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TRE PROPOSTE PER L’UNIVERSITA’

Nel confronto internazionale l’Italia è in forte ritardo perché premia poco l’investimento in capitale umano, nel mercato del lavoro, nella scuola e nell’università. I tagli previsti dalla Finanziaria aggravano il problema. Merito degli studenti aver riportato la questione della quantità e qualità degli investimenti per l’istruzione all’attenzione dell’opinione pubblica. Per formulare risposte concrete è utile partire dall’esperienza europea del VII programma quadro e da quella nazionale del Civr. Ma anche le singole sedi devono dotarsi di strumenti per premiare il merito.

Le ricerche condotte dai migliori economisti internazionali indicano che la scarsa crescita in Europa è in buona parte da attribuire alla quantità e qualità della spesa in istruzione e ricerca, vale a dire alla bassa crescita del capitale umano. (1) L’importanza dell’investimento in ricerca è tanto maggiore quanto più il paese è vicino alla frontiera tecnologica. Anche se la dimensione del problema è europea, in Italia si presenta in modo particolarmente grave, sia sotto il profilo della bassa crescita economica, sia sotto quello del ritardo nel livello e nella crescita del capitale umano. I tagli alla ricerca e all’università previsti dalla Finanziaria aggravano il problema, senza indicare allo stesso tempo una prospettiva per il paese.

IL PROBLEMA

Nel confronto internazionale l’Italia è in forte ritardo perché premia poco l’investimento in capitale umano, nel mercato del lavoro, nella scuola e nell’università. Per valorizzare il capitale umano occorre premiare ilmerito, cioè stimolarlo con incentivi, sia monetari sia non economici. Il legame tra incentivi e risultati è particolarmente rilevante nel contesto del capitale umano, che non può essere accumulato prescindendo dal coinvolgimento delle persone fisiche e, diversamente dal capitale fisico, non può essere solo il frutto della scelta di un possibile decisore pubblico. La qualità delle proposte per l’università va quindi misurata sulla base della capacità di valorizzare il capitale umano.
Attualmente l’università italiana non promuove il merito. I fondi per la ricerca e l’alta formazione sono modesti. La percentuale di docenti e studenti stranieri è trascurabile. La mobilità tra sedi è scarsa, perfino a livello di reclutamento dei dottorandi. I programmi di ricerca esistenti non hanno consentito ai gruppi di ricerca più dinamici di emergere e affermarsi a livello internazionale. Spesso le gerarchie accademiche non corrispondono a situazioni di merito, ma al perpetuarsi di posizioni di privilegio. Ciò che colpisce negativamente è che, oltre alla scarsa internazionalizzazione del nostro sistema di ricerca – cioè uno scarso afflusso di ricercatori dall’estero, in particolare nella fase post-doc – l’investimento pubblico su giovani portatori di idee innovative è limitatissimo, sia per quanto riguarda le retribuzioni, sia per quanto riguarda l’assegnazione di fondi sotto la loro diretta responsabilità. Il taglio dei fondi indiscriminato e il blocco del turn-over previsto dalla legge 133 non affrontano nessuno di questi problemi.
Il merito degli studenti e delle proteste di queste settimane è avere riportato il problema della quantità e qualità degli investimenti per l’istruzione all’attenzione dell’opinione pubblica. La reazione del governo alle proteste è miope, immaginando che il solo taglio delle risorse sia in grado di generare maggiore efficienza. Invece accade l’esatto contrario: genera sfiducia tra coloro che nell’università lavorano, e indifferenza tra coloro che la usano per altri scopi e che ne saranno toccati solo marginalmente. Senza rendersi conto che gli impegni di spesa già presi e la mancanza cronica di fondi sono ottimi argomenti per chi non vuole cambiare nulla. 
Al di là di vasti programmi e annunci di riforme future, per formulare risposte concretamente praticabili occorre ripristinare i fondi tagliati e distribuirli sulla base delle esperienze già acquisite, quella europea del VII programma quadro e quella nazionale del nostro Comitato di valutazione della ricerca. Ma occorre anche costringere le singole sedi a dotarsi di strumenti per premiare il merito.

