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CLASSI PONTE? UN’INVENZIONE ITALIANA

Nei paesi avanzati non ci sono precedenti per la scelta di classi separate per i bambini immigrati. Ci sono invece molte esperienze di didattica speciale, volta al rafforzamento delle competenze linguistiche. Nel nostro paese la percezione di un’emergenza educativa è drammatizzata dallo smantellamento delle risorse per fronteggiarla. Il fatto stesso che alcune scuole abbiano investito di più nella didattica interculturale non di rado diventa un pretesto per convogliare solo verso queste gli alunni immigrati. Problemi di merito e metodo della proposta.

I minori di origine immigrata oggi presenti in Italia sono più di 760mila, dei quali però 450mila sono nati nel nostro paese, e in varie altre nazioni godrebbero dalla nascita della cittadinanza. Tra i minori stranieri scolarizzati, le proporzioni si invertono: circa i due terzi sono nati all’estero, anche se nel tempo le cose cambieranno per la naturale evoluzione demografica della popolazione immigrata. Il fenomeno in ogni caso è in rapida crescita e presenta marcate concentrazioni territoriali. Le regioni con le maggiori concentrazioni di istituzioni scolastiche che superano il 20 per cento di alunni “stranieri” sono Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Nel Sud solo in Sicilia si individuano alcune scuole in condizioni analoghe. La Lombardia è la regione d’Italia con il più alto numero di istituti che hanno almeno il 20 per cento di iscritti di cittadinanza non italiana, sono più di duecento. Nell’anno scolastico 2007-08, le scuole della regione con una percentuale di alunni non italiani pari o superiore al 25 per cento sono state il 9,3 per cento del totale. (1)

SOLUZIONI IN ITALIA E ALL’ESTERO

A questa rapida e visibile trasformazione delle basi demografiche e sociali della popolazione scolastica, vuole fornire una risposta la mozione sulle cosiddette classi-ponte per i bambini immigrati, proposta dalla Lega Nord, condivisa dal governo e approvata dalla Camera dei deputati. Un progetto che , a quanto sembra, incontra un vasto consenso nell’opinione pubblica nazionale. Benché non ancora chiarissima nelle sue modalità applicative, la mozione è un atto di indirizzo politico, non una proposta di legge dettagliata, l’idea è di costituire classi distinte per gli alunni che non dimostrino, a un apposito test d’ingresso, una sufficiente conoscenza della lingua italiana. Lì rimarranno finché non riescano, a una successiva verifica, a superare la prova.
Molti commentatori hanno osservato che la mozione individua un problema reale, sentito tra le famiglie italiane che hanno figli nella scuola primaria. Si stanno formando, si dice, classi in cui la numerosità dei bambini immigrati e la loro inadeguata conoscenza della nostra lingua frena l’apprendimento di tutti, provocando la fuga degli italiani. O se non possono andarsene, un evidente rancore.
I sostenitori del provvedimento, tuttavia, non si sono rifatti a nessuna esperienza straniera. Non si conoscono infatti, in epoca recente, precedenti nei paesi avanzati in cui si sia scelta la strada di classi separate per i bambini immigrati, anche se si danno molte esperienze di didattica speciale, volta al rafforzamento delle competenze linguistiche. Per esempio, in Australia o nel Regno Unito, i bambini sono inseriti nelle classi normali, ma inizialmente ricevono una formazione intensiva in lingua inglese, in gruppi separati e con insegnanti specializzati, mentre stanno in aula e lavorano con i compagni per materie come l’educazione fisica, l’educazione artistica, le attività manuali. Dopo qualche settimana, cominciano a diminuire le ore “speciali” e aumentano quelle “normali”, fino a giungere a una completa integrazione. Si tratta quindi di una soluzione diversa da quella delle classi “ponte” della mozione approvata dalla Camera, che istituisce contesti di apprendimento differenziati per gli alunni immigrati privi di adeguate competenze linguistiche.
approccio francese tiene conto della concentrazione urbana dei bambini immigrati, così come di altre componenti sociali svantaggiate, aumentando il personale educativo e le risorse a disposizione delle scuole dei cosiddetti “quartieri sensibili”. All’investimento educativo si aggiunge un’attenzione più complessiva alla riqualificazione e allo sviluppo dei quartieri difficili, con la destinazione di risorse per l’animazione economica, sociale e culturale dei territori, in cui le scuole svolgono una funzione importante.
Gli unici esempi noti di classi separate sono quelli istituiti in passato da alcuni länder tedeschi: in quei casi però l’insegnamento si teneva nella lingua del paese d’origine dei genitori, principalmente turchi, e aveva l’obiettivo di favorire il ritorno in patria. Un obiettivo che si è rivelato illusorio, producendo disadattamento e mancata integrazione, con i costi sociali conseguenti.

