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UN BONUS CHE PESA SULL’AMBIENTE

Scaduto il bonus fiscale sulla benzina deciso dal governo Prodi, sono già forti le pressioni perché il nuovo esecutivo rinnovi il provvedimento, anzi lo rafforzi. Ma l’accisa sui carburanti va considerata sotto il profilo della correzione dell’impatto ambientale. Se proprio si deve intervenire, meglio dunque prevederne una riduzione virtuale e utilizzare la somma ricavata per favorire il risparmio energetico o per incentivare le energie rinnovabili. Si eviterebbe di inviare ai cittadini il segnale sbagliato che la tassazione delle fonti fossili di energia si può ridurre.

Mentre il prezzo del petrolio veleggia verso i 120 dollari a barile e il prezzo nostrano del carburante raggiunge nuovi record, è giunto a scadenza il cosiddetto “bonus fiscale” sulla benzina deciso meno di due mesi fa dal precedente governo. Ci si chiede dunque se il nascente governo intenda rinnovarlo, ma in ogni caso rimarrà scoperto un periodo di qualche settimana, durante il quale il prezzo del greggio potrebbe subire nuove impennate. Codacons, Adusbef e Federconsumatori chiedono intanto che la misura dello sconto sia quadruplicata e che vengano operati interventi strutturali nel mercato della distribuzione. Vale la pena allora di cogliere l’occasione della vacatio legis per ragionare sull’opportunità o meno di un rinnovo e il punto da cui partire è il funzionamento del meccanismo sottostante al bonus.

IL DECRETO SCADUTO

La questione è nota: di fronte ai ripetuti aumenti del prezzo della materia prima che si scaricano sul prezzo dei carburanti, le associazioni dei consumatori e gli utenti reclamano da tempo un intervento del governo sulla fiscalità. La ragione sta nel fatto che l’imposta sul valore aggiunto si commisura percentualmente sulla somma di prezzo industriale (di cui quello del greggio è la componente predominante) e accisa: ogni aumento del prezzo del greggio viene traslato sul prezzo finale in maniera che risulta amplificata. Ciò crea un vantaggio per il Tesoro che vede accresciuto automaticamente il gettito e danneggia i cittadini che vedono appesantita la spesa di questa voce.
Per correggere l’anomalia per cui “lo Stato finisce per essere cointeressato agli aumenti del greggio”, la Legge finanziaria 2008 ha finalmente accolto la richiesta d’intervento che ha poi trovato concreta applicazione nel decreto appena scaduto. Il decreto, firmato dal duo Bersani-Visco il 7 marzo scorso, stabiliva che dalla data di entrata in vigore e fino al 30 aprile 2008 i cittadini potevano usufruire di una diminuzione della componente fiscale di complessivi 2 centesimi per ogni litro di benzina e di gasolio e per ogni chilogrammo di Gpl (equivalente a una riduzione di 1,1 centesimi di euro per ogni litro). Il decreto, inoltre, azzerava l’accisa sul gas naturale per autotrazione.
Ma cosa disponeva esattamente il legislatore? Anzitutto i commi 290-294 dell’articolo 1 della Finanziaria 2008 non introducono automatismi come forse i cittadini utenti avrebbero desiderato. Il perno del provvedimento è rappresentato dal livello del prezzo del greggio indicato nel Dpef. Questo è stato fissato al 71 dollari/barile, coerentemente con il quadro macroeconomico tracciato in quel documento. (1) Il decreto fissa anche il prezzo soglia che attiva la facoltà d’intervento dell’esecutivo: se nella media del periodo (quindi dal 1 gennaio al 10 marzo 2008) il prezzo del petrolio in euro cresce in misura pari o superiore al 2 per cento del livello del Dpef, e cioè supera il livello di 72,42 dollari convertiti in euro, allora il governo può emanare un decreto che disponga la riduzione delle aliquote delle accise in modo da compensare le maggiori entrate dall’Iva. Il meccanismo non opera in via automatica né in tempo reale: ci vuole infatti un atto del governo e questo può essere adottato con cadenza trimestrale. Ciò significa che una volta emanato, il prossimo intervento può essere adottato solo dopo tre mesi, anche se nel frattempo il prezzo del greggio è  costantemente aumentato. (2) Se ha fatto le bizze, salendo e poi flettendo, il decreto potrebbe non essere emanato affatto.
Una clausola degna di nota è che il meccanismo è applicabile a patto che per sei mesi il prezzo medio del petrolio non sia sceso al di sotto del livello fissato nel Dpef. Se ciò si verifica il provvedimento  non può essere preso per sei mesi, anche quando il prezzo del greggio avesse (ri)preso a galoppare.
Infine, anche se la cosa appare oggi improbabile, una terza disposizione precisa che nel caso di riduzione del prezzo del greggio rispetto al valore di riferimento del Dpef il governo potrebbe intervenire per decreto ad aumentare le accise onde ricostituire la perdita di gettito subita. Questo passaggio dispone dunque la simmetria dell’intervento, un aspetto su cui ci eravamo soffermati già in precedenza.
La riduzione delle accise, se ripetuta, non può comunque scendere sotto i livelli minimi stabiliti in sede comunitaria, secondo quanto chiarito dal comma 292, ma come notava sul Corriere della sera di sabato 3 maggio il commissario alla Fiscalità Laszlo Kovacs, “si sa che l’Italia è ben al di sopra di tale soglia”, dando così la sua benedizione a questo tipo di interventi.
In sostanza, pare che il governo Prodi abbia accontentato le associazioni dei consumatori, ma che si sia riservato ampi margini di discrezionalità. Infatti, mentre il gettito cresce automaticamente quando il prezzo del petrolio sale, il cosiddetto sconto fiscale non si attiva automaticamente, ma viene disposto per decreto, il che potrebbe in linea di principio non aderire al criterio della tempestività. La cadenza trimestrale, la clausola del semestre per la non applicabilità, la misura dell’incremento sono tutti aspetti decisi discrezionalmente dal governo.

