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Se la selezione resta fuori dall’aula

Il Quaderno bianco potrebbe essere ancora più esplicito, ma il messaggio per il ministro Fioroni nelle pagine dedicate all’organizzazione delle risorse umane è chiarissimo: "le caratteristiche dell’attuale assetto vanno in direzione difforme da quella suggerita dalle evidenze internazionali oltre che dal buon senso".
È infatti in primo luogo il buon senso, oltre che una sconfinata mole di ricerca teorica ed empirica nell’area della "Personnel economics", a suggerire che la gestione delle risorse umane nella scuola italiana sia un fallimento in entrambi i suoi pilastri fondamentali: la selezione e l’incentivazione del personale. Così come attualmente strutturati i due pilastri potrebbero funzionare solo se gli insegnanti fossero tutti santi, missionari e dotati naturalmente di caratteristiche perfette e inossidabili per fare il loro lavoro.
Se il ministro concorda sul fatto non ci si possa attendere dagli insegnanti di avere queste caratteristiche, i due pilastri vanno ricostruiti ex novo.

Selezione del personale

I lavori di Hanushek e altri, citati dal Quaderno bianco, mostrano in modo inequivocabile che ci sono caratteristiche individuali e persistenti nel tempo degli insegnanti, in virtù delle quali chi è "bravo" lo è in qualsiasi scuola e con qualsiasi gruppo di studenti, mentre è poco frequente il caso di insegnanti "bravi" in un contesto e non in un altro. Chiamatelo come volete, ma l’evidenza empirica (e anche le esperienze personali) suggeriscono che esista un "talento del saper insegnare" che non tutti hanno in ugual misura. E ben poco può fare la formazione professionale per sopperire alla mancanza di talento, poiché serve a poco versare acqua dove nulla può crescere.
Questo è vero per molte professioni, e non a caso la selezione del personale è forse il problema più difficile da risolvere nella gestione delle risorse umane, ma ciò che qui importa è che il sistema dei concorsi pubblici è palesemente incapace di evitare l’assunzione di persone che non dovrebbero fare gli insegnanti. Prima ancora che un problema di incentivazione, gli "insegnanti fannulloni" di cui tanto si parla sono il sintomo di una selezione sbagliata del personale all’inizio della carriera. Se un appunto può essere fatto al Quaderno bianco, è che sul problema dei concorsi e del reclutamento dice troppo poco.
In particolare, il Quaderno non mette in luce il motivo strutturale che impedisce ai concorsi pubblici italiani di selezionare in modo efficiente gli insegnanti. Che è semplice: chi sceglie, ossia la commissione concorsuale, non subisce le conseguenze di una scelta sbagliata. Nella migliore delle ipotesi, si limita alla verifica di requisiti burocratico-formali che spesso non garantiscono l’esistenza di una reale "capacità di insegnare", guardandosi bene dal prendere in considerazione ben più rilevanti caratteristiche sostanziali, per il timore di accuse di arbitrarietà discriminatoria. Nell’ipotesi peggiore, ma purtroppo frequente, l’arbitrio della commissione viene mascherato sotto il velo della correttezza burocratico-formale non per selezionare il meglio, ma solo al fine di far passare i raccomandati di turno.
In questo come in altri settori della pubblica amministrazione, è necessario sostituire il sistema concorsuale con un sistema in cui le decisioni di assunzione vengano prese da chi sopporta le conseguenze di decisioni sbagliate, ossia in primo luogo dai presidi di ciascuna scuola. Chiamiamoli pure concorsi locali e stabiliamo con chiarezza e trasparenza quali requisiti formali oggettivi i candidati debbano avere, ma lasciamo anche spazio per una valutazione del "non misurabile" da parte dei presidi: non ci saranno rischi di corruzione se la valutazione di performance delle scuole (su cui il Quaderno opportunamente fa numerose dettagliate proposte) verrà utilizzata per premiare i presidi che facciano scelte giuste. E anche in assenza di questo, ci saranno i genitori e gli studenti a premere perché i presidi non facciano errori. E la pressione va benissimo per questo e altri problemi, purché ai presidi vengano dati gli strumenti giusti per governare le risorse umane a loro affidate.

