Mi sembra ci sia poco da aggiungere.
Ringrazio coloro che sono intervenuti civilmente, dando dimostrazione che si tratta di una questione di grande importanza per il futuro della nostra società.
Mi sembra anche che la maggior parte degli intervenuti siano d’accordo con le posizioni che ho espresso. Qualche precisazione sulle divergenze.
1) La formazione di classi in cui 25 bambini su 30 non parlano italiano è un’esagerazione. Se accadono, le concentrazioni abnormi dipendono:
1) da scelte dei responsabili scolastici;
2) dalla formazione di ghetti urbani (in Italia comunque al momento ancora rari).
La soluzione non sono le classi separate.
2) Costano anche le classi ponte; giacché l’apprendimento dell’italiano in contesti separati sarà più lento, rischiano persino di costare di più delle misure di accompagnamento che propongo, e che in parte sono già in uso. I test di italiano si possono fare, ma come strumenti per dare sostegno didattico, non per istituzionalizzare classi distinte. Penso che forse i test si dovrebbero fare anche per i bambini italiani, allo scopo di dare sostegno a chi ne ha bisogno (senza che sia necessario diagnosticare un handicap).
3) Sbagliato a mio avviso separare l’istruzione dall’integrazione sociale: la scuola deve preparare i futuri
cittadini di una società coesa, dinamica, aperta al futuro. Che non potrà che essere multietnico, al di là delle nostre personali preferenze.
4) A me non risulta che in Germania (stato federale, quindi possono esserci differenze regionali) vi siano classi di inserimento istituzionalmente separate, soprattutto oggi. Sono certo comunque che la tendenza di gran lunga prevalente nel mondo sviluppato non è quella. Anche l’apprendimento delle basi linguistiche può avvenire, e avviene meglio, con altre modalità.
5) Ho un dato nuovo che precisa quanto affermavo nell’articolo (lo devo a Meri Salati, Caritas ambrosiana): in provincia di Milano dieci anni fa c’era un insegnante-facilitatore ogni 50 alunni immigrati; oggi ce n’è uno ogni 500. Di certo le difficoltà saranno maggiori.
6) Mi pare sintonatico che le obiezioni riflettano le posizioni dei giornali filo-governativi, senza riferimento né a esperienze straniere (a parte l’ultimo caso, impreciso), né a opinioni pedagogiche qualificate. Saranno tutti in errore i governi, i responsabili scolastici e i pedagogisti che in Europa e nel mondo hanno scelto altre strade, e sarà più competente in materia l’on. Cota?
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Gilberto R
Per dirla con C.S.Lewis, "il diavolo sta nei dettagli", in altre parole: se pensare a forme di inserimento che aiutino gli alunni stranieri a inserirsi nel percorso scolastico pare idea di buonsenso, molto dipende da come questa idea potrà essere concretamente realizzata. Anche se la proposta ufficiale ovviamente lo nega, conosco simpatizzanti leghisti che candidamente ammettono che obiettivo reale (o quantomeno propoagandistico) della mozione è quella di "togliere dalle nostre classi gli stranieri che rallentano l’apprendimento dei nostri ragazzi (italiani)"; in tal caso, non interessa tanto come satanno gestite le classi-ponte, importa separare gli stranieri. Se invece si ha a cuore l’integrazione e l’aiuto ai ragazzi più deboli (e allora meglio pensare agli stranieri ma anche agli italiani dei quartieri messi peggio) il come è fortemente legato alle risorse (anche economiche), iniziative, progetti con enti locali/servizi sociali ecc.per gestire l’inserimento; la mozione approvata quali risorse e iniziative propone?