PROBLEMI DI MERITO E METODO

Nel caso italiano, non siamo all’anno zero. In molte scuole, anche se su basi locali e volontaristiche, sono stati sviluppati laboratori di italiano come lingua seconda, sono stati introdotti facilitatori e mediatori, sono stati distaccati insegnanti con funzioni di sostegno dell’apprendimento. Il problema è semmai che già sotto la gestione di Letizia Moratti, il ministero aveva tagliato le risorse per queste attività. Il lieve incremento successivo è rimasto ben lontano dal compensare l’aumento della popolazione scolastica di origine immigrata. (2) La percezione di un’emergenza educativa è drammatizzata dallo smantellamento delle risorse per fronteggiarla. 
Le vistose concentrazioni in certe scuole e classi, inoltre, non sono un dato per così dire “naturale”. Spesso derivano da scelte organizzative che addensano in alcuni plessi e classi gli alunni di origine straniera. Il fatto stesso che alcune scuole abbiano investito maggiormente nella didattica interculturale non di rado diventa un pretesto per convogliare verso di esse gli alunni immigrati, “sgravando” le altre. Il volontarismo e l’attivazione locale hanno come contraltare il disimpegno e la resistenza passiva di altre istituzioni scolastiche. Un impegno per l’integrazione scolastica dovrebbe cominciare con il superamento di queste segregazioni di fatto, non giustificate da ragioni di concentrazione urbana.
Vengono poi alcuni problemi di merito. Il primo, già espresso da Giovanna Zincone su La Stampa, riguarda i destinatari della proposta del test di ingresso: tutti gli alunni di nazionalità straniera, oppure solo quelli nati all’estero? E in questo secondo caso, tutti, compresi quelli giunti nei primissimi anni di vita, o solo a partire da una certa età? Che dire poi dei bambini adottati all’estero? E dei figli di emigranti italiani di ritorno? E dei figli di stranieri provenienti da paesi sviluppati? E dei figli di coppie miste? La proposta appare essenzialmente una dichiarazione di intenti che vuole marcare un confine, senza preoccuparsi di introdurre specificazioni.
Un altro problema riguarda le modalità di uscita dalle classi-ponte: che ne sarà degli alunni che non riusciranno a raggiungere il livello di competenza linguistica richiesto? Resteranno nelle classi-ponte? Fino a quando? Non si rischia di reintrodurre surrettiziamente le classi differenziali abolite ormai da tanti anni, perché ghettizzanti?
C’è infine una questione relativa ai luoghi e alle modalità dell’apprendimento linguistico. La lingua si impara in classe, ma anche negli intervalli, in cortile e in mensa, giocando, chiacchierando, passando del tempo insieme. E poi invitando ed essendo invitati a casa dei compagni nel tempo libero. L’apprendimento in contesti informali non è meno importante di quello formale. E in più produce integrazione reciproca. Si può sostenere che le classi ponte non vietano di entrare in rapporto con i bambini italiani, ma resta certo che non producono un ambiente favorevole agli scambi quotidiani e all’instaurazione di rapporti di amicizia.
Non è forse un caso che nessun esperto noto di scuola e di pedagogia interculturale si sia espresso a favore del provvedimento. D’altronde, immaginare che la forza politica che ha presentato la mozione, con il suo curriculum, abbia davvero a cuore l’integrazione dei minori immigrati, appare vagamente surreale. Ma se pensiamo che gli obiettivi siano altri, anzitutto di raccolta del consenso, allora si comprendono meglio le ragioni della proposta e del suo successo.

(1)I dati sono Usr Lombardia-Miur. Si veda M. Santerini, School mix e distribuzione degli alunni immigrati nelle scuole italiane, in pubblicazione su “Mondi migranti”.
(2) Un conteggio non recentissimo effettuato in Lombardia dava un rapporto di un insegnante all’incirca ogni 400 alunni di origine immigrata. Oggi la situazione è molto probabilmente peggiore, in termini di rapporto insegnanti dedicati/alunni immigrati.

