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LARGO AL MERITO! MA E’ SOLO UN INIZIO

Per la prima volta in Italia una quota significativa delle risorse verrà attribuita agli atenei sulla base dei risultati conseguiti. La qualità del provvedimento dipenderà in larga misura dalle regole che il ministro individuerà nei prossimi mesi per ripartire i fondi. Sarebbe davvero imperdonabile non utilizzare questa occasione per introdurre incentivi significativi per chi ha meritato e iniziare a cambiare in modo radicale le regole del gioco. Il ruolo dei parametri riconosciuti in ambito internazionale nelle progressioni di carriera.

L’aspetto più rilevante del decreto Gelmini sull’università, approvato giovedì scorso al Senato, è che per la prima volta in Italia una quota significativa delle risorse verrà attribuita sulla base dei risultati conseguiti dagli atenei. Infatti, nel 2009 il 7 per cento delle risorse del Fondo di finanziamento ordinario verrà distribuito in funzione della “qualità dell’offerta formativa, dei risultati dei processi formativi e della qualità della ricerca scientifica”. Le linee guida pubblicate dal ministero stabiliscono inoltre che nei prossimi anni la quota salirà al 30 per cento.

ALLA PROVA DELL’APPLICAZIONE

La qualità del provvedimento si misurerà sulla sua capacità di incidere in profondità sui meccanismi di finanziamento degli atenei e quindi sulle modalità concrete della sua applicazione. Entro il 31 marzo 2009, il ministro dovrà definire con apposito decreto in che modo la qualità dell’offerta formativa e della ricerca saranno utilizzate per ripartire i fondi.
Esistono naturalmente molti modi di distribuire risorse sulla base dei risultati ottenuti e quindi di applicare la legge. Si potrebbe concedere l’intero fondo alle università che hanno conseguito i migliori risultati e nulla alle altre; oppure si potrebbe graduare la distribuzione delle risorse in modo che la differenza tra primi e ultimi sia minima e l’incentivo di fatto non percettibile. Poiché anche all’interno di ciascuna università la qualità della didattica e della ricerca varia considerevolmente, il decreto potrebbe indicare quali settori, facoltà e dipartimenti hanno contribuito di più al risultato dell’ateneo; oppure potrebbe assegnare un fondo indifferenziato a ciascun ateneo.
Perché il decreto avvii una trasformazione delle università e dei comportamenti del corpo docente occorre che le regole di ripartizione del fondo siano molto nette e trasparenti: devono premiare dipartimenti, facoltà e atenei che hanno conseguito buoni risultati e non finanziare gli altri. E, all’interno di ciascun ateneo, devono individuare quali gruppi di ricerca hanno contribuito maggiormente al risultato. Proprio perché è la prima volta che in Italia i fondi per l’università vengono distribuiti sulla base del merito, sarebbe davvero imperdonabile non utilizzare questa occasione per introdurre incentivi significativi per chi ha meritato e iniziare a cambiare in modo radicale le regole del gioco.

PARAMETRI INTERNAZIONALI E PUBBLICAZIONI

In fase di conversione di legge, il Senato ha introdotto due modifiche di rilievo al decreto. Nei prossimi concorsi la valutazione delle pubblicazioni dei ricercatori dovrà “utilizzare parametri riconosciuti anche in ambito internazionale”. Anche in questo caso, la qualità del provvedimento dipenderà dal regolamento di attuazione. Il ministro avrà trenta giorni di tempo per individuare i parametri che dovranno essere utilizzati dalle commissioni per valutare le pubblicazioni dei futuri ricercatori. Èauspicabile che facciano riferimento esplicito alla qualità delle riviste scientifiche, intesa come diffusione internazionale della ricerca, e all’impatto che le singole pubblicazioni hanno nella comunità scientifica.
I “parametri riconosciuti in ambito internazionale”, tuttavia, sono ancor più rilevanti per associati e ordinari che per ricercatori all’inizio della carriera. Il decreto potrebbe essere ulteriormente migliorato se in fase di discussione alla Camera l’obbligo di richiamarsi a questi venisse esteso anche ai successivi passaggi di carriera, rinnovando profondamente e uniformando i criteri di valutazione utilizzati dalle commissioni di concorso.
Una seconda modifica importante introdotta al Senato stabilisce che a partire dal 1° gennaio 2011 i professori che non avranno pubblicato lavori scientifici nel biennio 2009-10 non potranno partecipare alle commissioni di concorso e subiranno una diminuzione degli scatti biennali di stipendio. Nel corso del 2009 il ministro dovrà pertanto individuare “i criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni”, validi ai fini degli scatti e della partecipazione alle commissioni. Sarà responsabilità del ministro non consentire che l’asticella sia posta a un livello talmente basso da essere superata da tutti.

