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Integrazione fa rima con istruzione*

L’istruzione è un aspetto fondamentale del percorso di integrazione degli stranieri. Per questo bisogna rimuovere gli ostacoli che i loro figli possono incontrare a scuola, fin dall’asilo. Anche per evitare i rischi legati agli abbandoni precoci.

La scuola degli stranieri

La legge di riforma della cittadinanza è ferma al Senato, in attesa dell’autunno. Ma qual è il livello d’integrazione degli immigrati in Italia? L’Indice sulle politiche di integrazione degli immigrati (Mipex) quantifica l’integrazione nell’Unione europea e in una manciata di altri paesi. Secondo il Mipex 2015, l’ultimo disponibile, l’Italia si situa al tredicesimo posto tra i 38 paesi esaminati. Svezia, Portogallo e Nuova Zelanda capeggiano la classifica, mentre Cipro, Lettonia e Turchia sono i fanalini di coda.

Tra le sette variabili prese in considerazione dal Mipex, l’Italia ha ampi margini di miglioramento in due: istruzione e accesso alla cittadinanza. Sono aree fondamentali per costruire l’Italia multietnica del futuro e se sul tema della cittadinanza si è scritto molto, meno si dice sull’istruzione. Ma i dati rivelano la sua importanza: nell’anno scolastico 2015-2016, gli alunni con cittadinanza non italiana nelle nostre scuole erano 814.851, il 9,2 per cento del totale; il 58,7 per cento di loro è nato in Italia.

Dall’asilo alla segregazione delle prospettive

Le criticità nel settore dell’istruzione sono tante – apprendimento dell’italiano, valorizzazione della diversità linguistica e culturale, riduzione del “ritardo scolastico” – ma ne voglio citare alcune che mi sembrano particolarmente rilevanti.

In primo luogo, la scuola dell’infanzia costituisce la base essenziale per il buon esito dell’apprendimento permanente, dell’integrazione sociale, dello sviluppo personale e del successivo impiego nel mercato del lavoro. Purtroppo, circa un quarto dei bambini fra i 3 e i 5 anni con origini migratorie non la frequenta. Si può favorire il loro accesso alla scuola dell’infanzia sia informando i genitori migranti della sua importanza, sia attraverso misure che rendano sostenibili le tariffe d’iscrizione a strutture non gestite dal pubblico.

Un altro fattore chiave è la prevenzione degli abbandoni precoci di percorsi scolastici e formativi. Secondo l’ultimo rapporto annuale Istat sulla situazione del paese (tabella 1), l’incidenza del fenomeno è massima nel gruppo delle famiglie a basso reddito con stranieri, dove quasi un terzo dei giovani abbandona gli studi prima del diploma. E anche se le comunità straniere in Italia dimostrano livelli di occupazione piuttosto alti, circa un terzo di questi giovani che abbandonano gli studi prima della conclusione rimangono disoccupati. Legato a questo fenomeno ce n’è un altro, quello dei Neet (Not in employment, education and training), ovvero i giovani fra i 15 e i 29 anni che non sono inseriti in un percorso scolastico-formativo né impegnati in un’attività lavorativa. In Italia, il 14,1 per cento di loro è costituito da giovani che appartengono a famiglie a basso reddito con stranieri. Ad aggravare il dato, il 42,8 per cento dei Neet provenienti da questi nuclei familiari si dichiara non interessato e non disponibile a lavorare, probabilmente sintomo di marginalizzazione e disagio sociale. Un recente rapporto della Banca mondiale sui Neet in Centro e Sud America ci dice che in contesti dove la criminalità e la violenza sono diffuse, come in alcune nostre realtà, questi gruppi di giovani possono facilmente essere sedotti dalla prospettiva di guadagni facili nel mondo dell’illegalità. Le conclusioni dello studio, che valgono anche per i nostri Neet (stranieri e non), sottolineano l’importanza di ancorare i giovani al sistema scolastico e, qualora non sia possibile, mettere in atto politiche che favoriscano il loro ingresso nel mondo del lavoro, per esempio attraverso programmi di recupero scolastico, apprendistato e imprenditoria.

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Ultimo elemento fondamentale per l’integrazione è la riduzione della “segregazione delle prospettive” tra studenti italiani e stranieri nella prosecuzione degli studi e nel mondo del lavoro. I dati disponibili indicano che i ragazzi con retroterra migratorio – anche chi ha ottenuto buoni risultati agli esami di terza media – si iscrivono in larga maggioranza ai percorsi di studio professionali. Per esempio, solo il 27 per cento degli alunni stranieri ha scelto il liceo nell’anno scolastico 2015-2016 contro il 49,7 per cento degli studenti italiani, percentuale comunque in aumento rispetto agli anni precedenti.

Come altrove, in Italia si è verificata una polarizzazione dell’occupazione: le qualifiche medie sono sempre meno ricercate, mentre crescono le richieste di manodopera poco qualificata o di personale altamente specializzato. Contrastare la disparità tra il capitale umano di italiani e stranieri – e tracciare un percorso ragionevole verso la cittadinanza per quest’ultimi – sono politiche che possono contribuire in maniera fondamentale a creare una società più coesa e con minore disuguaglianza e tensione tra gruppi etnoculturali.

Tabella 1

Fonte: Istat Rapporto sul paese 2017. 1. Giovani di 18-24 anni che hanno abbandonato precocemente gli studi per gruppo sociale – Anno 2016 (Incidenze percentuali); 2. Giovani di 15-29 anni Neet per condizione e gruppo sociale – Anno 2016 (Composizioni percentuali).

* Il testo riflette le opinioni personali dell’autore e non è attribuibile alla Banca Mondiale, ai paesi che la costituiscono o ai direttori esecutivi che li rappresentano.

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  1. Luca Ba

    Articolo ben realizzato ma secondo me con un limite, ovvero fa un solo gruppo che comprende tutti i migranti (e loro discendenti) in realtà per la mia, magari modesta, esperienza ci sono grosse differenze tra ne varie nazionalità. Posto che molto dipende da grado d’istruzione dei genitori c’è anche una grossa differenza per esempio tra i cittadini dell’est europeo oppure di alcune nazioni asiatiche e i nordafricani oppure i subsahariani. Senza nessun intento discriminatorio è proprio su questi gruppi che ci dobbiamo concentrare senza disperdere energie con altre nazionalità più portate a far fare percorsi di studio lunghi ai figli.

  2. Aldo Mariconda

    Sembra evidente ma in Italia vi è troppa demagogia con la destra e i grillini che sfruttano il flusso eccessivo degli immigrati e la reaziine del cittadino comune. Oltre allo jue soli per i giovani nati qui, occorre veramente un progetto per il loro supporto a scuola, a cominciare dalla lingua, ma anche nelle materie di studio. Altrimenti si favorisce l’emarginazione e abbiamo visto i terroristi nati in Belgio!

  3. Henri Schmit

    Intervento interessante e coraggioso in questi tempi di xenofobia diffusa. L’istruzione è la chiave dell’integrazione, la naturalizzazione di chi è economicamente e culturalmente (in senso laico, tollerante) integrato è un dovere-diritto. Storicamente la Repubblica Francese (non l’unità dello stato, ma lo spirito repubblicano, l’unità della nazione, della IIIa Repubblica) è stata fondata attraverso la scuola elementare obbligatoria, condizione poi del suffragio universale. Forse bisogna riformare la scuola pubblica, che non deve essere un servizio esterno e formale, ma uno strumento di formazione sostanziale, basato su valori (morali, laici e tolleranti, non neutri) e che trasmette valori.

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