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TRE PROPOSTE PER L’UNIVERSITA’

27 commenti

  1. Laura Proietti

    In Germania sono state costituite da molto tempo le cd. "classi di inserimento" ossia una classe di un anno per i bambini che non conoscono la lingua tedesca, dopo la quale, vengono inseriti nella classe adeguata all’età dei bambini; altrettanto ho letto sull’espresso o su repubblica, non sono sicura della fonte, viene fatto nella scuola araba di Milano, dove i bambini che non parlano italiano, vengono inizialmente inseriti, per sei mesi, in una classe, c.d. appunto "d’inserimento" per apprendere le basi della lingua italiana, e poi nella classe relativa all’età dei bimbi, ciò in una scuola in cui l’italiano è lingua madre, ma viene altresì insegnato l’arabo per non far peredere le loro radici ai bambini. Francamente il fatto di dare un pò più di tempo e attenzione specifica e di diversa qualità, ai bambini che non parlano l’italiano, mi sembra una cosa a vantaggio di tutti; una volta appresa una base lingustica più vicina a quella dei coetanei italiani sarà più semplice per tutti l’integrazione e il veloce recupero delle nozioni di base della scuola elementare. La polemica mi sembra fuori luogo.

  2. ALFREDO FERRARI

    L’intervento fatto è solo condivisibile in alcuni punti. Se non si fanno test di inserimento non è possibile neanche sapere in quale classe e / o scuola è possibile integrare e costruire una didattica qualitaiva per gli immigrati. Inoltre i costi sociali sono elevatissimi per i docenti dedicati a questa materia e non è possibile continuare con questo trend. I genitori stessi non vedono di buon occhio l’integrazione che deve passare anchedalla istruzione ma non bisogna confondere l’integrazione sociale con lo studio e l’istruzione: la socializzazione deve avvenire al di fuori dell’ambito scolastico ma nella vita di tutti i giorni. L’interculturalità fatta finora è un fallimento culturale e va riformato senza pregiudizi ideologici. La protesta nelle scuole non ha senso fatta in questo modo: gli studenti devono pensare a studiare e i docenti devono innalzare la qualità dei loro insegnamenti. Il paragrafo dei finanziamenti è strutturale: non è possibile spendere il 97% del budget del ministero della istruzione per gli stipendi e ad esempio non essere nemmeno nei primi 150 posti al mondo della classifica delle università: uno scandalo all’italiana.

  3. virginia

    Bravo Ambrosini. Nelle classi dell’asilo e dell’elementari dei miei figli sono spesso arrivati bambini dall’estero anche a metà anno scolastico. In assenza di supporti scolastici formali (non ho mai visto insegnanti "dedicati" o mediatori culturali) le ovvie difficoltà linguistiche dei bambini trasferiti sono state superate, in pochi mesi senza gravi contraccolpi sull’apprendimento dei "nativi" grazie ai rapporti con i compagni di classe e ai piccoli "facilitatori" costituiti dagli altri bambini della stessa madrelingua. Sicuramente le difficoltà aumentano all’aumentare dei nuovi inserimenti e dell’età dei neoinseriti (medie inferiori e superiori dove però manca il tempo pieno) ma è un problema di risorse – se ci fossero + ore di tempo scuola e + insegnanti sarebbe a vantaggio di tutti – e di incapacità di immedesimazione. Molti Italiani benestanti pagano per frequentare costose scuole straniere o fanno domanda per trascorrere un anno delle superiori all’estero con Intercultura e si indignerebbero se venissero ghettizzati per la lingua. Preferisco una scuola pubblica aperta con le risorse che alunni, genitori e insegnanti si meriterebbero.