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E CATRICALA’ PORGE L’ALTRA GUANCIA

13 commenti

  1. Marino

    Andrebbe trovato un meccanismo per valutare anche la didattica, chi tiene i corsi di base, (da analisi matematica a diritto privato a storia medievale) quanto tempo ha per fare anche ricerca? Il rischio è che i docenti si mettano a pubblicare come pazzi tra il 2009 e il 2011, a prescindere dalla qualità, sulle riviste "in-house" che ricevono magari il contributo stampa di ateneo, "affettando" in articoli multipli un lavoro di più ampio respiro e magari prendendosi il sabbatico per lavorare con più comodo.

  2. Alberto Lusiani

    Ottimo proposito aumentare al 7% le risorse assegnate in base ai risultati nel settore Universita’ e Ricerca. Nel contesto degradato dell’universita’ italiana tuttavia mi sembra errato e pericoloso assegnare i fondi proporzionali ai risultati in maniera indivisa agli Atenei. Infatti gli Atenei sono diretti da organi eletti democraticamente ma spesso in base a logiche clientelari e di scambio (come in politica). Sarebbe preferibile assegnare i fondi confrontando per settori disciplinari omogenei i progetti dei gruppi di ricerca, adottando la regola comune all’estero che una percentuale dei fondi assegnati beneficino tutto il dipartimento (non l’Ateneo) di appartenenza. Infatti e’ piu’ facile fare confronti in ambiti scientificamente omogenei piuttosto che fra Atenei molto compositi al loro interno. Cio’ incentivederebbe meglio Atenei e Dipartimenti ad assumere i docenti piu’ validi, ed eviterebbe il pericolo che i fondi assegnati all’Ateneo grazie al contributo di pochi e minoritari dipartimenti virtuosi venissero amministrati da organi di governo eletti da una maggioranza clientelare e non meritevole.

  3. antonio p

    Chi ben inizia è alla metà dell’opera. Speriamo che ci siano le persone capaci di prendere decisioni coraggiose non mimimaliste (un pò per uno non fa male a nessuno) e così le persone che vogliono e possono non siano intralciate dal qualunquismo sindacal-sessantottino. Buona fortuna a chi si vorrà mettere in discussione per fare cose utili ed intelligenti.

  4. Antonio Lo Nardo

    Non illudiamoci. Il mondo universitario saprà far valere il suo peso.

  5. Luca Neri

    Qualche obiezione. 1- La valutazione del merito e’ compito difficile. Gli indicatori bibliometrici sono validi solo per alcune discipline (ad esempio quelle bio-mediche), sono eterogenei per discipline diverse e sono del tutto inservibili/inesistenti per alcune discipline come le letterarie. Rende così difficile l’implementazione del decreto. In più, indicatori come l’impact factor, anche nelle stesse aree disciplinari, non sono omogenei: un ottimo giornale di medicina del lavoro puo’ avere un IF di 1.75, equivalente ad un giornale di medio-bassa caratura in neforlogia. Questo implica che i finanziamenti saranno dirottati verso discipline con piu’ ampia platea, non piu’ necessariamente ai migliori gruppi. Questo perche’ gli indici bibliometrici sono nati al servizio degli editori e non alla valutazione della ricerca. 3- Le misure bibliometriche sono misure tardive. I tempi di pubblicazione sono lunghi e ancor di piu’ le latenze con le quali la comunita’ scientifica acquisisce, elabora e discute (cita), gli studi. Così si rischia di penalizzare i giovani ricercatori senza storia scientifica pregressa. 4- L’inappropriato uso di indicatori bibliometrici, come pare suggerire il ministero, rischia di incentivare pratiche scorrette (publicazione di risultati intermedi o parziali, commercio/scambio illecito di authorship tra diaprtimenti/autori) o di incentivare ricerche di breve durata e semplice realizzazione rispetto a studi maggiormente innovativi ma con piu’ alto rischio. 5- L’uso di valutazioni esperte non sembra prescindibile dato che gli indicatori bibliometrici spesso non catturano con accuratezza elementi intangibili della ricerca che possono essere colti solo da panel di esperti. Come far loro internalizzare i costi/benefici della decisione? Mi pare che il ministero non abbia alcuna consapevolezza di queste difficolta’ e che vada un po’ a tentoni, quasi per sentito dire.