LA DIMENSIONE EUROPEA: IL CONSIGLIO EUROPEO DELLE RICERCHE

L’istituzione del Consiglio europeo delle ricerche (Erc) ha creato le condizioni per intervenire nell’area più sensibile del sistema, e cioè premiare i giovani ricercatori responsabili di progetti di ricerca innovativi. Oggi, Erc finanzia solo pochi progetti per ciascuna area disciplinare, e quindi di per sé non avrà un grande impatto sulla ricerca europea. Rappresenta però un’occasione straordinaria per tutti i paesi dell’Unione. Una parte delle risorse pubbliche potrebbe essere utilizzata per finanziare i progetti dei ricercatori esclusi dalle graduatorie europee, ma valutati positivamente dai panel di area. Quei progetti offrono la possibilità di finanziare per cinque anni scienziati di qualsiasi nazionalità, già presenti in Italia o provenienti dall’estero, siano essi o meno nei ruoli delle università nazionali. Se ogni anno il ministero assegnasse 150 milioni di euro a tale programma, stimando un costo medio annuo di 150mila euro per ciascun progetto, sarebbe possibile finanziare ogni anno mille progetti di qualità. Finanziare i migliori giovani ricercatori e indirettamente gli atenei che li ospitano instaurerebbe anche un fondamentale principio di concorrenza tra le sedi.

LA DIMENSIONE NAZIONALE: IL COMITATO DI VALUTAZIONE DELLA RICERCA

L’esercizio del Civr relativo al 2001-03 è stato il tentativo più serio di valutare in modo sistematico la ricerca pubblica in Italia. Ma è caduto nel vuoto ed è stato considerato al più un elemento conoscitivo del sistema piuttosto che lo strumento principale per attribuire nuove risorse. Non solo a livello centrale non sono scaturiti segni di discontinuità con le modalità di assegnazione dei fondi, ma nemmeno le sedi locali hanno utilizzato quelle valutazioni per attribuire risorse in modo premiale, o lo hanno fatto in modo trascurabile. I tempi operativi della nuova agenzia di valutazione saranno lunghi, perdendo tempo prezioso. Invece, già nel 2009 il ministero dell’Istruzione potrebbe ripartire una quota consistente del fondo di finanziamento ordinario e dei fondi per il dottorato di ricerca sulla base dei punteggi assegnati dal Civr. Lo stesso Civr dovrebbe essere prontamente messo in grado di funzionare e valutare la ricerca del triennio più recente, in modo da condizionare l’erogazione dei fondi nel 2010.

LA DIMENSIONE NAZIONALE E LE RESPONSABILITÀ DEGLI ATENEI

Per accedere ai finanziamenti per la ricerca, ciascun ateneo dovrebbe annunciare un proprio credibile piano di ricerca, indicando quali iniziative intende prendere per promuovere il merito e migliorare la qualità della ricerca, come intende utilizzare le valutazioni del Civr, con quali criteri intende ripartire i fondi tra le aree di ricerca e all’interno delle singole aree, come concentrare le risorse per i dottorati nelle aree di ricerca più promettenti.

(1) Acemoglu, Aghion, Zilibotti, Distance to frontier, selection and economic growth, Journal of the European Economic Association, 2006.

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24 commenti

  1. Giovanni Federico

    Concordo pienamente. Aggiungo una quarta proposta per reperire ulteriori fondi: bloccare gli scatti di anzianità per i docenti a tempo definito che, per loro stessa ammissione, hanno altre fonti di reddito.

  2. Francesco Ferrante

    Pur condividendo nella sostanza l’intervento devo rilevare che l’utilizzo dei dati CIVR non e’ allo stato opportuno in quanto gli indicatori utilizzati non sono stati ricavati in maniera non corretta. Su questo punto si e’ gia’ espresso in precedenza Alberto Zanardi su questo sito. Quello che e’ successo in questa prima esperienza di valutazione, che ritengo comunque positiva, e’ che, a causa di errori di cui sono responsabili le singole universita’, non e’ stato possibile normalizzare il numero di pubblicazioni presentate sulla base dei docenti presenti nelle singole sedi , Cosi’, ad esempio, e’ successo che l’universita’ X con 50 docenti ha presentato lo stesso numero di pubblicazioni dell’univerista’ Y con 20 docenti, con le conseguenze immaginabili sulla qualita’ media delle pubblicazioni. La simulazione effettuata da Zanardi mostra chiaramenti che se si rifacessero i calcoli, la classifica risulterebbe molto diversa.

