Grazie a un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sulla crisi di identità della scuola italiana e a un dibattito apertosi sulle colonne del Corriere della Sera, sappiamo finalmente quali siano i piani del governo sulla scuola italiana. Non che siano particolarmente promettenti. Oscillano tra passatismo e irrilevanza. Speriamo in qualche ripensamento. Senza dimenticare che una società che risparmia sull’investimento nella scuola è una società che sta rinunciando al suo futuro.
Grazie a un editoriale di Ernesto Galli della Loggia e a un dibattito apertosi sulle colonne del Corriere della Sera, sappiamo finalmente quali siano i piani del governo sulla scuola italiana.
ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO
Prima di discutere le proposte dei ministri Gelmini e Tremonti è opportuno richiamare i contenuti dell’intervento che ha avuto l’indubbio merito di stimolarle. La tesi di Galli della Loggia è che la crisi della scuola italiana sia l’altra faccia della medaglia della crisi di identità del nostro paese, incapace di progettare il suo futuro, perché non riesce più a incontrare il suo passato. Questa diagnosi è così astratta da rendere difficile una sua valutazione. Anche se fosse corretta, non offrirebbe comunque terapie di immediata attuazione. Come fa una società a riappropriarsi del suo passato e a definire una nuova identità? Chi dovrebbe promuovere tale processo? E quale sarebbe l’orizzonte temporale? La scuola non può permettersi il lusso di aspettare che la società italiana riconosca se stessa allo specchio, ma ha la necessità di interventi urgenti.
ORDINALE, CARDINALE E VECCHIO MANUALE
Questa necessità viene riconosciuta negli interventi dei ministri Gelmini e Tremonti, che hanno il pregio di proporre misure potenzialmente di efficacia immediata. Partiamo dalle due proposte avanzate dal ministro dell’Economia: il ritorno ai voti al posto dei giudizi e una riduzione della frequenza nel cambiamento dei libri di testo. Si tratta di interventi marginali, se non del tutto irrilevanti. I giudizi, come i voti, hanno un valore ordinale. Come 8 è meglio di 7, così ottimo è meglio di distinto. Riesce difficile capire perché la scala 9-8-7-6-5 (peraltro già applicata nei licei) sia preferibile alla scala ottimo distinto buono sufficiente insufficiente o a quella A-B-C-D usata nei paesi anglosassoni. Quanto ai libri di testo, è vero che sono cambiati nel tempo, ma lo stesso è avvenuto anche a livello di testi universitari. La ragione è che nel tempo è cambiata la modalità di studio e apprendimento degli studenti a ogni livello. Il diffondersi di nuove tecnologie come il computer ha arricchito gli strumenti didattici a disposizione degli insegnanti e i libri di testo si sono adattati a tali cambiamenti, inserendo supporti didattici come i cd dedicati al ripasso degli argomenti e una grafica meno spartana di quella dei libri di testo degli anni Settanta. Questo processo è avvenuto in tutti i paesi. Certo, vi sono case editrici che procedono ad aggiornamenti cosmetici pur di spiazzare il mercato dellusato. Ma non ci si può affidare che agli insegnanti per impedire che queste scelte editoriali appesantiscano il bilancio delle famiglie. Esistono già tetti di spesa. Intervenendo dimperio si corre il rischio di ritardare linnovazione didattica.
LE QUATTRO I
La stessa ottica passatista ispira le proposte del ministro Gelmini: ripristino del voto di condotta, divisa scolastica, maestro unico, insegnamento delleducazione civica. Inoltre, si aggiunge alla vecchia ricetta delle tre I (inglese, informatica e impresa) una quarta I (italiano), cioè lo studio della letteratura, della storia e delle tradizioni italiane. Il maestro unico, il grembiule e il voto di condotta cerano negli anni Settanta e così anche linsegnamento delleducazione civica. Ma la società italiana è cambiata e così la scuola. In particolare, sono cambiati gli studenti e le loro famiglie. Il massiccio flusso di immigrati ha reso meno omogenee le classi. I bambini con disabilità, che venivano prima lasciati a casa, adesso vanno giustamente a scuola. La maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro ha fatto fiorire il tempo pieno, riducendo il coinvolgimento delle famiglie nel processo di apprendimento degli studenti.
Non è certo con il ritorno al passato che la scuola italiana troverà la soluzione dei suoi problemi. Cosa si può fare allora per la scuola italiana? Un sistema di buoni (voucher) che consenta alle famiglie di scegliere tra le varie scuole, anche private, mettendole in competizione, è la proposta che è stata avanzata da più parti. Ma anche l’introduzione del sistema di voucher non farebbe in alcun modo scomparire il ruolo della scuola pubblica. E per migliorare la scuola pubblica le ricette non sono molte: c’è bisogno di una iniezione di capitale fisico e capitale umano.
Molte scuole pubbliche sono ancora in edifici vecchi, spesso inadatti a ospitare le attività scolastiche. Mancano laboratori scientifici e linguistici e ci sono troppo poche aule di scienze. In altri paesi gli studenti si spostano tra diverse aule a seconda degli insegnamenti. Da noi, la carenza di aule impone di fare spostare gli insegnanti anziché gli studenti, col risultato che i docenti di materie come biologia, chimica e fisica non possono svolgere bene il loro mestiere. La scarsità di palestre adeguate e quindi limpossibilità di consentire ai ragazzi di svolgere attività sportiva è un altro dei problemi cronici della scuola italiana, le cui conseguenze si sono evidenziate anche alle Olimpiadi di Pechino. Ad oggi, purtroppo, non è stata ancora completata lanagrafe edilizia e quindi non sappiamo ancora quali siano le scuole che necessitano di interventi rilevanti. Un programma di miglioramento delledilizia scolastica non è rinviabile. Accanto al miglioramento delle strutture occorre migliorare la qualità dell’insegnamento. Una selezione più severa per limmissione in ruolo dei docenti. Incentivazione degli insegnanti, con premi per chi svolge con dedizione il suo lavoro e sanzioni per chi invece brilla per assenteismo o scarso impegno in classe. Maggiore potere ai presidi nella scelta dei docenti e nella loro incentivazione. Taglio dei plessi scolastici marginali. Formazione e test periodici per gli insegnanti. Tutti, in qualunque parte dItalia. Test nazionali per verificare il grado di apprendimento degli studenti che serviranno alle famiglie per conoscere il contenuto formativo di tutte le scuole italiane. Potranno così, soprattutto al Sud, esercitare pressioni sui docenti affinché migliori la qualità della didattica anziché puntare solo ad avere un pezzo di carta per i loro figli.
Tutte queste proposte costano. Ma sarebbe miope rinviare l’investimento nella scuola invocando la già eccessiva spesa per il corpo docente. Bene invece utilizzare ogni risparmio nella spesa corrente e derivante dalla chiusura dei plessi inefficienti per investire nei materiali didattici e nell’edilizia scolastica. E se ci sono insegnanti che non fanno il loro lavoro, occorre fare tutto il possibile per espellerli dal sistema scolastico. Ma senza dimenticare che una società che risparmia sull’investimento nella scuola è una società che sta rinunciando al suo futuro.
