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UNIVERSITÀ, PRIMA LEZIONE: RIDURRE I DOCENTI

Gli ultimi tre decreti legislativi relativi all’università varati in Italia si sono tradotti nell’esplosione degli organici a tempo indeterminato sia dei docenti che dei tecnici-amministrativi. Un confronto con la California, non dissimile al nostro paese in termini di dimensione del territorio, abitanti e popolazione studentesca, aiuta a comprendere la portata del fenomeno. Se si vuole rivitalizzare il sistema universitario italiano occorre innanzitutto partire da un ridimensionamento dell’organico dei docenti universitari.

 

La Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica, istituita dal governo precedente, ha scritto: “L’Università italiana ha attraversato negli ultimi 15 anni un profondo cambiamento, le cui tappe più significative sono rappresentate dall’attribuzione dell’autonomia finanziaria (legge 537/1993), dal decentramento dei concorsi (legge 210/1998) e dalla riforma degli ordinamenti didattici (cosiddetto 3 +2, di cui al Dm 509/1999).”
Ora sappiamo che gli effetti macroscopici e più negativi dei tre atti legislativi si sono materializzati nell’esplosione degli organici a tempo indeterminato sia dei docenti che dei tecnici-amministrativi. L’assunzione di personale di ruolo senza un piano a lunga scadenza degli oneri finanziari conseguenti ha messo a rischio i bilanci di molti Atenei. Per risanarli, in mancanza di un aumento certo e stabile delle entrate, sembrerebbe logico ed essenziale ridurre il personale di ruolo a livelli compatibili con un bilancio in pareggio.

LA FAGLIA TRA CALIFORNIA E ITALIA

Per avere un’idea di quanto grande sia la sfasatura degli organici accademici di ruolo abbiamo considerato quattro settori disciplinari ben definiti sia in Italia che in California, e cioè: matematica, fisica, economia, ed economia agraria. Per l’Italia, la fonte è data dal sitodel Miur che fornisce l’organico dei professori ordinari, associati e dei ricercatori sia delle Università statali che private. Il sistema universitario della California si articola su quattro livelli: tre pubblici e uno privato. Il sistema pubblico include l’Università della California con i suoi dieci campus, il California State University System con i suoi ventidue atenei, e il sistema dei Community Colleges che offre i primi due anni di un percorso universitario, molto spesso fine a se stesso. Il complesso delle università private include Stanford, USC (University of Southern California), Santa Clara, Pacific, Caltech e poche altre. In tutte queste Università si sono esaminati i singoli dipartimenti delle quattro discipline ed enumerati i professori ordinari, associati e assistenti, nonostante che i professori assistenti non siano professori di ruolo (tenure). Per l’economia si sono considerati i professori dei dipartimenti di economia veri e propri e delle business schools.
La California ha una superficie di 410 mila chilometri quadrati mentre l’Italia ne ricopre 301 mila. La popolazione della California si aggira sui 36 milioni di abitanti mentre quella dell’Italia raggiunge i 60 milioni. Gli studenti universitari a pieno tempo sono all’incirca 940 mila in California mentre in Italia sono all’incirca 687 mila (1.422.914 iscritti nel 2007/2008 volte 0.483, il coefficiente del Miur per il 2003, l’unico disponibile).

UN CONFRONTO IMPIETOSO

Cominciamo dall’economia agraria. Innanzitutto, in California vi sono 4 facoltà di Agraria mentre in Italia ve ne sono 22 (negli anni sessanta erano 12). Inoltre, si noti che la superficie coltivabile dell’Italia è di circa 13 milioni di ettari, mentre quella della California ammonta a circa il doppio. Ebbene, i docenti di ruolo di economia agraria (ordinari, associati e ricercatori) in Italia sono 366 mentre in California sono 75.
Una sproporzione dei professori di ruolo coinvolge anche i settori di matematica, fisica ed economia. Ecco in tabella i dati che fanno “pensare”:

                                   Italia         California     Rapporto Italia/California

matematica                 2570                1099                 2,34

fisica                           2618                 905                 2,89

economia                    3672                2114                1,74

economia agraria          366                   75                4,88

Tenendo conto della inferiore popolazione studentesca (a pieno tempo) italiana, con un rapporto di circa 0.73 nei confronti di quella Californiana, appare evidente che i ranghi dei docenti di ruolo in Italia sono ipertrofici in confronto a quelli di un paese che è all’avanguardia della ricerca e della didattica. Questi numeri costituiscono indici significativi dello sbando organizzativo del sistema universitario italiano e individuano un aspetto fondamentale per dare respiro vitale ai bilanci di quasi tutti gli atenei.
Dato che il parlamento e il governo hanno tagliato una fetta consistente del Fondo di Finanziamento Ordinario, se si vuole rivitalizzare il sistema universitario italiano occorre pensare ad un ridimensionamento dell’organico dei docenti universitari e, con i risparmi che ne derivano, mettere in opera un sistema di incentivi che premi la produttività scientifica e la didattica di qualità, penalizzando, ove necessario, il business as usual dei professori improduttivi e dei docenti che non insegnano in modo accettabile.

