Anziché spiccare un volo da ape, la Bce ronza su e giù come un grosso e pesante insetto. Infatti, dopo le recenti dichiarazioni del presidente Mario Draghi i mercati si aspettavano provvedimenti decisi, come un programma di acquisto di titoli (di stato e non) preannunciato nella sua durata, nella sua ampiezza e  nei suoi obiettivi. Invece, soltanto segnali sull’eventualità che, forse, si potrà agire in futuro. Un autogol. E la delusione dei mercati non ha mancato di farsi sentire.

Era forse la riunione di consiglio della Bce più attesa da quando la Bce stessa esiste come istituzione. A renderla così ricco di pathos erano state proprio le dichiarazioni del presidente Draghi a Londra nei giorni recenti. Ma rispetto alla fermezza e alla chiarezza di quelle dichiarazioni, che avevano riacceso una luce in fondo al tunnel, la Bce ha, ancora una volta, deluso. Confermando di essere sempre behind the curve rispetto ai mercati. O forse, usando un’immagine che lo stesso presidente della Bce ha usato per l’euro, di preferire la propria natura di bumblebee invece di spiccare un volo da ape.

ANCORATI A UN’ISTITUZIONE CREDIBILE

Perché la Bce insiste nella sua natura di bumblebee? Perché continua a (far finta di) non capire che tutti, in Europa, nel mondo, tra gli operatori economici e finanziari, tra le imprese e i lavoratori, sono alla disperata ricerca di un’àncora. Di una istituzione, cioè, che in modo credibile, trasparente, dia il senso della presenzaistituzionale dell’Europa. Di qualcuno che sappia prendere decisioni in modo rapido. Che pensi da organo completamente sovra-nazionale.
Piaccia o no, a oggi, la Bce è l’unica istituzione veramente pan-europea. Perché la fiducia nella capacità dei governi europei di trovare una soluzione cooperativa alla crisi è oramai svanita. Ogni meeting degli stati membri è il più classico fuoco di paglia. Ogni decisione trasuda compromesso al ribasso, si mostra traballante al minimo dubbio espresso da uno dei “piccoli falchi” dell’euro (oggi la Finlandia, domani l’Olanda o l’Austria). Insomma, manca dell’unico ingrediente veramente importante: la credibilità.
L’Euro ha mostrato di saper navigare con facilità durante i “tempi buoni”, ma di non essere in grado di sopravvivere ai “tempi difficili”. La crisi della moneta unica è quindi, banalmente, questo: tutti nel mondo hanno perso fiducia nella capacità del sistema euro (inteso come complessa architettura di meeting tra i governi, di regole sovrapposte o mai rispettate, di apparati decisionali frammentati e mai veramente credibili) di sopravvivere ai tempi di difficoltà. La strada è strettissima. Se ne esce solo con riforme radicali, queste sì strutturali, che restituiscano credibilità al sistema decisionale. Altrimenti, la fine dell’Euro passerà alla storia come uno dei più grandi autogoal della storia politico-istituzionale, e non economico-monetaria.
È per questo motivo che il ruolo della Bce è oggi così importante. E’ probabilmente un ruolo che la Bce stessa non avrebbe mai voluto svolgere. Ma che si trova a dover svolgere suo malgrado.

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UN PROGRAMMA PER IL “CREDIT EASING”

Come scrivevo già nell’agosto del 2011, quello che la Bce dovrebbe fare è annunciare un programma sistematico di acquisto di titoli (di stato e non). Cioè: (i) preannunciato nella sua durata (dai tre ai sei mesi), (ii) nella sua ampiezza (fino a 1000 miliardi di euro), e (iii) nei suoi obiettivi (orientato ai titoli dell’intera area dell’euro, enon dei soli paesi in difficoltà oggi). Ciascuna di queste condizioni è cruciale.
Questo programma dovrebbe avere una chiara motivazione: quella di credit easing, per riprendere una formula già usata da Bernanke durante la crisi dei subprime negli USA. Cioè giustificata dal grado elevatissimo di disfunzionalità dei mercati finanziari (monetari, creditizi, del debito interbancario) generata dal contagio della crisi dei titoli sovrani. Un programma certamente non motivato dall’obiettivo di monetizzare i debiti sovrani. Perché l’economia dell’area Euro è quello che è : cioè altamente bancocentrica, e con una forte integrazione tra mercato dei titoli sovrani e bilanci delle banche. Ed è quindi con questa economia che la Bce si trova a operare.
Sarebbe facilissimo giustificare un tale programma sulla base del mandato della Bce. I presunti rischi per l’indipendenza della Bce sarebbero inesistenti. Anzi, paradossalmente, mostrando di affrancarsi completamente dalla Bundesbank, la Bce rafforzerebbe, invece di indebolire, la propria credibilità e indipendenza.

MERCATI DELUSI

Le aspettative dei mercati erano chiaramente per una qualche variante di questo programma. Ma la Bce ha preferito rimandarne l’eventuale attuazione ai “lavori esplorativi di una commissione che ne definisca gli aspetti tecnici”. È possibile che i tecnici della Bce non ci avessero già lavorato prima? Soprattutto, la Bce ha condizionato l’attuazione di un qualche programma d’intervento sul mercato dei titoli alla generica richiesta che i governi in difficoltà facciano prima ricorso al Fondo europeo di stabilità (Efsf o futuro Esm).
Da un lato, è comprensibile che la Bce dica: se questo strumento (cioè l’Efsf) esiste, usatelo. Ma dall’altro fa finta di non capire due cose: primo, che tutti sanno che se saranno Spagna o Italia a rivolgersi all’Efsf, il Fondo stesso cesserà di esistere, perché non capitalizzato a sufficienza; secondo, che la natura legale e istituzionale dell’Efsf stesso non è chiara. Può prendere a prestito dalla Bce? Può emettere bond? Sarà forse chiaro agli esperti legali della Bce, ma non lo è, ancora, ai mercati.
Certamente non tutto il contenuto della decisione di oggi della Bce è stato negativo. Non vanno sottovalutati due aspetti. Primo, per la prima volta nella sua storia la Bce ha accolto l’idea che un programma esteso di acquisto di titoli, con esplicita finalità di stabilizzazione dei mercati finanziari, possa essere messo in atto in futuro. Secondo, ha espresso tali obiettivi, anche se solo potenziali, in un quadro volto a orientare le aspettative. Cioè finalmente Draghi ha pronunciato la parola “guidance”.
Esprimere forward guidance è un principio scientificamente valido di buona politica monetaria. Il problema è che Draghi ha accompagnato per la prima volta la Bce nell’universo dorato della guidance nel momento e nel modo sbagliato. Perché oggi era il momento di agire; non quello di fornire segnali sull’eventualità che, forse, si possa agire in futuro.

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