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Sergio
Concordo pienamente sulle proposte degli scriventi. Mi permetto di aggiungere che l’adeguamento/sostituzione di molti edifici scolastici è indispensabile ed urgente anche per motivi di ottemperanza alle norme di sicurezza.
elena scardino
Sono stata peside di scuola media per 13 anni, e ho sperimentato i vantaggi del "tempo prolungato" la cui organizzazione permetteva di creare aule specializzate a laboratorio per varie materie, come ed. scientifica e tecnica, lingua straniera, ed. artistica. Era possibile, almeno per quelle ore, far spostare gli alunni in locali attrezzati e predisposti, con maggiore soddisfazione e risultati sia per i ragazzi che per gli insegnanti. Sono anche molto d’accordo con la proposta dei test nazionali per tutte le scuole, naturalmente se ci fosse la certezza di risultati attendibili e non manipolati.
GIANCARLO FICHERA
La prima cosa che farei per rinnovare la scuola italiana è quello di raddoppiare gli stipendi degli insegnanti, ma non a tutti. Selezionerei una classe di insegnanti che rimane a scuola per 40 ore la settimana, la mattina insegna, il pomeriggio tira su gli alunni più deboli, ma soprattutto dà una impronta culturale alla scuola, perchè il problema della nostra scuola è che gli insegnanti stanno a scuola solo per fare lezione, ma non la vivono. Pagando di più questi insegnanti li potrei selezionare meglio, attirando all’insegnamento i laureati migliori: questo fatto migliorerebbe di colpo la qualità dell’insegnamento scolastico. Adesso i laureati migliori non sono attratti da una carriere scolastica al termine della quale si arriva a prendere neanche 2000 euro mese.
Francesco De Leo
Quanto rappresentato dallarticolo non pare tenga presente che, in fatto di edilizia scolastica e relative suppellettili, compreso i laboratori, per effetto della legge 11/01/1996 n. 23 ed in esecuzione di quanto disposto dell’art. 14, comma 1, lettera i), della legge 8 giugno 1990, n. 142 sullordinamento delle autonomie locali, la competenza è passata agli ee.ll. , in particolare alle province per gli istituti di istruzione media superiore.
marcello battini
Non ho niente da eccepire sul contenuto dell’articolo, ma occorre fare alcune osservazioni: a) in troppe scuole, la situazione disciplinare è degenerata a causa dell’eccessivo lassismo del corpo docente e dei presidi, coartati da circolari ministeriali che spingono verso il permissivismo. In queste situazioni, è impossibile svolgere una qualsiasi decente attività didattica. Occorre ripristinare, prima d’ogni altra cosa, un più corretto rapporto tra docenti e discenti, nel quale i diritti, i doveri e le responsabilità siano equilibratamente ripartite. b) sulla scuola si è, da sempre, investito molto poco, con le conseguenze correttamente indicate nell’articolo. Se non ci sono soldi, adesso meno che mai, a causa della disastrata situazione della finanza pubblica, è fuorviante, adesso, chiedere maggiori finanziamenti. E’ preferibile auspicare che i soldi disponibili siano spesi meglio e talune iniziative ventilate dai ministri in carica sembra vadano in questo senso. Personalmente, in questo senso, preferirei fosse fatto di più. c) separare l’attività didattica, nella scuola, dall’attività assistenziale (dai Comuni). L’Italia è l’unico Paese ad avere scelto questa organizzazione.
padanus
1. Voti vs Giudizi, dovreste sapere che i giudizi non sono fatti da una semplice parola, in tal modo assimilabile ai voti. Il giudizio è un modo di complicare gli affari semplici ottenendo in un sol colpo 3 risultati: demotivare l’insegnante che lo scrive, confondere il genitore che deve interpretarlo, premiare (sempre) lo studente che non si sente offeso. Non è solo il problema di una parola vs un numero ma l’uso politicamente corretto che ne vizia l’uso. 2. Libri di testo: ha ragione Tremonti, i testi universitari sono una cosa diversa. Per Elementari e Medie, non servono effetti speciali e colori ultravivaci nelle materie di base. Il mio prof di matematica ci ha fatto usare la calcolatrice sono nell’ultimo trimestre della terza media, sostenendo che se non sapevamo fare di conto dopo 8 anni di scuola, tanto valeva darci la mitica "macchinetta". Non è mettendo il mouse in mano ai bambini di 5 anni che imparano più in fretta a leggere o fare di conto.
Carmela
Concordo con l’analisi dei prof.ri Boeri e Panunzi e, tuttavia, ritengo necessaria una grande cautela sul dare poteri ai dirigenti scolastici circa assunzioni del corpo docente e premi incentivanti. Da noi al Sud è altamente probabile che un simile meccanismo favorirebbe i figli di, gli amici degli amici di, i docenti che non creano problemi ai dirigenti. Le ultime riforme di poteri ai DS ne hanno dati già parecchi, i docenti non hanno più possibilità di intervenire, se non per mera consultazione, in parecchie questioni che pure riguardano se stessi e la vita della scuola, che non si riduce alla sola didattica. In Italia non esiste, ancora, la sufficiente maturità democratica per mettere la professionalità della maggior parte dei docenti in mano a "manager" che non devono, poi, rispondere del loro operato. Ben vengano, invece, concorsi seri che verifichino sia le conoscenze dei futuri docenti, sia, soprattutto, le loro competenze relazionali: il nostro mestiere è, innanzitutto, passione e capacità di rispetto per tutte le componenti (alunni, famiglie, colleghi, collaboratori,..) che interagiscono in un processo che, si badi bene, è educativo, non addestrativo.
alfonso
Tutto bene sulle idee . Come amministratore "di lungo corso" e ristrutturatore di molte aziende private e pubbliche ho imparato che per fare gli investimenti in situazioni di difficoltà bisogna avere i soldi dagli azionisti; se questi soldi non ci sono, prima bisogna ridurre le spese e poi si può cominciare a spendere . Mi pare di capire che i soldi dagli azionisti non ci siano e nemmeno la possibillità di indebitarsi ulteriormente. Ergo: riduzione delle spese, e qui non capisco dal vostro intervento da dove possano venire rapidamente risorse spendibili immdiatamente spendibili.
luigi zoppoli
Sia l’articolo di Galli della Loggia che questo articolo sono assai stimolanti per temi proposti ed analisi offerte ed è vero anche che occorre il pragmatismo dell’urgenza imposta dal tempo finora perso. Un obiettivo da considerare prioritario dalla didattica dovrebbe essere quello del metodo nel senso che l’offerta formativa deve offrire agli studenti un metodo, una strumentazione logica da utilizzare e di cui servirsi per apprendere durante gli studi e continuare ad apprendere ma a comprendere durante la vita. Non so se riesco ad esprimere in termini comprensibili ciò che intendo. Ma proprio ciò che nella scuola accade e ciò che per essa si fa o non si fa rappresenta l’emblema di mancata comprensione dei fenomeni. Diversamente si eviterebbe di proporre anche per la scuola pannicelli inutili.