  6. Domenico Fanelli

    Per ciò che riguarda la ricerca, quello di cui ha bisogno il sistema universitario italiano è, a mio avviso, un minimo standard proprio per eliminare o comunque depotenziare le parti più "marce" del nostro sistema universitario. Cosa diversa e dannosa sarebbe invece quella di fare un minimo troppo alto in cui rientrano pochi professori e poche università. Un sistema graduale di finanziamento dei fondi servirebbe poi a dare il tempo necessario anche alle università più "marce" di riposizionarsi e di competere realmente con quelle università che rispecchiano già i futuri criteri di ripartizione. Sarebbe inoltre uno sbaglio distribuire quel 7% agli atenei, perchè non si andrebbe a colpire il singolo dipartimento che va male: non sarebbe invece meglio distribuire quella quota guardando ai risultati del singolo dipartimento? Un altro punto essenziale che dovrebbe essere considerato è la valutazione alla didattica: perchè si dovrebbe ridurre lo stipendio a un professore che non pubblica o che pubblica su riviste inferiori o di livello nazionale, ma che ha un buon livello didattico, è sempre presente ai ricevimenti e trasmette veramente la conoscenza agli studenti?

  7. Massimiliano

    Concordo con l’articolo: per rilanciare ricerca ed università in Italia ci vuole un cambiamento complessivo di mentalità. Si alla valutazione, si agli scatti di anzianità basati sul merito, si agli standard internazionali nelle pubblicazioni. Tuttavia si deve guardare agli standard internazionali non solo per le pubblicazioni ma anche per le retribuzioni iniziali (ci vuole un po’ di carota non solo il bastone). Si guardi alle retribuzioni iniziali degli attuali ricercatori: http://xoomer.alice.it/alberto_pagliarini/Tab2007_4e28.htm Si guardi ai blocchi periodici di assunzioni e progressioni in carriera, ed ai tagli o ritardi nell’assegnazione dei fondi di ricerca PRIN, o di Ateneo visti i recenti tagli fatti ai FFO delle università. Ma chi sono quei giovani pazzi che decideranno di cominciare o di continuare a fare ricerca in Italia rispettando stardard internazionali nelle pubblicazioni ma con la metà (si spera) dei fondi di ricerca e con paghe iniziali che sono la metà (sempre si spera) di quelle all’estero? E’ vero che ci sono scatti automatici di anzianità ma le paghe iniziali sono veramente bassissime rispetto all’estero, ed oggi si entra in ruolo a 32 anni, se va bene.

  8. Angelo Peccerillo, Università di Perugia

    Condivido il pessimismo di De Nardo. Indro Montanelli diceva che noi italiani siamo bravissimi a trasformare i salotti in casini. E’ possibile, quindi, che le buone iniziative che si intravedono saranno stravolte e disattese. Tuttavia, molto dipende anche da coloro, e non sono pochi, che nell’università fanno bene e con impegno il proprio lavoro. Se costoro resteranno silenti, è facile che avvenga il peggio. In un paese a scarsa eticità come purtroppo è il nostro, la valutazione della ricerca può essere fatta in maniera efficace soltanto utilizzando criteri oggettivi, “freddi”, che comportino scarso spazio all’interpretazione e alle opinioni di commissioni e gruppi eletti e/o nominati con i criteri che tutti conosciamo. Questi parametri sono il numero di lavori su riviste ad alto fattore di impatto, il numero di citazioni collezionate dai ricercatori, e altri ancora. Non esiste sistema di valutazione che possa essere perfetto o valido in eterno. Ma dai parametri freddi bisogna partire in una questa fase in cui mi pare prioritario cercare di ridurre le possibilità di intervento da parte degli stessi soggetti che sono responsabili della situazione attuale.

  9. David Armanini

    Ho molto apprezzato questo slancio verso un’università più meritocratica, ma esprimo una certa preoccupazione sui metodi, dato che la selezione di buoni indicatori di merito è opera difficile. In generale, oltre a indicatori bibliometrici (utili ma molto pericolosi, vedi il commento di Luca Neri), in un paese che non può permettersi di investire troppo denaro nell’università e nella ricerca, ritengo si debba assolutamente includere come parametro la capacità di attirare fondi esterni, vera cartina di tornasole della qualità della ricerca. Ovviamente, anche per questo parametro, è importante ponderare i giudizi per area. Un metodo semplice potrebbe essere utilizzare i percentili dei finanziamenti/dell’IF delle diverse aree tematiche, in modo di non sfavorire settori a bassa audience o di nuova evoluzione. Comunque, mi auguro che si riesca ad andare avanti su questa strada senza che l’apparato universitario si metta di traverso e vanifichi ogni sforzo (vedi riforma 3+2..)