  4. Filippo Mazzariol

    Se non erro, dal 2010 la competenza in materia di formazione e di politica scolastica, in base alle norme che tendono ad introdurre dei principi federali nel nostro ordinamento, dovrebbe passare alle singole regioni. Non vedo quindi il senso di una mozione di questo tipo da parte del governo nazionale, visto che tra un paio d’anni vi potranno essere 20 approcci differenti al problema, pur nella cornice di una legge quadro nazionale (si spera). Trovo inoltre sconcertante che a nessuno sia venuto in mente di andare a vedere che cosa hanno fatto altre nazioni europee, che affrontano il problema dell’integrazione da almeno due generazioni. Eviteremmo almeno gli errori che altri hanno fatto e potremmo applicare invece qualche buona prassi. E se prendessimo spunto, inoltre, dai sistemi adottati anche nel nostro paese per le aree popolate da minoranze linguistiche come quelle di lingua tedesca in Alto Adige/Sudtirol o slovene in Friuli Venezia Giulia? Io ho due bimbi bilingui e con doppia cittadinanza italiana-tedesca: giuridicamente sono sia cittadini italiani che "stranieri" di un altro paese UE. Cosa faccio, li taglio in due come nella famosa vicenda di "Re Salomone e le due madri"?

  5. luigi zoppoli

    Spiace leggeri commenti che sostengono che l’integrazione si fa nella vita di tutti i giorni e non a scuola. E’ esattamente il contrario. E con la scusa di ragionare senza pregiudizi ideologici, si cerca di giustificare e far passare di tutto. Classi ponte in Germania NON ce ne sono. Detto questo la questione ha il suo fondamento reale nella volontà discriminatoria dei proponenti e nei tagli che sono stati e saranno fatti. Il resto sono chiacchiere ipocrite. luigi zoppoli

  6. Alessio Zini

    Concordo pienamente e aggiungo. I bambini stranieri devono stare nelle classi "normali" e devono essere distribuiti equamente tra tutte le classi. Di pomeriggio o in appositi orari devono fare dei corsi intensivi aggiuntivi di italiano. Stop. Tutto il resto sono cavolate. I bambini apprendono molto velocmente e una lingua si impara prima di tutto socializzando con chi parla quella lingua. Socializzando alla mattina ed essere seguiti per qualche mese di pomeriggio, nel doposcuola, o in alcuni orari scolastici, permette di raggiungere tre obiettivi in un colpo: 1) socializzazione 2) apprendimento italiano 3) integrazione.

  7. Gemma Menigatti

    La polemica si è infuocata, perché si è data più risonanza alle valutazioni di "partito" piuttosto che a quelle degli esperti di didattica interculturale. Secondo me, l’apprendimento è influenzato positivamente dalla sfera "emotiva" dell’individuo. Quindi la separazione lo rallenta, perché nell’intenzione di velocizzare l’inserimento l’insegnamento della nostra lingua sarà prevalentemente nozionistico e non verrà dato tempo e risorse per svolgere quelle attività formative, quali l’educazione fisica, musicale, tecnico-pratica, tramite le quali il ragazzo apprenderebbe più velocemente la lingua italiana, stando a contatto con i suoi coetanei.

  8. Francesco Reali

    L’articolo mi trova d’accordo. Sulle comparazioni con l’estero mi fido fino a prova contraria. Alcune cose sui commenti che ho letto: Laura Proietti dice che "dare più di tempo e attenzione specifica ai bambini che non parlano l’italiano, mi sembra una cosa a vantaggio di tutti", e per me questa è la scelta di buon senso: più ore di insegnamento specifico a chi ne ha bisogno, ma senza formare una classe separata, solo alcune ore e più occasioni possibili per imparare l’italiano in modo informale coi compagni italiani (questo già si fa in alcune scuole, a volte al pomeriggio grazie a volontari). Ad Alfredo Ferrari faccio notare che il 97% speso dal ministero per gli stipendi non è il dato migliore per la sua valutazione: l’intero bilancio dell’istruzione (Stato, regioni, etc.) va in stipendi per l’80,7%, più o meno in media coi paesi OCSE (80,1%), come la Francia (80,7%) e meno della Germania (85,1%).

  9. Erik Andersen

    In tutti i paesi europei, le classi di inserimento sono attività pomeridiane obbligatorie per i bambini (e spesso consigliate anche ai loro genitori) In Germania c’è più libertà nel senso che è la scuola a decidere quando e come fare queste classi ma la stragrande maggioranza delle scuola opta per le attività pomeridiane. Ciò accade principalmente perchè: 1) si danno più soldi all’istruzione per cui si può pagare un maestro anche per ore pomeridiane 2) La scuola, a differenza di questo paese, è vissuta. Cioè anche quando non si fa lezione si resta lì dove ci sono aule adibite allo studio, attività sportive extrascolastiche e altri corsi a discrezione della scuola stessa. 3) C’è l’idea diffusa che il contatto tra bambini del luogo e stranieri aiuta ad imparare la lingua più velocemente ed io personalmente sono d’accordo avendolo vissuto sulla mia pelle. (Sono Ricercatore in campo delle biotecnologie farmaceutiche, ho vissuto in Italia da piccolo ed ho imparato l’italiano stando a contatto con gli altri bambini delle elementari in circa 3 mesi….non credo di essere un genio io).