L’ACCISA E L’AMBIENTE

Quando il prossimo governo Berlusconi si accingerà a decidere se intervenire nuovamente, per le pressioni iniziate non appena scaduto il precedente decreto, sarà utile che tenga in debito conto alcune considerazioni.
La prima riguarda la motivazione di fondo dell’intervento. Perché si dovrebbe attenuare la fiscalità sui carburanti? Una risposta è che sono inflattivi, stante l’accentuata dinamica del prezzo del petrolio. Un’altra risposta, meno rigorosa, è che si tratta di prodotti “sensibili”, relativamente ai quali il pubblico, le associazioni e i politici sono assai reattivi. Si tratta di argomentazioni deboli, soprattutto se si pensa ad altri beni – e i generi alimentari sono i primi che vengono alla mente – che sotto quei punti di vista rispetto alla benzina non sono certo da meno.
Una differenza importante è che molti prodotti, come quelli alimentari appunto, sono gravati dall’Iva, ma non dall’accisa. Questa è un’imposta sulla produzione la cui funzione è stata storicamente quella di produrre gettito, ma che oggi non può non essere considerata sotto il profilo della correzione dell’impatto ambientale. Se si accetta questa impostazione, e non può né deve essere altrimenti, allora si deve concludere che in un periodo di allarme per le crescenti emissioni di gas-serra e di inquinanti locali (soprattutto il PM10) l’accisa non deve essere ridotta.
Se proprio si intendesse intervenire, si potrebbe decidere una riduzione “virtuale” delle accise, disponendo che la somma – il decreto precedente restituiva 162 milioni di euro – venga utilizzata per favorire misure di risparmio energetico o per incentivare le energie rinnovabili. Ai cittadini verrebbe comunque recato un vantaggio senza inviare loro un segnale sbagliato, e cioè che la tassazione delle fonti fossili di energia si può ridurre. Purché naturalmente, e qui sta la difficoltà tutta italiana, l’intera operazione risulti credibile.

(1)Il livello di 71 dollari è fissato nel Dpef 2007-2011 approvato dal Consiglio dei ministri il 7 luglio 2006 (vedasi all’indirizzo http://www.governo.it/Governoinforma/documenti_ministeri/dpef2007_2011.pdf). Curiosamente il successivo Dpef per gli anni 2008-2011 deliberato dal Consiglio dei ministri il 28 giugno 2007 (vedasi all’indirizzo http://www.governo.it/Governoinforma/documenti_ministeri/dpef2007_2011.pdf) fissava il prezzo del greggio a 65 dollari.
(2)In sede di prima applicazione il comma 293 ammette una deroga al principio dei tre mesi: il  periodo di validità è stato esplicitamente stabilito infatti in 50 giorni, dal 10 marzo al 30 aprile 2008.

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L’ITALIA NELLA SPIRALE DEL “DEGIOVANIMENTO”*

  1. Giuseppe P.

    Condivido la tesi espressa in quest’articolo. Occorre limitare il più possibile l’utilizzo della gomma quale mezzo di trasporto di cose e persone, puntando sul trasporto marittimo (Autostrade del Mare) e sul ferro, utilizzando il trasporto stradale per l’"ultimo miglio". Perciò alti prezzi dei carburanti favoriscono queste alternative. Dal punto di vista ambientale, infatti, il trasporto su gomma è il più inquinante. Si potrebbe utilizzare infatti l’extra-gettito derivante dall’aumento del prezzo del petrolio per investimenti nei trasporti marittimi e ferroviari.