marina bordonali
Due osservazioni sui soggetti decisori, il politico e il gestionale. Rilevante per il mondo della scuola, è lEnte locale territorialmente competente: la scuola autonoma vi si relaziona per le scelte strategiche/organizzative e spesso vi cozza contro. Specie nei piccoli e medi centri, vi è improvvisazione che si traduce in iniziative irrilevanti, poca considerazione delle esigenze delle famiglie, nessuna lungimiranza sui finanziamenti. Laddove al contrario le Amministrazioni comunali e Provinciali sono attente e competenti la scuola spicca il volo e i risultati si vedono!Laltro corno della questione è rappresentato dalla Dirigenza scolastica e amministrativa, sulla cui adeguatezza sono stati scritti volumi: troppi dirigenti, mal selezionati, spesso impreparati a gestire la complessità del cambiamento, mai valutati nonostante il DLgs 165/2001 lo preveda, talora promossi per clientelismo. La scuola sta fra lincudine del desiderio passatista e il martello della modernizzazione, dovrà per forza superare questa porta stretta se vorrà raggiungere gli altri paesi dellUE, ma per farlo occorre determinazione, serietà, valutazione: qualsiasi Governo non ne trarrà che beneficio.
Francesco Silva
Tremonti insiste sull’idea che cio’ che piu’ conta e’ la forma: ricordiamoci il caso dell’Euro cartaceo e di Robin Hood. La Gelmini e’ donna d’ordine, ma qualche messaggio d’ordine puo’ starci bene, anche se giustamente si osserva che bei grembiulini in un’aula ammuffita stonano alquanto. Credo che, data la scarsita’ di risorse, sia importante definire innazitutto a che livello cominciare a intervenire: suggerirei la scuola di base (elementari e soprattutto le disastratissime medie), perche’ li’ si parte e tutti si formano. Utili gli incentivi, non solo per gli insegnanti, ma anche per gli studenti migliori (competizioni e premi) e per le scuole migliori capaci di attrarre studenti da fuori zona, perche’ giudicate bene dai genitori. Questo presuppone piu’ poteri ai presidi.
Francesco
Idee giuste. L’unica sbagliata è il voler fare l’università più selettiva all’entrata, la trovo una cosa non ragionevole in un paese quale l’Italia, ma diminuirei le baronie di netto. E’ lì che colpirei come una mannaia. I professori insegnano male 3 gg alla settimana, se si deve tirare la cinghia che la tirino tutti o altrimenti saremo sempre "divisi" come dice Mameli.
Luigi DANIELE
Il Ministro Gelmini ha rispreso con enfasi il giudizio negativo espresso dalle graduatorie OCSE sullo stato delle scuole nel Sud d’Italia. Non si è però domandata come possano la scuola e gli insegnanti svolgere il proprio ruolo e conseguire risultati formativi in linea con il resto del Paese quando si trovano ad operare in un contesto sociale fortemente degradato, dove sono venuti a mancare il senso della responsabilità individuale degli alunni e delle famiglie, il rispetto per l’autorità e per le regole, il valore del merito e dell’impegno. Gran parte del Sud è ormai una società in cui solo chi si "arrangia" e riesce a "scansare la fatica" riscuote il plauso sociale, mentre l’insegnante giusto ma severo è oggetto di derisione se non addirittura di atti di aggressione. Come è possibile che un Ministro dell’Istruzione emetta (o riprenda, senza correggerli) giudizi così superficiali?
antoniogasperi
Trovo condivisibili le osservazioni "minimaliste" dei proff. Boeri e Panunzi: il fatto è – a parere di un modesto "operatore" della scuola quale sono – che la capacità (che l’Italia dovrebbe avere) di "incontrare il suo passato" è condizione necessaria ma non sufficiente per dare un futuro ai giovani. Come sappiamo il loro orizzonte culturale è planetario, perchè è questa la dimensione nella quale agiscono i media di cui essi si nutrono: allora la condizione sufficiente perchè i giovani tornino a sperare nel loro futuro è nientedimeno che la sfida globale contro i cavalieri dell’apocalisse che – spesso per meschine e inconfessabili ragioni di marketing o di potere – imperversano a livello politico e di industria culturale. Tutto il resto passa sotto la voce "esigenze di bilancio" al quale d’altronde ci aveva già abituato il precedente governo.
Marco Panzi
Si parla molto di strutture scolastiche, sistema, finanziamenti, e via dicendo. I maestri, i professori, i docenti. Dovrebbero scegliere e soprattutto essere scelti per la professione solo se hanno la vocazione e le capacità di insegnare, senza essere influenzati dall’ideologia politica. Questo è il primo punto. Dopo questo viene tutto il resto. Ho iniziato a studiare come tutti a sei anni. A scuola c’era una piccola stufa a legna, quasi sempre spenta, o perchè mancava la legna o il bidello che la accendeva (questo è l’unica carenza che non mi ha lasciato conseguenze). In seguito sono stato trasferito d’ufficio ogni anno da una scuola all’altra fino alla quinta. Alle medie i professori hanno detto ai miei genitori che non avevo voglia di studiare. Mentre ero solo rimasto indietro e non riuscivo a recuperare, senza che nessuno si rendesse conto. Questo ha influito negativamente su tutta la mia vita. Nessuno aveva capito come e perché ero rimasto indietro. Quella superficialità di valutazione ha condizionato negativamente tutta la mia vita. Se invece di insegnarmi a chiamare compagno il vicino di banco, si fossero preoccupati della situazione reale, sarei stato un’altra persona.
corrado finardi
Guardare oltre i confini nazionali può essere utile per imprimere una svolta positiva al nostro sistema scolastico. Il caso finlandese è emblematico, e anche se la analisi comparata va fatta in modo non pedissequo, può fornire spunti. In Finlandia infatti, dove abbiamo tra i primi studenti del mondo sviluppato sia in materie matematiche che letterarie, si sviluppano presto le capacità dei bambini: è stato constatato che una buona palestra di base (elementari e medie) è assai indicativa delle future possibilità degli studenti. L’insegnante non riceve gratifiche materiali cospicue, ma c’è comunque un numero elevato di domande per l’esercizio della professione di maestro, ritenuta in sè degna e di particolare pregio. Questo evidentemente non è il caso dell’Italia, dove manca un riconoscimento ed una legittimazione anche formale del ruolo degli insegnanti, che andrebbe perseguito in tutti i modi, incluso quello economico. Finchè si continuerà a considerare l’insegnante come il peggiore dei dipendenti pubblici, infatti, poco di buono sembra delinearsi all’orizzonte.