  10. A.M.

    Nutro anch’io non pochi dubbi su questo provvedimento. Vi sono indubbiamente molti e non trascurabili pro ed altrettanti e seri contro. Ma il problema principale dipende da come l’iniziativa sarà percepita dagli stranieri che dovrebbero esserne i beneficiari: un aiuto o una discriminazione? Infine, debbo con amarezza notare che alcune autorevoli voci che si scandalizzano per ciò che considerano una vergognosa forma di apartheid hanno ignorato la situazione scolastica consolidatasi da decenni in Alto Adige.

  11. Salvatore

    Ma insomma, basta Citare il famoso 97% del budget ministeriale è riuscire a mentire con un numero vero (e ci vuole impegno) Infatti: è il budget ministeriale, ma non quello della scuola. Se si considera che l’edilizia, la manutenzione, le mense, le attrezzature sono suddivise tra comuni e province (ai comuni le elementari, alle province le superiori) che cosa rimane nel budget del ministero se non gli stipendi? Forse si dovrebbe spende che so, il 20% in consulenze?

  12. Mourad

    Ma un pool di esperti no? Ci deve pensare qualche zelante stratega della Lega Nord? Un pressappochismo patetico, terribile.

  13. miriam campana

    Anche io credo che la scuola rappresenti il principale strumento di integrazione. E, avendo anche io due figli piccoli, non credo che il problema sia dei bambini, che non avvertono alcuna difficoltà ed anzi sono stimolati da una presenza multiculturale e multiliguistica. Basta leggere alcuni commenti per capire che il problema è, invece, solo e soltanto dei genitori, ma la scuola è fatta per i loro figli ….

  14. battini marcello

    Distinguere i bambini delle classi elementari, secondo la nazionalità è una cosa insensata. In se, non merita altre parole. Diversa sarebbe l’ipotesi di formare delle classi elementari, in una scuola a tempo pieno, a seconda del livello di conoscenze e competenze dei discenti, a prescindere dalla loro nazionalità, organizzata e gestita dai docenti delle scuole, in piena libertà e autonomia di giudizio e valutazione. queste classi dovrebbero, però, essere di tipo aperto, per consentire periodicamente il passaggio graduale, verso classi di miglior livello, al conseguimento degli auspicabili miglioramenti didattici degli allievi più arretrati. Resta il problema di come affrontare il problema dei discenti lungodisadattati. In questo caso, l’unica soluzione da studiare è il massimo coinvolgimento delle famiglie in collaborazione con assistenti sociali comunali, con le strutture medico socio psico pedagogiche del territorio, con l’attività sussidiaria dei cittadini. Ma i soldi dove si possono trovare?

  15. Pantal

    Caro prof. Ambrosini , mi pare che Lei sia uno dei tanti “ difensori ( sterili ) dello status quo, che portano avanti attraverso una campagna terroristica volta a generare un allarmismo ingiustificato” ( dall’intervento del ministro Gelmini – seduta a. m. del Senato del 23 ottobre ) Anch’io appartengo a questa " aberrante " (id. ) congrega , violenta e terroristica. Per nostra disgrazia dobbiamo fare i conti con “ una visione pedagogica fortemente orientata allo sviluppo delle potenzialità degli studenti “ ( id.), mentre noi, terribili conservatori, avendo letto soltanto qualche antico testo di pedagogia, vogliamo soltanto “istupidire le forze morali ed intellettuali dei nostri figli e nipoti” ( Foscolo ) Non saremo invitati alla Granfesta Mascherata del Maestro Unico. Pazienza, non spenderemo i quattrini dei costumi di Franti, Garrone, Nardi, Nobis e via deamicisiando. Un piccolo consiglio ai nostri illuminati governanti: prima di mettere mano alle faccende dell’università diano un’occhiata alle dispense prima, terza e sesta ( Concludendo ) delle prediche inutile di Luigi Einaudi ( anche lui conservatore accanito).