  3. francesco pontelli

    Sono daccordo, ma chi avrà il potere di valutare, definire. Personalmente sono inserito nell’Albo dei docenti idonei del Politecnico associato al dipartimento di economia e organizzazione aziendale. Pubblico ricerche in tutto il mondo e nelle maggiori associazioni di categoria (tessile, abbigliamento e luxury) e tra poco uscirò con un libro, ma davanti a me ci sono degli "storditi" che solo per amicizie o parentele.

  4. Stefano

    A mio trascurabile giudizio, l’unico vero rimedio è l’abolizione del valore legale della laurea. Ha l’indubbio vantaggio di essere una riforma a costo zero e di creare un nuovo indicatore: la qualità dell’offerta accademica delle varie università.

  5. David

    Sarebbe meglio che l’autore specificasse in che senso l’università italiana è in forte ritardo (come qualità e quantità dei laureati? come qualità e quantità della ricerca? è pessima in tutti i settori?). A quanto pare tutto sommato la produttività dei ricercatori universitari italiani non è così scarsa. Per quanto riguarda il CIVR, si è trattato senz’altro di un’esperienza positiva e interessante (la mia istituzione è arrivata prima nel settore scientifico di appartenenza). Ma non si è trattato di una vera valutazione dei dipartimenti, ma solo di una valutazione di pochi prodotti selezionati dai dipartimenti stessi: si può dire che si è trattato di una valutazione della fascia di eccellenza dei vari dipartimenti. Sarebbe auspicabile che la valutazione venisse fatta su tutta la produzione di tutti i ricercatori. Dimenticavo che il riferimento alla produttività dei ricercatori italiani è il "classico" studio di King uscito su Nature nel 2004.

  6. Marco Solferini

    A mio avviso buona parte delle persone che sono scese in Piazza e hanno protestato legittimamente, dal punto di vista costituzionale, non avevano letto i contenuti della “manovra” e soprattutto ritengo che solo una minoranza assai contenuta, conosca il reale stato dei conti pubblici Italiani, nel merito della spesa statale. Purtroppo, questo a discapito di qualunque ideologia politica perché la matematica ha il pregio di andare esente dalle contaminazioni di partito o le strumentalizzazioni del potere; drammaticamente, esiste una realtà di stagnazione produttiva e un insostenibile aumento, generalizzato, della spesa pubblica, che soprattutto dal punto di vista programmatico non è sostenibile. Dovendo essere trasparente, non si può negare che la ricerca universitaria sia, in alcuni Atenei, l’interporto privato di un sistema di allocazioni e favoritismi scandaloso, metaforicamente simile ad un Feudo medioevale che addirittura arriva, negli ultimi anni, a creare, per non dire inventare, corsi di insegnamento e didattica, veramente tirati per i capelli e spesso del tutto inutili.

  7. alfie

    Condivido le tre proposte. Non condivido l’assunto iniziale, a meno che la mia interpretazione si dimostri sbagliata: i costi vanno tagliati. Capisco le resistenze al cambiamento e ai sacrifici , ma non si può continuare a pensare che Pantalone paghi sempre o che i tagli debbano riguardare sempre gli altri. A meno che lei non abbia qualche idea alternativa di come si possano ridurre i costi.

  8. fabrizio

    Gli studenti mettono l’attenzione solo sulla quantità e non sulla qualità della ricerca. Se avessero attenzione anche al discorso qualità, perchè non hanno protestato con i concorsi che hanno fatto progredire le carriere di 13000 docenti senza alcuna connessione con la ricerca prodotta? Perchè non hanno contestato la raffica di concorsi bandita a giugno che stabilizza anche chi non ha un dottorato? Perchè se la prendono con il governo e non con i baroni che in questi anni hanno incrementato la spesa per il personale a 500 milioni di euro l’anno? L’unica spiegazione è che questa è una protesta sopratutto politica.

  9. Sagliano Salvatore Antonio

    Pur essendo indubbio che le mobilitazioni degli studenti siano state utili per riportare la questione universitaria al centro dell’opinione pubblica, è altrettanto indubbio che l’assenza di proposte da parte degli atenei, i quali meglio di chiunque altro conoscono i problemi al loro interno e le possibili soluzioni, è molto poco edificante. Essi si stanno battendo, insieme agli studenti, per un’abrogazione incondizionata della legge, quando mi sembra che un miglior indirizzamento dei tagli volto a colpire gli sprechi possa essere una via largamente condivisa. Forse è questo il presupposto per poter creare un sistema di meritocrazia, ma c’è poco da sperarci dal momento in cui le gestioni universitarie sembra non si siano assunte la minina responsabilità, oltre che dell’uso spesso irresponsabile del denaro pubblico, dello scarso approcio propositivo e di collaborazione interna che stanno dimostrando, il quale si riduce ad una mera e incondizionata protesta.