Disperato
Le indicazioni dei redattori de LaVoce sono tutte corrette e sensate. Però, a parte la desolazione nel vedere per l’ennesima volta una classe politica governante inadeguata, il problema vero e profondo della scuola è tanto semplice quanto drammatico: i suoi dipendenti. E’ un inoppugnabile dato di fatto che un’organizzazione che paga poco o nulla i suoi dipendenti non attragga altro che gli scarti del capitale umano disponibile sul mercato del lavoro. Ditemi chi nel 2008 dopo 20-30 anni di studio SCEGLIE deliberatamente la scuola come professione della vita. Rispondo io: disoccupati cronici (quindi SUD, amaramente) o donne (che "normalmente" contano per l’equilibrio familiare sullo stipendio del marito o che usano la scuola come parcheggio per le maternità). Da cui, la scuola è diventata lo sfascio visibile a tutti; assieme ad un 5% di insegnanti pasionarie (uso il femminile non esistendo praticamente più il giovane insegnate maschio, vedi motivo sopra) c’è un 95 di docenti che hanno il solo merito di aver "resistitito" al precariato più a lungo degli altri, magari truffando con false supplenze in scuole private di infima dignità. Amen.
Riccardo Lodi
Pur essendo in accordo con la vostra analisi su una doverosa politica di incentivi agli insegnanti ed ai dirigenti scolastici, (sarò nostalgico ma non comprendo perchè non si debbano più chiamare presidi), non trovo inutile il ritorno al voto in condotta piuttosto che all’educazione civica. Ci siamo lamentati dei bulli e della mancanza di ordine nelle scuole. Il voto in condotta credo sia un buon segnale; chiaramente, questo deve essere supportato dalle famiglie ed è li, purtroppo, che nascono le magagne, perchè, pur non avendo dati a disposizione, ho paura che oggi, uno scolaro sia, spesso e a prescindere, un bravo ragazzo che, se sbaglia, la colpa è degli insegnanti che non lo comprendono. In questo ambito, ben poco può fare l’attuale ministro dell’istruzione. Se poi si sarà in grado, non credo, di rendere concrete proposte quali quelle di Debenedetti sul Sole 24 ore di domenica, ne avremo tutti da guadagnarci, ma prima dovremo diventare un Paese liberale che non siamo.
Paolo Rossi
A Rimini esiste una scuola privata che ogni anno è presa d’assedio per la formazione delle nuove classi in quanto l’insoddisfazione verso la pubblica istruzione spinge una considerevole fascia di popolazione alla ricerca di soluzioni alternative, anche se a caro prezzo. Agli ultimi esami della terza media, la Presidentessa della commissione d’esame (una Preside di una scuola media statale) si è dichiarata commossa ed impressionata sia per i risultati raggiunti in media dagli allievi che per il clima che ha respirato nella scuola "nonostante il permanente pregiudizio che si respira nelle scuole statali verso le private". Questi piccoli fatti credo dimostrino a sufficienza che anche nella scuola occorre introdurre una reale competizione, senza peraltro discriminare gli allievi per il reddito delle famiglie. Credo pertanto che il sistema dei voucher vada assolutamente attivato e bene farebbe questo governo a introdurlo tra le riforme prioritarie, più che certi aspetti "cosmetici" come i voti.
enzo pietra
Era il 1970, anno della mia modesta laurea in lettere e terzo anno di insegnamento (allora si davano cattedre agli universitari) e già si parlava di verificare ogni due anni la preparazione del docente, non avendo molta fiducia negli italici concorsi; si dà il caso che non sono mai andato al di là della spontanea collaborazione di qualche raro preside illuminato che ti insegnava ad insegnare; poi nulla; e si che di somari sulla cattedra ne ho visti e subiti; al contrario ho visto docenti passare al ruolo dirigenziale in virtù di raccomandazioni politiche, cosa che credo si stia facendo ancora oggi.
Marino
Galli della Loggia ha scritto: Non può esistere una scuola pubblica mondial-onusiana, una scuola italiana che parli in inglese o esperanto. A me questo linguaggio mette paura, quando scriveranno che"la scuola italiana deve riflettere i valori profondi della nazione, della stirpe e della razza" e altre cosette da adunate di Norimberga? Ci si sono messi per trent’anni a demolire l’unica identità nazionale decente che l’Italia abbia avuto, quella della Resistenza e della Costituzione (la "morte della patria", la "Costituzione sovietica"…) e a deridere la cultura (vi ricordate le Iene e i deputati che non sapevano le date della rivoluzione francese e che dicevano che Mandela era sudamericano?) e adesso si lamentano pure. Oltre alle solite raccomandazioni (stipendi dei docenti, edifici…), andrebbe aggiunto che finchè la scuola non ritroverà un ruolo di canale di mobilità sociale e l’economia non offrirà occasioni di lavoro qualificato che richiedono una formazione elevata, tutti i rimedi saranno pezze calde e cerotti per chi ha il cancro. Come faceva notare ieri Prosperi, la scuola sbocca sul nulla, non su un mercato del lavoro dinamico, e gli studenti lo percepiscono.
augusto vegezzi
Condivido le critiche e i suggerimenti dell’articolo, segnalando tuttavia la mancanza di un progetto coinvolgente. Tutte le tecniche e le ricompense, peraltro necessario, non funzioneranno senza uno scopo capace di appassionare, un’iniziativa di rinnovamento, un’apertura alla responsabilità che infiammino studenti, professori e genitori, da individuare e articolare attraverso un lavoro comune e corale, di ciascuno e di tutti. Come si fece in molte scuole nel ’68.
Andrea Colombo
L’articolo dei Proff. Boeri e Panunzi è condivisibile. Credo pure che la scuola debba affrontare un processo di revisione dei programmi delle materie. Esempio: è possibile che dalla prima elementare alla quinta superiore i programmi si ripetano in modo da non lasciare lo spazio necessario ai fatti riguardanti gli ultimi 30 anni della storia italiana, europea e mondiale? Ritengo che il deficit culturale degli studenti abbia radici anche nell’incapacità di alcuni insegnamenti impartiti durante il ciclo scolastico di trattare fatti e tematiche moderne senza le quali è quasi impossibile impostare qualsiasi discorso serio e "impegnato". Chiudo sperando di non annoiare e azzardo anche un po’, inseguendo un’idea Seniana della Globalizzazione: perché non sostituire l’ora di religione (molto spesso improvvisata, inutile e vuota, almeno per quanto riguarda la mia recente esperienza) con una più interattiva incentrata sulla conoscenza delle culture e delle religioni (accanto ad una di ed. civica)? Aiuterebbe la necessaria integrazione in questo paese, la conoscenza reciproca e ad evitare certi spiacevoli episodi.