  16. georgiana turculet

    Ma di cosa stanno parlando alcuni lettori? Ma sono mai usciti fuori dalla tana in cui state? Quante lingue parlano i parlamentari italiani e quanti hanno provato l’esperienza di emigrazione o esperienze all’estero per capire esattamente quanta reale competenza avete per esprimervi in questa materia? Vergogna..per fortuna, io, arrivata in Italia, "inserita" prima che arrivaste voi, altrimenti povera me, separata con altri ragazzini in un’aula come se avessimo la peste! Ho fatto in tempo a diplomarmi, laurearmi e fare anche l’erasmus a Parigi, dove ho sostenuto tanti esami quanti i francesi stessi dopo soli 5 mesi che ero li! Pensa se mi avessero messo insieme agli immigrati o stranieri-erasmus come me, sai quanti esami in francese avrei fatto? nemmeno uno. E allora, anche gli erasmus saranno messi in classi speciali quando arrivano in Italia?

  17. Gianni

    Perchè l’inserzionista inizia l’articolo con una frase così perentoria? Si sa che in altre nazioni esistono classi ponte per iniziare e migliorare l’apprendimento della lingua madre del paese ospite. Quindi l’affermazione è falsa. Mi pare si crogioli in un voluto larvato catastrofismo razzista.

  18. Salvatore Corso

    Chiunque abbia esperienza delle difficoltà dei figli degli immigrati nelle nostre scuole, non può che essere d’accordo sulla necessità di aiutarli, in modo maggiore di quanto si faccia oggi, ad apprendere la lingua italiana. Questo è il primo insormontabile ostacolo alla loro effettiva parificazione con i bambini italiani. Buttarli nelle classi normali prima di avegli fornito lo strumento per capire, significa destinarli ad anni di sofferenza, derisione, frustrazione. Con dei corsi intensivi di 4-5 ore al giorno di durata variabile, a seconda dell’età, ma comunque mai superiore ad un anno solo ai bambini e ragazzi in età scolare. Sarebbe assurdo per i bambini che vanno in asili e scuole materne. Loro imparano in modo naturale come i bimbi italiani. Dai corsi di lingua dovrebbe essere possibile uscire anche prima per entrare nella classe quando l’insegnante ritiene che il soggetto abbia conseguito una conoscenza sufficiente. La velocità di apprendimento essendo ovviamente variabile in dipendenza di attidudine individuale, lingua di origine, livello culturale della famiglia, ecc. Un approccio "politico" a questa materia in cui ci si divida tra destra e sinistra mi sembra ridicolo.

  19. Marino

    Nella proposta si parle sempre di "bambini"…ora, alle elementari i bambini imparano la lingua via full immersion con i coetanei e il problema non si pone. Si pone invece per gli adolescenti appena arrivati nelle superiori. Un caso nella classe di mia moglie, classe intermedia di un istituto tecnico: lo studente indiano di recente immigrazione che a casa parla hindi o inglese, che magari può seguire matematica o certe materie tecniche ed è il migliore della classe in inglese, ma come facciamo con l’analisi testuale di una poesia dello stilnovo, o in genere con la letteratura? "Leggete la voce su Wikipedia in inglese"? D’altra parte la nostra non è l’immigrazione degli USA, prevalentemente ispanica, dove puoi fare classi di informatica o biologia o letteratura americana in spagnolo mentre approfondiscono l’inglese. Ci vorrebbero corsi di Italiano a fini specifici fuori dall’orario curricolare…chi li fa e chi li paga?

  20. Bruno Stucchi

    Une mise à niveau sera prévue allant jusqu’à deux mois de cours. Cette formation sera obligatoire et l’absentéisme sera lourdement sanctionné. Comment? Par une lenteur dans le processus d’attribution du visa par exemple… Examen culturel et linguistique Toute demande de visa d’immigration familiale donnera donc lieu à un examen culturel et linguistique. Des questions seront posées aux aspirants telles que "en France, une femme peut-elle travailler sans l’autorisation de son mari?", explique Le Figaro.