 

Foto: University of California, Berkeley, di Barbara Zamboni

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LA RISPOSTA AI LETTORI

20 commenti

  1. Paolo Palazzi

    Accettare passivamente il concetto di “studente a tempo pieno” ha poco senso senso se non quello di distorcere i dati per i confronti internazionali, modificando artificialmente il denominatore.
    Chi conosce la realtà dell’università italiana dovrebbe sapere che studente “fuori corso” o “in ritardo” in genere richiede un lavoro di docenza superiore rispetto allo studente a “tempo pieno”.

  2. Fabio Manenti

    L’università soffre di molti mali. L’articolo suggerisce una prima medicina: ridurre i docenti universitari. Tuttavia, da (disattento, a quanto pare) lettore della Voce, confesso una certa confusione. Non più tardi di un paio di settimane fa, Marino Regini smontava, anche grazie al ricorso ad una gran quantità di dati, molti di quelli che lui stesso definiva "pregiudizi" sull’università pubblica italiana (per es. non sembra esser vero che in Italia ci siano più università o più corsi di laurea che negli altri paesi europei). L’articolo rinvia ad una ricerca condotta dall’autore, insieme ad altri, in cui vengono riportati anche i dati sul numero dei docenti universitari "tenured": 61.929 in Italia (al 31/12/07), 51.125 nella più piccola Spagna (a cui però si aggiungono quasi 9.000 docenti dell’università privata) e 57.500 in Gran Bretagna. Se poi contiamo i professori a contratto, la Gran Bretagna (ma anche la Germania) sembrano superare di parecchio il dato italiano. Insomma, in Italia c’é o non c’è questa sproporzionata quantità di docenti universitari?

  3. Alessandro Figà Talamanca

    Non mi è chiaro quale sia la fonte dei dati per la California. Sono dati disponibili in rete? Non capisco nemmeno l’origine del misterioso coefficiente di riduzione per arrivare agli studenti a tempo pieno italiani, né se lo stesso metodo di calcolo sia stato applicato agli studenti della Calfornia.

  4. Lucandrea Massaro

    C’è una cosa che vorrei sapere: come si può valutare in maniera utile la produttività di quelle aree scientifiche come la storia, la filologia e la filosofia? L’indicizzazione basata sulle riviste in inglese non tiene conto di un fenomeno inverso, i docenti e ricercatori stranieri che leggono le riviste italiane di questi settori in quanto all’avanguardia. Come fare per risolvere quello che può diventare un boomerang tremendo una fetta consistente della cultura italiana?

  5. Valeria G.

    Sarebbe interessante mettere in evidenza la ripartizione tra ricercatori e associati/ordinari. Sono abbastanza certa del fatto che se si confrontasse il dato relativo al numero di ricercatori in Italia con quello dei ricercatori della California, i risultati sarebbero molto diversi da quelli presentati in questo studio. Conosco realtà in cui il modello del personale docente è quello di una piramide rovesciata, vale a dire più ordinari che ricercatori.

  6. MORSELLIELIO

    Pienamente d’accordo, ma bisognava pensarci prima. come si fa ad attuarlo? Licenziando dei professori universitari? Impossibile! Per quanto riguarda il controllo dell’attività scientifica osservo che essa non può misurarsi a numero di pagine o di pubblicazioni: un tanto ogni due anni. la teoria della relatività di Einstein era di poche pagine: che si doveva fare? Bocciarlo?

  7. luca napolitano

    Sono perfettamente d’accordo con il senso dell’articolo di Paris, l’università italiana sta entrando in un circolo vizioso che la conduce sempre più a divenire una cloaca, dove chi ha potere può tranquillamente fare ciò che più conviene alle proprie esigenze. Appare evidente dunque, che, a livello politico-amministrativo, abbiam bisogno di qualcuno che inizi ad indirizzare l’università e la ricerca italiana verso una strada dove le risorse seguano la qualità. Solo così, secondo me, si potrà avere un sistema universitario migliore e soprattutto si avrà un servizio reso agli studenti che mira principalmente all’efficienza. Oggi non è proprio così. La conferenza dei rettori, così come tutti gli altri organi istituzionali, è diventata ormai una "casta" che, come in genere avviene per tutte le altre "caste", è un apparato che difficilmente si può scardinare e dunque modificare.