Ugo Gragnolati
1. Per operare una selezione meritoria degli insegnanti occorre poterli valutare. Come? 2. Non troverei erroneo discutere della validità dei programmi, sia delle singole materie, che dei vari percorsi di studio (chiaramente mi riferisco in particolare alla scuola superiore). 3. Le infrastrutture sono importantissime, ma non sono la nostra priorità ora. Propongo un’idea solo per il primo di questi tre punti, giacchè per affrontare il secondo punto occorrerebbe trovarsi attorno ad un tavolo e discuterne, mentre per il terzo punto si tratterebbe fi compiere importanti investimenti. Come selezionare gli insegnanti, dunque? Credo che un esame centralizzato permetterebbe di utilizzare il differenziale di miglioramento degli studenti (rispetto ad un test iniziale anch’esso centralizzato) permetterebbe di valutare quanto gli insegnanti "hanno insegnato", a prescindere dalle condizioni iniziali di partenza delle diverse classi. Inoltre, l’esame centralizzato darebbe anche grandi benefici rispetto all’uniformazione/normalizzazione dei risultati sul territorio nazionale.
lucio
Galli della Loggia ha il merito di aver sollevato il problema ma è troppo vago e generico sulle proposte per far uscire la scuola dalla crisi profonda. Le proposte dei Ministri Tremonti e Gelmini sono scarsamente efficaci. Concordo in tutto e per tutto con le proposte di Boeri e Pannunzi: concorsi seri, no ai precari, test periodici per tutti gli insegnanti, potere di assumere con contratti pluriennali ai presidi, informazione alle famiglie sul livello dei risultati conseguiti dagli studenti, incentivi pesanti ai bravi professori, riduzione del numero dei docenti anche universitari per realizzare i risparmi da utilizzare nell’ammodernamente degli edifici scolastici e nell’erogazione degli incentivi ai docenti e ai dirigenti scolastici che ottengono buoni risultati.
Luca
Secondo me il problema è ciò che si chiede alla scuola. Chi ha scritto e chi ha commentato questa notizia chiede alla scuola di ‘formare’. L’impresa chiede alla scuola qualcosa di molto più semplice, di ‘formattare’ le teste dei giovani affinché le aziende in pochi mesi di tirocinio possano riversarci quella manciata di procedure che il lavoratore è tenuto a sapere e a seguire scrupolosamente. La famiglia chiede alla scuola di dare un lavoro al proprio figlio e quindi di assecondare le esigenze dell’azienda. Nella società italiana dell’arrangiarsi non c’è stretta correlazione tra i risultati a scuola e nella vita. Perché una famiglia dovrebbe logorarsi il fegato (come se mancassero i problemi quotidiani) per far sì che il figlio si impegni a scuola. Tanto un lavoro lo troverà comunque, come hanno fatto i genitori. Ho letto che ci sono laureati che nel curriculum non lo riportano perché ciò, invece che favorirli, li penalizza. E allora la scuola non è che la cartina al tornasole di un problema ben più grave. Mi scuso se sono sembrato troppo ottimista.
paolo piras
Non credo che i motivi della crisi della scuola Italiana siano tutti o quantomeno in gran parte da addebitare ai governi e ai ministri di qualsiasi colore, essi siano stati negli ultimi 50 anni. Perché se cosi fosse dovremmo concludere che siamo in presenza di una ibecillità collettiva. Ne credo che la soluzione si debba trovare coinvolgendo genitori, professori, presidi, provveditori, direttori del ministero. La responsabilità e della demagogia di voler sostenere che il diritto allo studio deve essere garantito a tutti e sopratutto a quelli che non avendo voglia di studiare vengono mantenuti con costi insoportabili sia da parte delle famiglie e conseguentemente dello dello Stato. Insegnare a leggere e a scrivere è l’obbligo fondante di una nazione civile,ma pretendere che bisogna far stuiare chi non abbia un minimo di talento e una violenza morale nei confronti di chi non ha le doti intellettive per farlo. Ai miei tempi si diceva meglio un asino vivo che un dottore morto.Questo significa che chi non ha capacità deve fare un altro mestiere se è vero come vero che ai temi dei concorsi i laurati che vi partecipano non conoscono la grammatica. La soluzione è una. va premiato il merito.
Danilo Manieri
E’ deprimente pensare che un ministro possa pensare di portare cambiamenti sostanziali al sistema scolastico, riportando indietro di trent’anni consuetudini la cui eliminazione non ha influito alcunchè. Non si capisce quali benefici rilevanti ovrebbero comportare ora l loro ripristino. Mi risulta che questo ministero detenga il record nel numero dei ministri che si sono avvicendati. Forse è proprio da lì che si deve cominciare. Ovvero, fin tanto che a capo del ministero vedremo personaggi che non dispongono delle giuste competenze, non potremo pensare che si sia finalmente giunti ad una seria intenzione di cambiare sostanzialmente le cose.
giuseppe
Innanzitutto volevo ringraziare Tito Boeri e Fausto Pannunzi per il loro intevento. Infatti, dopo aver letto l’editoriale di Galli della Loggia, per non parlare dei ministri Tremonti e Gelmini, ero entrato in depressione per la banalità e la superficialità con cui è stato affrontato il problema dell’istruzione in Italia, nelle pagine di un grande ( acora per quanto? ) giornale. A mio avviso Boeri e Pannunzio hanno centrato il problema quando parlano di edilizia scolastica, da lì bisogna partire: "molte scuole pubbliche sono ancora in edifici vecchi, spesso inadatti a ospitare le attività scolastiche". Il problema riguarda soprattutto le scuole superiori, infatti, al contrario delle elementari e medie la cui competenza è dei comuni, la manutenzione degli edifici spetta alle province, le quali non hanno i fondi a sufficienza, e soprattutto non riescono a coordinare i vari comuni. Un proposta concreta potrebbe essere quella di affidare la costruzione degli edifici e la manutenzione delle scuole primarie e secondarie ai Comuni e lasciare le Università alle province. Certo non sarà una proposta rivoluzionaria come quella del grembiule.
Lorenzo
Gentili Professori, mi permetto di dissentire su alcuni punti della vostra analisi, della quale apprezzo comunque l’approccio. Mi pare che abbiate una fiducia eccessiva nell’evoluzione dei metodi pedagogici, laddove non credo esistano studi seri che mettano in rapporto il progresso culturale con l’abbandono di grafiche spartante, l’utilizzo di supporti informatici e simili. L’esperienza sembra anzi dimostrare il contrario. L’innovazione didattica che avanza a passi da gigante è più che altro un mito contemporaneo. L’uso del grembiule, per quanto questa considerazione possa apparire deamicisiana, non può che avere un’influenza positiva su bambini che sono vittime sempre più precoci della pubblicità e della moda: ciò vale soprattutto nelle scuole elementari e medie, dove convivono ragazzi provenienti dalle più diverse situazioni sociali. Che l’Italiano guadagni spazio accanto alle altre"i" è fondamentale, come sa chiunque abbia a che fare con studenti di ogni grado. La competizione tra pubblico e privato, infine, avrebbe probabilmente l’effetto di abbassare il livello del pubblico a quello del privato, spessissimo scelto per ben altro che per la qualità dell’istruzione.