  21. Francesco Pinizzotto

    Mia moglie ed io siamo felici genitori adottivi di 3 bambini stranieri giunti in Italia a inizio Dicembre dell’anno 2004. Il più grande dei miei figli era già in età scolare e noi avevamo preventivamente provveduto a contattare la scuola per concordare le modalità d’inserimento, ricevendo la più ampia disponibilità. Nel momento in cui i bambini sono arrivati in Italia, abbiamo chiesto alla scuola l’inserimento dei bambini secondo quanto concordato e, soltanto allora, ci è stato comunicato che la maestra della prima elementare non riteneva opportuno l’inserimento del bambino in quanto non parlava italiano. Il risultato è che mio figlio ha dovuto frequentare per quell’anno l’asilo, pur essendo già più grande, ed essere inserito in prima soltanto l’anno successivo, ovviamete con i bambini della classe anagrafica successiva alla sua.

  22. Gian Piero

    La separazione delle classi per gli immigrati, è solamente un atto di puro razzismo e sappiamo come si comportano i vari borghezzio & company, vergogna,vergogna, vergogna!

  23. Laura Indrigo

    Racconto, soprattutto agli utenti che hanno scritto qui sopra, la mia esperienza di studente italiano tra studenti di lingua inglese. Quando sono andata per la prima volta in Virginia avevo 16 anni, e conoscevo un inglese molto scarso imparato al liceo classico (sorvolo sui corsi tenuti ai miei tempi alle medie perchè decisamente ridicoli). Come sono stata "integrata"? Semplice, mi hanno fatto seguire 4 ore giornaliere di corsi alla ELI per ben 2 mesi, per il resto seguivo un paio di classi con ragazzi americani e non capivo nulla. Era umiliante, inutile per la mia formazione e piuttosto deprimente per una ragazzina di 16 anni che si sentiva catapultata in una realtà parallela. L’unico posto dove mi sentito a mio agio era proprio ELI dove ragazzi cinesi, coreani, e di altre nazionalità affrontavano le mie stesse difficoltà linguistiche. La seconda volta sono tornata per conseguire un Master universitario. Per accedere all’università è richiesto a tutti gli studenti, anche madrelingua, di sostenere un TOEFL test (un test di lingua non propriamente elmentare) e in molte facolta anche un test di matematica. Per la mia esperienza le classi ponte possono essere la soluzione migliore.

  24. D.H.

    A chi insiste dicendo che le classi ponte sono necessarie, posso dire che io ho imparato l’italiano facendo la baby sitter ad un bimbo di 7 anni, giocando e facendo i compiti con lui. Sarei rimasta allo stesso livello elementare se frequentavo solo miei connazionali o altri stranieri. Se noi adulti immigrati, per diversi motivi che non sto ad elencare, abbiamo problemi di inserimento, non dobbiamo mettere dei paletti e dare segnali "separatisti" a quella che è la parte migliore della società. E qui ci metto anche i bambini e adolescenti italiani, anzi, soprattutto loro! Le classi separate sono solo una scelta politica, per istituzionalizzare il razzismo. Vedo che purtroppo trova consenso in tanti "genitori preoccupati". Io ho una bambina di 1 anno, che non parla ancora ma capisce benissimo l’italiano e la lingua madre, diciamo che capisce perfettamente la lingua madre e la lingua padre. Con questo, e senza cadere nel patetico, volevo solo dire: guardiamo un pò di più il bene dei nostri figli e pensiamo alla società di domani. Ma non dimentichiamo che se si risparmia troppo sulla scuola si rischia di avere il risultato peggiore in assoluto: una generazione di ignoranti!

  25. Bruno Stucchi

    Bello discettare di problemi teorici. Ma quando in una classe di 30 bambini 15 non sanno una parola di italiano, le cose cambiano. Un conto è avere due o tre alunni che non sanno l’italiano, altro conto è quando sono la maggioranza. E in certe scuole del Nord questo già succede.

  26. alberto

    Con tutti gli sforzi possibili immaginabili per capire questo provvedimento, non riesco a non legarlo alla parola razzismo. Mi immagino che sarà presto bocciato da qualche provvedimento europeo, appena il figlio di qualche comunitario (magari di un diplomatico) finirà in classe ghetto. E certo miglioreremo la nostra reputazione nel mondo. Le classi multietniche sono una nuova sfida che richiede menti un po’ aperte, anche se non vanno più di moda nella nostra Italia, chissa che non siano una grande risorsa. Per noi nativi.

  27. Macondo

    Non è una provocazione ma lo sapete che vi sono ampie zone d’Italia (Nord – Sud – valli bergamasche soprattutto) dove il dialetto è l’unica lingua conosciuta e le classi ponte servirebbero a loro?

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