  10. lorenzo tocci

    Dovremmo allargare il dibattito alla natura dell’impresa italiana (sopratutto di grande dimensione), del tutto assente in questo dibattito. Più precisamente, credo che la presenza di grandi gruppi a carattere fortemente mopolista sia il motivo degli scarsi investimenti nel campo della ricerca. Penso, ad esempio, all’AMA ed all’ACEA, qui a Roma, che con le loro gestioni clientelari non hanno nessun intenzione di "rischiare" risorse nell’università. Parliamo chiaramente di settori vitali della nostra economia, chiusi a qualsiasi ipotesi di concorrenza. Infine, un pensiero andrebbe rivolto alla posizione tenuta dalla maggioranza della classe dirigente nei confronti delle cellule staminaliedel loro uso.

  11. Ruiu Gabriele

    Penso che alcuni passi della Costituzione siano il commento più efficace a questa politica di tagli orizzontali messa in atto dall’attuale governo: Art. 9. "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica". Art. 3. secondo comma "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

  12. giuseppe faricella

    Merito = sostantivo maschile. 1. Ciò che rende una persona degna di stima o di ricompensa 2. Qualità positiva di una cosa o di una persona 3. Intima essenza. Il prof. Jappelli dice cose condivisibili. Tuttavia, la ricerca del fantomatico "merito" deve riguardare anche la inevitabile discriminazione tra discipline: una cosa è finanziare la ricerca in fisica (soprattutto quella applicata) matematica o chimica, altro è finanziare la ricerca in economia, diritto o discipline dello spettacolo. A meno di non voler lasciare la quantificazione del merito al mercato: anche alti tassi di tumore fanno incrementare il pil.

  13. Igor Pesando

    Condivido nell sostanza. Pero’ un passo di ordine zero che non richiede nessun intervento e costa poco rispetto al FFO e’ aumentare i finanziamenti ai PRIN e FIRB magari scrivendo nel regolamento che i referee devono esser al x % ( x >= 70 per esempio) internazionali. Il PRIN 2007 e’ stato di soli 100ME . E del PRIN 2008 non si vede neanche l’ombra.

  14. Luigi S.

    Gentile Professore, un’osservazione sui punteggi assegnati dal Civr. Perche’ non iniziare col pubblicarli sul sito de ‘La Voce’? Questo potrebbe condizionare (anche se in minima parte) le scelte di studenti e datori di lavoro. Meglio di niente insomma.

  15. Paolo Trivellato

    L’età media di entrata in ruolo dei ricercatori universitari è 36 anni (CNVSU, Rapporto 2007, pagina 39): anche considerando dottorato e post-doc, sono 7-8 anni persi, proprio quando il cervello funziona al massimo. Per non parlare della posizione pensionistica: fino a che età dovranno lavorare per mettere insieme 35-40 anni di contribuzione? Cari Gelmini e Tremonti, facciamo un patto per far posto ai giovani promettenti. Voi togliete il blocco del turnover e i professori, allo scoccare dei 65 anni vanno in pensione. Che non vuol dire rimanere sfaccendati. Chi ha testa ed energie può benissimo continuare a studiare, senza l’assillo dei compiti organizzativi e degli organi collegiali. E poi c’è metà della popolazione adulta da coinvolgere in svariate attività di lifelong learning. Gli atenei – giusto il richiamo di Jappelli – possono fare la loro parte: hanno le classifiche del CIVR e i database sulla produzione scientifica su cui fondare garbati interventi di moral suasion. Chi ci sta?

  16. davide

    L’analisi di Jappelli è corretta ed intelligente. I problemi sono però anche altri; tra questi uno, semplice, che si riassume in un paradosso: l’Università non è una istituzione. Trattasi di gruppi di potere, "baroni" travestiti da indomiti difensori del sapere, cricche locali e nazionali, che decidono del funzionamento delle amministrazioni universitarie, le carriere, i finanziamenti. Logiche particolaristiche per un valore universale: una evidente contraddizione in termini. Le logiche di ogni singolo atto amministrativo sono quello dello scambio, e così il potere, il consenso, l’influenza; la meritocrazia, in ragione di questo, non esiste. O solo per piccoli interstizi ancora liberi: pochissimi casi. Ed i ricercatori precari, quei pochi ancora in ricerca del sapere come valore, per loro la situazione attuale è di pura disgrazia: senza futuro, superati dai delfini, dai raccomandati, esclusi dal mondo del lavoro, sempre meno giovani. Per loro non c’è più nulla da fare. Come inviolabili castelli del potere, le università li allontanano uno ad uno. Non rappresentati dalla politica – e così dai sindacati – a testa alta se ne vanno. Restano i poteri e le loro logiche di riproduzione.