Gian Maria Bernareggi
Del tutto condivisibile la "pars construens" dell’articolo ! Peraltro, di selezione, formazione e incentivazione dei docenti, valutazione dei risultati ecc., ho la netta sensazione di avere sentito parlare a volte anche dalla stessa Gelmini. Quanto alla "pars destruens", non sottovaluterei come "irrilevanti" faccende come la scala "cardinale " dei voti ( ovviamente come alternativa ai "giudizi" discorsivi e non ad una scala "ordinale"). Spesso è proprio modificando "piccoli" particolari concreti che si possono convogliare con efficacia messaggi importanti. Preso poi atto che la società italiana è innegabilmente cambiata negli ultimi 40 anni, mi lascia perplesso apprendere che, quindi, è "passatista" valutare la condotta degli studenti o insegnare loro l’educazione civica nonchè la storia e la letteratura italiana. Sono cambiate anche le strategie degli editori; e qui non mi pare proprio che cercare di impedire certi comportamenti truffaldini (come nel rapportoSanità/industria farmaceutica) pregiudichi l’efficacia della didattica – a giudicare dal numero, mole e veste editoriale dei loro libri, gli studenti italiani dovrebbero essere i primi nelle classifiche PISA…
Anna 58
La mia esperienza di insegnante del Sud, mi dice che, più di un problema di quantità di risorse da destinare alla scuola trattasi di qualità della spesa di quelle stanziate. Infatti molte risorse vengono sprecate in "progetti" che nonostante il nome altisonante non servono, nella maggor parte dei casi, a nulla se non ai dirgenti, a pochi docenti, loro accoliti, e a creare clientela. Il tempo e le risorse sprecati in essi potrebbero essere utilzzati nell’approfondimento delle materie di base, quali l’italano, la matematica etc. Purtoppo l’apprendimento, la qualità della didattica non sono certo fra le priorità dei dirigenti!
Luigi Proia
L’articolo di Tito Boeri e Fausto Panunzi si può condividere in molti punti. A mio avviso è carente quando vuole aumentare le responsabilità ai Dirigenti Scolastici. Per esempio nell’assunzione degli insegnanti. Vorrei far osservare che è già stato fatto un gran danno alla scuola immettendo in ruolo dirigenti con pochi anni di insegnamento pregressi. Per mia esperienza posso assicurarvi che i migliori Presidi che ho avuto avevano intorno ai sessanta anni. Attualmente vengono immessi in ruolo come dirigenti, cattivi professori forniti di buone raccomandazioni e di esperienza sindacale ma l’unica cosa che difendono è il loro potere di dirigenti e i loro emolumenti. Molti dirigenti poi provengono da scuole private (preti e quant’altro) e questo significa che le loro famiglie non avevano fiducia nella scuola pubblica. Concludo affermando che le Vs proposte riguardo l’aumento delle responsabilita ai dirigenti saranno (perché prima o poi questo sarà fatto) le ultime "picconate" date alla scuola pubblica per chiuderla definitivamente. Con buona pace di tutti quelli che si dichiarano progressisti in questo paese.
aldo rivalta
Se i dati sono quelli pubblicati su Repubblica in questo articolo direi che c’è veramente poco da discutere!
Mariacristina
Una delle tante strade possibili per reintrodurre una sana selezione tra gli studenti potrebbe essere l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Personalmente sono contro il numero chiuso e ritengo sia giusto dare a tutti l’opportunità di crescere culturalmente e come cittadini, offrendo a tutti la possibilità di accedere a tutte le scuole di ogni ordine e grado. Ma se il titolo di studio conseguito alla fine del percorso non avesse più valore legale e per trovare un lavoro fosse necessario essere davvero competenti e preparati (si spera non soltanto raccomandati!!) e non fosse indispensabile possedere semplicemente un "pezzo di carta", allora frequentare la scuola sarebbe veramente una scelta fatta da chi vuole realmente imparare. Studenti motivati rappresentano uno stimolo anche per i docenti, che a loro volta dovrebbero essere adeguatamente preparati a raccogliere le sfide che spesso già oggi gli studenti lanciano loro. So bene che in questo discorso, puramente teorico, mancano tutte le questioni finanziarie ad esso legate (retribuzioni dei docenti, strutture e costi di funzionamento vari), che meritano un discorso a parte.
mario
So di attirarmi le ire e gli improperi della maggior parte del personale insegnante ma avanzo un mio pensiero che comunque, quando ne parlo amichevolmente con amici o conoscenti insegnanti , viene sonoramente bocciato e qualche volta criticato in termini non proprio educativi. Sono propenso a qualsiasi miglioramento stipendiale degli insegnanti, di ogni ordine e grado purchè siano trattati alla stessa stregua degli altri dipendenti pubblici e non per quanto riguarda orario di lavoro e rilevazione delle presenze, per tutto l’anno. Non nascondo le difficoltà di una tale rivoluzione ma nell’ambito di quanto da tutti auspicato per la scuola italiana io inserirei anche questo.
francesco piccione
Le proposte del ministro Gelmini testimoniano un’unica cosa: che l’avvocato Gelmini di scuola non sa niente. Non è grave fare l’avvocato (lo faccio anch’io), è grave invece non avere la minima idea di come gestire un ministero, soprattutto quando se ne è il ministro. Una piccola nota: è previsto un taglio del personale di centomila unità. lo stesso numero di coloro che alla viglia delle elezioni del 2006 vennero immessi in ruolo! Stiano tranquilli i lavoratori della scuola prima delle prossime elezioni ci saranno nuove (temporanee) assunzioni. Ciò detto, sconcerta la modestia delle proposte e l’assenza di una visione di insieme della scuola e della società. E’ dall’epoca della riforma dei cicli dei ministri Berlinguer – De Mauro che manca un vero progetto di trasformazione della scuola. da alloro solo progetti disorganici, privi di ogni e qualsiasi elemento di novità. Così è stato per la controriforma della Moratti e così per le inconsistenti proposte dell’avvocato-ministro Gelmini.
Carmelo Vella
Condivido completamente le osservazioni sul capitale fisico e sul capitale umano. Il nodo è solo quello, tutto il resto è pubblicità a buon mercato. Per il mio lavoro (sono dirigente tecnico del MPI, una volta si chiamavano ispettori), sono particolarmente sensibile al tema del capitale umano: la qualità dei docenti è centrale; ma intervenire sulla loro preparazione e sul loro reclutamento è costoso, faticoso e, probabilmente, elettoralmente poco produttivo. Ma non si vive di sola tattica, bisogna vere una strategia, se si governa per il bene comune. La qualità della scuola è direttamente proporzionale a quella dei docenti e dei dirigenti: finché a scuola si entra per anzianità non si faranno passi avanti.
