno dei due coniugi deve essere flessibile al massimo e l’altro stanziale al massimo? Non fare figli ? Amen