  17. stefano monni

    Concordo pienamente con quegli economisti che ritengono stragico, per un determinato Paese, l’investimento in capitale umano. Tale rapporto, tra capitale umano e crescita, sembra trovare sostegno nel rapporto riscontrabile tra attuale crisi economica e stato della università e della ricerca nel nostro Paese. Non sono del tutto contrario ai tagli alle spese, sempre che tali tagli siano finalizzati alla riduzione degli sprechi. Ritengo inoltre che il finanziamento della ricerca in Italia non possa essere lasciato al settore pubblico, ma dovrebbe essere sostenuto anche dal settore privato che più di altri è interessato ai risultati della ricerca, nonchè ad acquisire le risorse professionali più promettenti.

  18. Andrea

    Nervi saldi, e cerchiamo di guardare razionalmente la situazione. L’Università italiana fa così schifo come si dice? No. L’Università italiana ha dei seri e annosi problemi strutturali che reclamano urgenti misure? Sicuramente sì. La situazione dell’Università, dal punto di vista del rapporto eccellenze-scandali è migliore o peggiore di quella che si registra in tutti gli altri settori pubblici? A mio avviso resta per il momento migliore. Non voglio giocare a "chi scaglia la prima pietra", però. Tuttavia voglio chiedermi chi ci guadagna dalla riforma universitaria così come si sta definendo. I famosi "baroni" forse? Non credo: chi gestisce soldi ha solo e sempre da guadagnare a gestirne di più. Gli studenti o i precari? Non diciamo eresie. La verità è una sola, e lampante, per chi guardi le cose con un minimo di oggettività: i governi di ogni colore degli ultimi 15 anni hanno tagliato i fondi senza introdurre discriminanti di merito, per il semplice motivo che potevano farlo. Hanno rastrellato soldi nei campi dove l’investimento non era ritenuto produttivo. Miopia della politica? Forse, anzi probabile, ma il problema è a monte. E’ nella testa degli italiani.

  19. Favaro Gianfranco

    Concordo con le proposte formulate. Ritengo peraltro che sia proprio compito della politica decidere sulla qualità dell’insegnamento Universitario e sia compito degli studenti intervenire in una situazione che ormai è smile alla cancrena. Non v’è dubbio che l’unica classe dirigente che è stata riformata è quella politica. Non sta dando un bell’esempio la magistratura che ha grossisime responsabilità sullo stato della giustizia; non lo stanno dando i Professori Universitari che immaginano una società ancora feudale e non globale. Che pensano di poter vivere di rendita senza render conto a nessuno del proprio rifiuto al cambiamento; Bella figura non la sta facendo nemmeno le libere professioni impegnate a difendere l’esisitente. La Confinduistria è praticamente assente dal dibattito. Credo per sconforto. Ben vengano i giovani che protestano, e ben vengano i contributi come quello del prof. Japelli che incominciano a dar corpo al merito e a contribuitre ad incanalare la protesta verso proposte concrete Concludo aggiungendo alle tre proposte l’abolizione del valore legale del titolo di studio. e la pubblicazione delle valutazoni Civr.

  20. Alessandro Figà Talamanca

    La valutazione triennale della ricerca coordinata dal CIVR si riferisce al triennio 2001-03, ed aveva carattere dichiaratamente sperimentale. Pur avendo avuto un grande successo, l’esercizio ha messo in luce diversi difetti di impostazione, con riguardo specialmente alle sedi che hanno presentato meno di dieci prodotti in un’area, e alle "aree speciali". Non mi sembra facile utilizzare ora questa valutazione ormai vecchia. Piuttosto, tenendo conto dell’esperienza, si dovrebbe procedere subito ad una nuova valutazione su base triennale, chiarendo fin dall’inizio che sarà usata per distribuire parte dello FFO ed i fondi di finanziamento del dottorato di ricerca. Questo commento è analogo ad un precedente commento che, probabilmente per un errore di spedizione, non è stato pubblicato.