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Incentivazione del personale

È di nuovo il buon senso prima ancora che la teoria economica a suggerire che solo dei santi possono essere disposti a dare il massimo senza ricevere alcun compenso per il loro impegno. È giunta l’ora di mettere in soffitta l’ipocrisia di chi ritiene che l’insegnamento sia una missione da non svilire abbinandola a problemi di "vil denaro".
I fatti sono chiarissimi nelle tabelle del Quaderno bianco: non è che gli insegnanti italiani siano pagati drammaticamente meno che negli altri paesi in termini di retribuzione oraria o annua. Anche senza questa evidenza, basterebbe a dimostrarlo il fatto che i concorsi hanno un numero di candidati largamente superiore ai posti disponibili. Quindi per molti, a conti fatti, la carriera dell’insegnante è attraente proprio perché paga relativamente bene per quanto concretamente richiesto dal datore di lavoro.
Il vero problema è che la retribuzione e la progressione di carriera degli insegnanti sono interamente determinate dall’anzianità di servizio o da incarichi particolari, e completamente indipendenti dall’impegno profuso e dai risultati ottenuti, comunque misurati. Per gli insegnanti non esistono nemmeno promozioni tra livelli, ancorché meramente contrattuali, come invece accade in altri settori della pubblica amministrazione.
La soluzione è una sola ed è urgente: le retribuzioni e le carriere degli insegnanti devono dipendere in misura maggiore dalla performance, misurata almeno a livello di scuola e possibilmente anche al livello di ogni singolo lavoratore. È ipocrita nascondersi dietro il dito della difficoltà di misurare l’input e l’output. Il Quaderno bianco è pieno di suggerimenti interessanti a questo proposito e avrebbe potuto farne altri ancor più coraggiosi.
Ma soprattutto è bene chiarire che questo è un terreno in cui, per trovare la soluzione migliore, è necessario sperimentare combinazioni di meccanismi di incentivazione, mentre è del tutto inutile discutere quale essa sia su un piano ideologico di principio. Ha ragione chi dice che il lavoro degli insegnanti non può essere misurato solo in termini di input, ad esempio giorni di presenza. Così come non può essere valutato solo sulla base di indicatori misurabili di output, ad esempio, la performance degli studenti in livello o variazione o i giudizi dei genitori. Ha anche ragione chi sottolinea l’esistenza di componenti della valutazione di un insegnante non riducibili a numeri e che devono avere una rilevanza anche se suscettibili di dipendere in modo arbitrario dalle opinioni dal valutatore. Il mix giusto può essere trovato solo sperimentalmente e deve essere individuato da chi sopporta le conseguenze della scelta di un mix sbagliato. Ancora una volta dovrebbe toccare ai presidi la sperimentazione e la scelta della soluzione più adatta alla loro scuola, nell’ambito di linee guida molto generali stabilite dal ministero. Questo a condizione che ai presidi, e via via a chi sta sopra di loro, siano stati indicati gli obiettivi da perseguire e gli incentivi corrispondenti.
Al vertice della piramide ci sta il ministro: tocca a lui cominciare dai suoi collaboratori.

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  1. MIMMO TURTURRO

    Molto accurata l’analisi a livello teorico, a livello pratico non c’è conoscenza di chi sono i presidi e come sono stati reclutati.Affidare a loro compiti così delicati vuol dire peggiorare la situazione e farla scivolare ancora più in basso.

  2. fulvio lo cicero

    L’analisi di Ichino è convincente ma ha un limite: quello di attribuire ai presidi compiti delicatissimi. Faccio presente che anche la selezione dei dirigenti scolastici soffre delle stesse carenze di quelle sottolineate da Ichino a proposito degli insegnanti. In generale i presidi non sono preparati a fare i “manager” e sono anche pagati molto poco per farlo. Quindi, siamo da capo a dodici. Se non ci si vuole convincere che la scuola ha bisogno di enormi investimenti non si riuscirà mai a venire a capo di un problema drammatico per il futuro del Paese.

    • La redazione

      Il problema e’ gia’ stato posto da altri commentatori. Il punto e’ che attualmente gli insegnanti non vengono scelti da chi sopporta le
      conseguenze di scelte sbagliate. E lo stesso vale per i dirigenti scolastici. Quindi anche le regole di selezione dei dirigenti scolastici
      andrebbero cambiate e cosi’ via per tutta la piramide. Cosi’ funziona in una azienda privata dove il mercato detta la disciplina.
      Mi si dira’ che il settore pubblico non vende sul mercato e quindi il mercato non puo’ disciplinare il settero pubblico. Ma nel caso della scuola i consumatori, ossia le famiglie possono eccome imporre una disciplina di mercato: lo fanno in tanti paesi in cui i presidi hanno proprio le responsabilita’ che io vorrei attribuire a loro.
      Pur rimanendo finanziate con fondi pubblici (ad esempio mediante vouchers distribuiti in modo inversamente proporzionale al reddito delle famiglie e spendibili solo per istruzione ), le scuole (e i loro presidi) potrebbero essere disciplinate dai consumatori (ad esempio dal numero di vouchers che riescono ad attrarre).
      Mi dira’ ancora il lettore che le scuole per attirare studenti renderanno loro la vita facile. Non credo, a patto che venga eliminato il valore legale dei titoli. Lei manderebbe suo figlio ad una scuola facile solo per ottenere un titolo che non vale nulla?