  10. Giuseppe Patisso

    La decisione del ministro Gelmini di legare gli scatti stipendiali alla produzione scientifica è, in linea di principio, una decisione condivisibile. Ma collegare gli scatti stipendiali dei docenti solo alle pubblicazioni prodotte e non alla quantità e soprattutto alla qualità della didattica, cioè alla trasmissione della conoscenza, potrebbe rivelarsi un danno nei confronti degli studenti? I ricercatori, ad es., pur non avendo l’obbligo di svolgere compiti didattici, di fatto tengono in piedi il 50% della didattica degli atenei italiani, insegnando nei corsi di perfezionamento, nei master, facendo lezione nelle lauree triennali e in quelle specialistiche (o magistrali) tenendo tutorato e seguendo tesi di laurea. Ma se lo scatto stipendiale sarà legato solo alle pubblicazioni prodotte perché fare lezione? Perchè seguire gli studenti? Perchè seguire le tesi? Gli studenti rappresenteranno solo un fastidio, toglieranno solo del tempo utile ad assicurare al ricercatore lo scatto biennale sul suo stipendio. La riforma non colpirà i baroni ma gli studenti che si vedranno seguiti molto meno che oggi. Andrebbe valutata anche la didattica.

  11. Giorgio P

    Una semplice indagine sui docenti e ricercatori italiani ci riserverebbe una grossa sorpresa. Nonostante la conoscenza della lingua inglese sia necessaria per fare ricerca scientifica degna di tale nome, credo siano ancora presenti molti casi di persone che hanno dfficolta’ anche solo a leggere un articolo sulla loro materia in una rivista internazionale. Viene da chiedersi come facciano ad aggiornarsi. Chissa’ se non sia il caso di accompagnare alla pensione il prima possibile i docenti che non conoscono l’inglese e accertarsi che i nuovi assunti siano in grado di scriverlo e parlarlo, almeno nelle facolta’ scientifiche. Sarebbe particolarmente interessante vedere quanti medici o futuri medici sono in grado di aggiornarsi sulle riviste e non solo sui depliant dati loro dai rappresentanti. Un requisito sul merito davvero minimo.

  12. Carmen Canevali

    E’ auspicabile che le Università italiane migliorino la qualità della didattica anche attraverso un migliore utilizzo delle professionalità presenti al loro interno. In Italia ci sono circa 1600 tecnici con laurea e moltissimi di loro svolgono attività di ricerca ad alto livello. Purtroppo però il personale tecnico è escluso per legge (L. 230/2005) dalla possibilità di concorrere all’affidamento di incarichi di insegnamento e non può essere titolare di progetti di ricerca ministeriali. Queste disposizioni introducono un’ingiustificata discriminazione a carico dei laureati tecnici, che non possono accumulare titoli valutabili in concorsi pubblici; è quindi auspicabile che i laureati tecnici possano concorrere all’assegnazione di incarichi didattici e comparire a pieno titolo nelle richieste di fondi ministeriali. Questi provvedimenti comporterebbero vantaggi economici per le Università, che dovrebbero ricorrere in misura minore a personale esterno per l’attività didattica, con un risparmio complessivo quantificabile in circa 5 milioni di euro l’anno, e che vedrebbero convergere ulteriori risorse economiche date dai fondi ministeriali.

  13. Marcello Romagnoli

    Come ho già scritto il reclutamento deve avvenire su base meritocratica, deve esere basata su una verifica periodica e oggettiva, che duri per tutto il percorso lavorativo. 1) Eliminazione dei concorsi e chiamata diretta degli atenei. 2) Valutazione continua ed oggettiva dell’assunto mediante parametri quali: a) valutazione da parte degli studenti; b) valutazione della produzione scientifica e brevettuale mediante nr. pubblicazioni e impact factor o altro indice accettato internazionalmente; c) nr. di contratti europei o con aziende ottenuti. In base ad una valutazione ogni 5 anni si può salire di carriera e stipendio, scendere o essere licenziati. 3) In caso di licenziamento o di decurtazione di stipendio la cifra ritorna al Ministero e l’ateneo la perde. Una classifica pubblica dei docenti/ricercatori e degli atenei sulla base di questi punti dovrebbe essere messa su internet. Su questa si basa il finanziamento degli atenei. Nel transitorio solo chi accetta questo nuovo regime può assumere cariche dentro all’ateneo. Per quanto riguarda la Bibliometria, non esiste un sistema perfetto, ma è molto meglio averne uno imperfetto che nessuno. L’importante è che sia oggettivo.

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