  2. Federico Bigongiari

    L’idea di calcolare una ‘accisa virtuale’ in relazione agli aumenti dei carburanti, da destinare alla ricerca e sviluppo di carburanti alternativi mi sembra ottima. Tra l’altro dovrebbe spingere l’intero mondo del petrolio a moderarsi per non accellerare il suo futuro declino. Federico

  3. Alessandro Mencarini

    La proposta di destinare quello che sarebbe il taglio delle accise alle rinnovabili è ottima. Io comunque, da utilizzatore di auto, con un po’ di sadismo e di masochismo, spero che i prezzi di petrolio e benzina salgano alle stelle (come faranno, se il prezzo del barile rispetterà le previsioni di 200 dollari entro 2 anni), in modo da mettere con l’acqua alla gola tanti utenti che inizierebbero a considerare soluzioni "nuove", come il car pooling, o che finalmente i cittadini decidano di bocciare gli amministratori (locali e non) che colpevolmente, e spesso con un ritorno in tasca propria, investono in inutili aeroporti da 1’000 passeggeri l’anno, invece di potenziare il traffico su ferrovia. C’è anche da dire che in Italia, in barba alle normative europee, si destina il CIP6 della bolletta energetica allo smaltimento dei rifiuti tramite inceneritore piuttosto che ai suoi destinatari naturali come fotovoltaico ed eolico (disincentivando così la differenziata, come dimostrato da recenti inchieste). Mi pare quindi un sogno irrealizzabile, quello di sapere che con l’acquisto di benzina si finanzia, ad esempio, la ricerca sui motori a idrogeno.

  4. Marista Urru

    Non mi convince affatto, e credo non possa convincer nessuno che non viva a fantasilandia.
    Considerare le infinite accise sulla benzina, comprese quelle vergognose tipo contributi per terremoti , inondazione di Firenze e simili, come interventi per salvagaurdare l’impatto ambientale, suona carino, ma non ci crede manco babbo natale. l’accisa sui carburanti è una delle mille tasse inique che subiamo, e si deve proprio intervenire senza trucchetti che servono solo a portare soldi in un pozzo, il solito, in cui si sa che entrano, ma non si sa mai bene da dove escano.
    Non insultate oltre l’intelligenza degli Italiani e non esagerate a sfidarne la pazienza!!

    • La redazione

      Come affermo sul finire dell’articolo la difficoltà da parte dei nostri governi è convincere gli italiani della bontà degli interventi e della certezza dei propositi. Il suo commento conferma il generale atteggiamento di sfiducia. Spesso a fronte di questo fatto è utile
      introdurre comunque il provvedimento e lasciare che poi i cittadini ne vedano i buoni frutti. Questo – mi sembra – è ciò che sta avvenendo con l’Ecopass milanese, anche se ammetto che quello è un provvedimento più specifico e facilmenteidentificabile quanto a costi e benefici della proposta che ho avanzato. Comunque, tasse inique o meno, quando i nodi dei nostri obblighi di Kyoto verranno al pettine vedrà lei, ci sarà da divertirsi…

      Marzio Galeotti

  5. Stefano Verde

    Gentili autori dell’articolo, volevo chiedervi: 1) Reintroddure una carbon tax in Italia e’ proprio un’utopia? 2) Cosa ha fatto l’Italia negli ultimi anni per ridurre le emissioni serra? E cosa si puo’ sperare che il nuovo governo faccia?
    Stefano Verde

  6. Marco Galeotti

    L’aumento del costo dei carburanti è un fattore di inflazione che pesa moltissimo nelle tasche di tutti coloro che devono spostare merci o muoversi per lavoro (e sono la maggioranza), in assenza di alternative credibili sui trasporti (vedi ferrovie, metropolitane, ecc.). Di fatto il consumo di carburanti è poco comprimibile, salvo ottenerlo tramite leggi ferree sui limiti di velocità (ad esempio da 130 a 100 km/h), che potrebbero probabilmente ridurre notevolmente i consumi ( e gli incidenti!), senza diminuire sostanzialmente la mobilità. Qualcuno ha calcolato quali sarebbero gli effetti di una imposizione drastica di limiti di velocità molto più bassi, per quanto concerne consumo di carburanti, inquinamento ambientale, numero di morti e feriti per incidenti?

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