  3. Zanette Luciano

    Dall’articolo si attribuisce ai presidi il ruolo chiave per migliorare le "performance" didattiche degli insegnanti. E qui sta il problema; come vengono selezionati i presidi? Con le stesse modalità degli insegnanti. Cioè con prove scritte, dove diventa essenziale la capacità di scrivere; per partecipare vi è una selezione per titoli, dove diventa preminente l’aver fatto il vicepreside ( cioè colui che firma permessi di entrate e uscite degli studenti….) , mentre eventuali titoli accademici, abilitazioni conseguite non vengono prese in considerazione. Ma soprattutto i possibili candidati non sono selezionati in base a test attitudinali che ne misurino la capacità organizzativa, coordinatrice e quindi manageriale , come avviene invece nel settore privato. I futuri presidi sono degli ottimi burocrati, che conoscono a fondo le leggi, ma completamente avulsi dalla didattica e disinteressati ad un suo miglioramento ( ad esempio nello scrutinio finale il preside non si cura di capire perchè uno studente ha avuto certi esiti e come si può fare per migliorare la situazione, ma solo che le "carte" siano a posto per un eventuale ricorso).

  4. Pierluigi Alessandrini

    Sono un preside. Non nego di condividere assolutamente le impressioni dei docenti che sono intervenuti nel forum. Credo però che essi non conoscano bene la realtà dell’ultimo concorso per presidi (chiamiamolo ancora così, anche se oggi è dirigente scolastico). La grossa innovazione introdotta col Concorso Ordinario del 2004 è il colloquio di gruppo, fatto in otto candidati che discutono su un tema in 45 minuti. Qui si vedono le dinamiche relazionali e le capacità collaborative messe a nudo. Peccato che lo abbiano fatto solo per il concorso ordinario. Gli oltre 3000 presidi entrati con il concorso riservato non hanno fatto lo stesso scalino per entrare. Nessun docente invece, ad oggi, entra per concorso. Gli unici docenti plausibili che io posso avallare escono dalle SSIS, che forniscono un bagaglio che abbrevia l’apprendistato di insegnante. Quindi la qualità passa per scelte difficili ed impopolari, di selezione su criteri chiari, trasparenti ma rigidi: chi può entra, senza pensare di fare tutti il medico o l’ingegnere. Anche le linee per la valutazione autentica, tecniche ormai entrate a macchia di leopardo nella scuola italiana, possono contribuire a far nascere una nuova consapevolezza della validità di percorsi diversi dall’accademico, altrettanto nobili e redditizi. Da ultimo segnalo che le linee del Consiglio di Lisbona del 2000, recepito dalla legge 53/2003 (detta Moratti) ed oggi all’interno delle Indicazioni di Fioroni, orientano la scuola in una direzione eccellente, molto lontana dalla scuola di prima attraverso la ricerca della Competenza dell’alunno. Ma chi potrà orientare il singolo istituto a seguire quella strada? Solo il preside, poichè se vuole può ostacolare o spingere i docenti. Ecco la necessità davvero di selezionare in misura più attenta la dirigenza delle scuole (e del resto dell’Amministrazione).

  5. Alessandro Figà Talamanca

    Trovo strano che si parli del sistema dei concorsi nazionali per la selezione dei docenti della scuola secondaria, quando questo sistema è stato sostanzialmente soppresso da almeno quaranta anni. La stragrande maggioranza dei docenti attuali è stata reclutata attraverso graduatorie di anzianità di “precari”. Molti dei precari non erano nemmeno in possesso dell’abilitazione all’insegnamento, e si è provveduto ad “abilitarli” attraverso i famigerati “corsi abilitanti” ed altre forme di abilitazione garantita. I concorsi nazionali banditi con cadenza ultradecennale non sono una forma ragionevole di reclutamento ed infatti sono stati solo occasioni per progettare forme di “abilitazione garantita”. L’ultimo concorso nazionale è stato bandito nel 1999 e non se ne vedono altri in vista per almeno tre anni (deve esaurirsi l’attuale graduatoria dei precari!). Eppure scommetterei che la minoranza di docenti entrata con veri concorsi non è inferiore alla media in termini di preparazione ed impegno. Mi dispiace di intervenire così in ritardo è stato il recente articolo di Giavazzi sul Corriere che mi ha fatto leggere questo articolo.

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