Giuseppe
La Ministra Gelmini continua a ripetere che il 97% del bilancio del Ministero dell’Istruzione va alle spese del personale. Il dato preso a sè non vuol dire nulla. Il trucco è sempre lo stesso utilizzare dei numeri "assoluti" e omettere quelli "relativi". E’ ovvio che gran parte dei fondi vadano al personale, per il semplice motivo che le altre voci non appartengono al Ministero dell’Istruzione: l’edificazione e la manutenzione spetta agli enti locali, il bonus libri alle regioni, e così via. Immaginate la Fiat che dal suo bilancio estrapoli solo la voce personale, sarebbe assolutamente surreale da commentare. Eppure ci cascano tutti, giornalisti, studiosi e purtroppo lettori del vostro portale. Il punto è come viene distribuita la spesa del personale tra gli uffici centrali e quelli periferici, tra personale ata e personale docente. Potete scommetterci che licenziando 100 mila dipendenti, nel bilancio del ministero la voce "personale" sarà sempre del 97% o giù di lì. Quel ministero non ha altri compiti.
angelo agostini
Vorrei commentare un aspetto particolare menzionato nel saggio: i libri di testo. A parte la questione del caro-libri e dei finti aggiornamenti per stroncare il mercato dell’usato, va affrontata la questione della qualità dei testi, sotto almeno 2 punti di vista: 1. La qualità dei contenuti – Forse proprio per il moltiplicarsi di editori, edizioni successive, autori improvvisati etc., a sfogliare i libri dei nostri figli c’è di che inorridire. Si tratta di veri e propri strafalcioni, bestialità, dati o informazioni grossolanamente errate e/o presentate in un italiano stento, per non parlare dei tagli discutibilissimi dati agli argomenti trattati, o addirittura alla scelta degli stessi. Un esempio: libro di storia di 5a elementare adottato a Bologna, interi capitoli dedicati all’alto medioevo in quella che oggi è la Polonia (sic)! mentre uno dei problemi maggiori della scuola italiana è lo sfoltimento di programmi troppo vasti; 2. La forma con cui i contenuti vengono presentati – Terribile: è tutto un fiorire di riquadri colorati con riassunti striminziti. L’unico risultato che si ottiene è uno studente superficiale.
angelo agostini
Riguardo al 97% delle risorse spese in salari, direi che si dovrebbe da una parte, individuare gli insegnanti capaci e meritevoli ed elevarne la retribuzione di almeno il 30%, ma facendoli lavorare per 40 ore settimanali con 1 mese di ferie, come tutti i dipendenti pubblici e privati. Ci sarebbe tutto il monte ore necessario a dedicare, diciamo, 30 ore settimanali alle lezioni, ed il resto alle attività di aggiornamento, preparazione programmi e lezioni, correzioni e valutazioni, riunioni etc.. Il monte ore di 5 insegnanti verrebbe espletato da 3, che costerebbero come 4 consentendo enormi risparmi da investire in edilizia scolastica, attrezzature informatiche, laboratori linguistici etc..
angelo agostini
Si parla tanto di docimologia. Un aspetto importantissimo della valutazione è la sua relatività, cioè la necessità di confrontare un risultato ottenuto con altri ottenuti in situazioni paragonabili. In concreto: un certo voto può sembrare altissimo in assoluto, ma se compare all’interno di valutazioni altrettanto alte perde, almeno statisticamente, la sua eccezionalità. Ergo, per capire se mio figlio è stato davvero bravo o somaro, devo conoscere come sono stati valutati i suoi compagni. Mentre in Inghilterra i voti sono consultabili su Internet, in Italia sono riservati. Non si affiggono più i quadri di fine anno, e non ho modo di sapere se la valutazione di mio figlio, che di per sè può sembrarmi alta o bassa, si trova nella media dei suoi coetanei, oppure sopra o sotto di essa. Si parla di svecchiare i programmi. In Inghilterra è stato ufficialmente abbandonato l’uso del corsivo. Da noi si continuano ad insegnare i riccioli.
Sagliano Salvatore Antonio
Gentili autori, io sono profondamente convinto che il problema della scuola italiana risieda nella scarsa educazione e in uno sbagliato approcio, oltre che in una concezione della scuola sbagliata, e aggiungerei moderna. Sì, si possono migliorare tante cose: via il problema dei vecchi edifici, nuovi laboratori linguistici, nuovi laboratori scientifici, insegnanti più preparati. Il problema fondamentale, però, è l’approcio degli alunni, e anche dei docenti. Nella mia esperienza posso ricordare un ambiente scolastico in cui c’è scarso rispetto per l’istituzione, una concezione della scuola come una fatica da ridurre il più possibile, una mentalità dove tutti devono andare avanti sempre e comunque (anche se disturbano o non permettono lo svolgimento delle lezioni), e così via. Sono d’accordo con chi dice che quest’ultimo aspetto sia una vera violenza morale. E sono d’accordo con l’introduzione delle divise e del 7 in condotta: ristabilire un po’ di senso di appartenenza e valorizzazione della scuola e un ambiente più costruttivo e meno buonistico mi sembrano ottime mosse. Potrei argomentare molto meglio, ma lo spazio a mia disposizione noto sia terminato.
fabrizio
Se un preside deve fare comunque delle classi di primo liceo di 30 studenti, come distinguerò un bravo dirigente scolastico da uno meno bravo? Dai corsi sperimentali? Dal mio punto di vista di padre ci sono nella scuola tre priorità: a) ridefinizione dei programmmi (troppo ripetitivi ma a volte anche troppo ampi e dispersivi); b) abbassamento del rapporto alunni/docenti; c) aggiornamento e valutazione della classe insegnante. I dati OCSE utilizziamoli anche per vedere come funziona la scuola dove i livelli di apprendimento sono migliori dei nostri.
alessandro Pazzaglia
Sono d’accordo sulla necessità di spostare l’attenzione sulla qualità. Bisogna però essere concreti. Per operare per l’assunzione di bravi e capaci docenti bisogna avere un piano di assunzione, corrispondente ad un’idea molto qualificata della scuola. Senza un investimento per le assunzioni viene meno la condizione per immettere nel sistema dei bravi e capaci docenti. Senza girare troppo intorno alla questione bisogna convenire che questa operazione costa e bisogna dire che questi costi sono necessari. Sempre per essere concreti bisogna anche dire cosa fare della moltitudine dei precari che oggi insegnano non su posti inventati ma su posti reali che non sono coperti dagli insegnanti di ruolo. Questi insegnanti, quasi tutti, hanno fatto superato quello che lo stato, questo stato, ha predisposto perchè dimostrassaero di essere bravi e capaci. Dal momento che non possono essere spostati all’Alitalia e alle Poste, perchè anche nei loro confronti non pensare a percorsi di formazione seri che li possano far diventare ancora più bravi nella prospettiva di una loro stabilizzazione nel sistema della scuola. Ma anche qui ci vogliono investimenti.
marco
Dire il 97% del budget del Ministero è destinata agli stipendi non ci dice molto. Bisognerebbe capire quanto si spende per ogni alunno per i compensi agli insegnati e magari confrontare questi dati con quelli europei. Forse "lavoce" potrebbe darci un’aiuto.