  21. Stefano Cascino

    Concordo in pieno con quanto espresso dal Prof. Jappelli. Una perplessità concerne però l’implementazione pratica del modello ipotizzato. Nel caso teorico in cui si potesse idealmente "azzerare" il personale docente/ricercatore attuale e procedere ad assunzioni (e riassunzioni) con i meccanismi contrattuali proposti basati sul merito, il modello funzionerebbe alla perfezione. In concreto però, non essendo questa strada percorribile, nell’Università convivrebbero docenti (spesso già "tenured") assunti secondo le vecchie logiche e docenti (non "tenured") valutati sul merito, paradossalmente in posizione gerarchica inferiore. Una possibile proposta: offrire ai nuovi docenti "non tenured" un compenso maggiore rispetto a quello dei docenti attualmente "tenured" ed offrire a questi ultimi l’opzione di rinunciare alla (attuale) tenure in cambio di un compenso maggiore, con la possibilità di riguadagnare (valutazione sul merito) una "nuova tenure" che paga di più. La percentuale di coloro che decidessero di esercitare l’opzione ci offrirebbe un segnale chiaro sulla qualità degli attuali docenti/ricercatori con un semplice meccanismo di self selection.

  22. francesco sauro

    Volevo giusto soffermarmi un attimo con quanto scritto (e non argomentato) dal Signor Giuseppe Faricella nel suo commento. Dalla lettura delle righe di suddetto commento mi è parso di percepire che materie come Economia e Diritto andrebbero discriminate nella ricerca a favore di materie quali Chimica o Fisica. Io trovo profondamente superficiale e ingiusta tale affermazione principalmente per 2 aspetti: 1. per fare ricerca in Economia e Diritto servono: la persona, un computer, un tavolo, una penna. Il costo di tale ricerca mi sembra, non credo serva un economista per confermarlo, talmente irrisorio che non serve aggiungere altro. Naturalmente potrei anche scrivere quanto costa, invece, una ricerca in Chimica e Fisica (laboratori ecc ecc), e poi quale sia il rapporto costo efficacia o costo utilità di queste ricerche, ma non lo ritengo necessario. 2. probabilmente se la ricerca in Economia fosse stata meglio sovvenzionata, utopicamente avremo saputo come affrontare meglio,per esempio, la crisi finanziaria (macroeconomia), o non so, il problema Alitalia (economia aziendale), che guarda caso potrebbe avere avuto una relazione con i tagli che il Governo sta facendo all’istruzione.

  23. ritucci giorgio

    Ricerca di base, ricerca applicata, ricerca pubblica, ricerca privata. Per fare ricerca ci voglioni persone serie, oneste e preparate, altrimenti è uno spreco inutile di risorse che vanno a finire nelle solite fameliche tasche. Quale è la situazione? E chi lo sa se tutti tirano l’acqua al proprio mulino senza preoccuparsi minimamente del povero cittadino contribuente che viene di solito considerato alla stregua di un povero deficiente. Resta un argomento tra iniziati non di rado fortemente ideologizzati. L’unico vero controllo sui risultati lo fanno forse i laboratori di ricerca privata che sono costretti a controllare il rapporto spesa/risultati. La ricerca di base è necessaria ma non deve essere l’opportunità per fare finta di lavorare, una cortina fumogena dietro la quale c’è solo il deserto. In questo Paese tutto risente dello scarso senso civico per cui quello che veramente conta al di la delle chiacchiere è il proprio io particolare.

  24. Diego Latella

    Io sono stato valutatore CIVR e posso asserire, per eseperienza personale, che la valutazione CIVR e’ assolutamente inefficace ed efficiente. Infatti, essa ha comportato ulteriori referaggi (mi scuso per il gergo) di articoli gia’ pubblicati su riviste internazionali, cosi’ dimostrando rispetto scarso o nullo nei confronti del peer revieweing che regola la pubblicazione di articoli su riviste scientifiche e, allo stesso tempo, sprecando tempo e fondi per quest’ulteriore referaggio. Sarebbe stato molto piu’ efficace, serio, e conforme a quanto si fa normalmente altri paesi, utilizzare un sistema di ranking delle riviste (e convegni) e valutare sulla base di quest’ultimo. Un approccio del genere e’ stato ed e’ adotatto dal Gruppo di Informatica (GRIN).

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