Andrea Guaraldo
Ci risiamo. Si ritorna alla vecchia questione della valutazione degli insegnanti, già cavallo di battaglia di altri ministri della Pubblica Istruzione come Luigi Berlinguer, che pensò bene di differenziare lo stipendio dei docenti grazie al progetto del famigerato "concorsone", in seguito ritirato dal suo stesso proponente. Temo che le sortite della Gelmini ripeteranno gli stessi errori del ministro Pds: non chiarire quali saranno le garanzie di imparzialità e trasparenza, su chi e come dovrà realmente giudicare il lavoro dei docenti. Come si lascia intendere, anche questa volta saranno chiamati all’arduo compito i dirigenti scolastici (ex "presidi"), i quali, grazie a questo nuovo e discrezionale potere, potranno mettere a tacere le voci scomode e critiche che, nello stesso corpo insegnante, fanno loro sovente da argine. Meglio sarebbe se l’eventuale valutazione fosse affidata ad organismi indipendenti, ad istituti e soggetti esterni, purché in possesso di esperienza e conoscenza del mondo della scuola, di sensibilità e profonda cultura, che avessero poi, come termini di riferimento, anche esempi di altri paesi europei, purché strutturalmente e analiticamente conosciuti.
Stefania Sidoli
Continuo a pensare che compito primario della scuola sia quello di contribuire, attraverso l’apprendimento,alla formazione della persona ed alla sua crescita. E questo è possibile se vi è la concomitanza di più fattori: insegnanti adeguati ( le cui capacità vengano misurate in modo obiettivo e quindi da elementi esterni alla scuola, svincolati da qualsivoglia insegnamento); strutture scolastiche adeguate e quindi nuove o innovate e non chiuse al mondo esterno ( assai di radoi si sotolinea come la scuola divenga sempre più chiusa in sè quanto più l’alunno cresce ed avrebbe meggior bisogno di un raccordo col mondo fuori); programmi e libri di testo che – pur non ignorando i punti cardine del passato – permettano di conoscere l’oggi e di ragionare su quel che sarà domani;consapevolezza della sempre crescente multietnicità degli studenti e dell’importanza di far convivere le diversità attraverso un’integrazione rispettosa che non deve mai trasformarsi in assimilazione;rapporto col territorio,che è spesso causa di molte delle difficoltà della scuola a produrre esiti positivi: il Sud insegna. Non sono ottimista
Lucia
A proposito dello spreco di risorsenella scuola del sud, (commento di Anna del 27/08/2008) posso assicurare che ciò avvine anche nel centro-nord dItalia. Ormai in tutte le scuole si assiste ad una corsa sfrenata alla ricerca di finanziamenti per progetti di "alto valore educativo, con annessa corte serrata alle amministrazioni comunali, per ottenerne altri; ovviamente e puntualmente esse li concedono, anche se in varia misura, per ottenere in cambio il pass per legalizzare la propria ingerenza politica in quel dato istituto. Così, i docenti (mi si permetta di dire i più consapevolmente), ben contenti di aver ottenuto fondi e visibilità, aprono le porte della scuola alla politica. I dirigenti scolastici, poi, sono ben diversi dai vecchi presidi e assai poco interessti ai propri alunni, amano sfilare sulle passerelle, facendo bella mostra di tutti quei progetti educativi ( illustrati come la panacea di tutti i mali della scuola!), pavoneggiandosi con genitori, autorità del luogo e fra loro ( facendo naturalmente finta di crederci). Oggi si propongono progetti per tutte le attività, comprese quelle per cui un docente percepisce lo stipendio.
Antonello
Il dirigente scolastico oggi controlla tutto quanto accade in una scuola, prima di valutare i docenti occorrerebbe valutare l’operato del dirigente. un metodo brutale ma probabilmente efficace potrebbe essere quello di test nazionali o regionali sugli allievi e in base ai loro risultati premiare economicamente i docenti con allievi più bravi, i consigli di classe con allievi più bravi, i dirigenti delle scuole con allievi più preparati. In questo modo tra docenti e dirigenti si potrebbe creare una alleanza per fare bene, in quanto premiati economicamente. Quelle scuole dove per tre, quattro anno di seguito risultassero agli ultimi posti dovrebbero essere oggetto di ispezioni e di interventi correttivi, magari con corsi di formazione per i docenti e i dirigenti ed eventualmente con la loro sostituzione.
PROF.SAMPOGNARO GIUSEPPE
Innanzitutto condivido le opinioni di Lucia (data 13-9-08) per quanto riguarda la dispersione di ingenti somme per finanziare mega-progetti che nulla o molto poco hanno di "educativo", ma che servono solo per "particolari"interessi". La Scuola Italiana necessita, invece, di didattiche diverse che possono essere acquisite senza particolari corsi di aggiornamento, ma da un efficace dialogo tra Docente e Studente (vedi http://www.sampognaro.it -Sezione Scuola). Tale Dialogo si deve poi estendere ai Genitori. Fondamentale è poi il Tempo Pieno, come nelle Scuole Anglosassoni. Inoltre al Maestro Unico (nelle ore antimeridiane) si devono affiancare Docenti di Lingue, di Informatica, di Musica, di Educazione Fisica e di Recupero (nelle ore pomeridiane). La smettino i Docenti che si presentano in classe e pretendono il massimo dopo che essi stessi improvvisano gli argomenti da spiegare senza un pur minimo ripasso da parte loro nel giorno precedente.
Nespolo Ignazia
Condivido pienamente questo testo breve, che avevo già letto. In questi giorni di fine marzo 2009 nelle scuole italiane regna l’incertezza per gli organici (dei docenti e anche degli ATA) che saranno concessi per far funzionare le scuole nel prossimo anno scolastico, con danno e malumore per i docenti che vi lavorano e per le famiglie, che non sanno su quale tempo scuola potranno contare da settembre. Ma una scure ancor più tetra sta per abbattersi sulle scuole: sul disegno di legge sulla sicurezza si prevede che anche le scuole (le segreterie? i dirigenti scolastici? gli insegnanti e i bidelli?) sono tenute a denunciare gli alunni "clandestini", cioè non in regola con il permesso di soggiorno! Ecco, penso che questa sia la bestialità più grande che potesse rovesciarsi sul nostro scassatissimo sistema scolastico nazionale: significa svuotare la scuola di ogni etica, di ogni attenzione ed amore per l’infanzia e la giovinezza, per la cultura vera, che non guarda in faccia al colore della pelle e al documento d’identità. La scuola diventa luogo di delazione, di classificazione e di esclusione. Alla faccia dei Diritti Internazionali del Fanciullo sottoscritti dal nostro Governo!