  8. Alessandro Rosina

    D’accordo sui dati e sullo sbando organizzativo, ma la conclusione mi sembra un po’ superficiale. Facile parlare genericamente di ridimensionamento di organico. Ma cosa s’intende? Non assumere più? Quanti sono i docenti universitari, ad esempio di economia, under 40 in Italia e in California? Vogliamo rendere l’università italiana ancora piu’ gerontocratica? Se vogliamo ringiovanirla, rinvigorirla e migliorarla qualitativamente bisognerà pur favorire l’entrata e la crescita delle componenti più giovani, dei più attivi, più aggiornati, più scientificamente prolifici. Oppure per ridimensionamento dell’organico s’intende un’accelerazione del pensionamento dei docenti piu’ anziani? E come?

  9. andrea germondari

    Dire "in California vi sono 4 facoltà di Agraria mentre in Italia ve ne sono 22. Inoltre, si noti che la superficie coltivabile dell’Italia è di circa 13 milioni di ettari, mentre quella della California ammonta a circa il doppio" equivale a dire (il numero è un esempio) che razza di ragionamento è? Per secondo punto vorrei ricordare che il rapporto OCSE 2008 sullo stato dell’istruzione dei paesi membri ha illustrato un quadro drammatico per l’Italia. non si evinceva che c’è un numero di docenti sopra le necessita e sopra la decenza, ma al di sotto del numero normale per tenere dei corsi di laurea con una discreta qualità didattica. il valore medio del rapporto studenti-docenti nelle univerità italiane è 21,4% mentre la media OCSE è 15,8%. bisogna aumentare il numero di professori, non ridurlo.

  10. Francesco Monaldi

    Non mi è chiaro cosa significhi, in Italia ed in California, studente a tempo pieno; sono esclusi i fuori corso? Se sì, il dato non mi sembra utile perché anche gli studenti fuori corso spesso frequentano le lezioni, studiano, danno esami ed impegnano i docenti. Inoltre, andrebbe distinta la posizione tra i docenti a tempo pieno e quelli a tempo definito, che "costano" meno e non è detto che abbiano una minore "resa", quanto meno sul piano didattico. Inoltre, lo stipendio dei docenti californiani, in termini sostanziali, vale a dire di potere d’acquisto, è equiparabile a quello degli italiani? Ed ancora, negli USA vi sono molte università private; è intuibile che il minor numero di docenti dipenda dalla logica del contenimento dei costi, che non è detto sia del tutto compatibile con una buona qualità del "prodotto". Esiste una statistica che raffronti il quoziente docente/studente tra università pubbliche e private in California? Infine, cosa costa fare l’università nel pubblico e nel privato in USA, raffrontato con il costo italiano; è un dato importante, così come sarebbe importante poter raffrontare il "servizio" che viene reso, ma è tutto un altro e ben più complesso problema.

  11. Aram Megighian

    Nella mia modesta carriera di scienziato (grosso parolone, ma in realtà questo è il mio lavoro) mi è stato più volte insegnato (anche nelle Università della California) che la statistica ha dei lati ambigui e che si può, a volte dire il tutto ed il contrario di tutto. Non avanzo critiche nei confronti della dotta analisi, ma non posso fare a meno di notare che essa contrasta con quanto espresso nell’articolo e nella pubblicazione "L’università malata e denigrata. Un confronto con l’Europa" scaricabile come pdf dall’Università di Milano. E’ mia opinione, comunque, che noi dobbiamo confrontarci con il sistema europeo, più consono per struttura e tradizione, al nostro sistema universitario (alcuni nostri vecchi istituti sono stati costruiti addirittura come copie di vecchi istituti europei). Ancor più ora che la legislazione europea ha determinato la progressiva equiparazione degli studi per il libero movimento delle persone in europa e anche, con la nascita dell’European research council, la progressiva equiparazione e valutazione dei progetti di ricerca e dei gruppi di ricerca. Magari si otterranno risultati simili, ma almeno confrontabili.

  12. ugo della croce

    Un successo il collega Paris l’ha ottenuto, ha stimolato una notevole discussione. Tuttavia il metodo seguito e’ approssimativo. Oltre ai tanti aspetti discutibili messi in luce dai commenti gia’ pubblicati, ne aggiungo due. Nella tabella avrei voluto vedere i dati degli studenti in Italia e in California di quelle discipline considerate (e non degli studenti in toto). Secondo punto, vorrei far notare che la California e’ un attrattore di studenti nel panorama americano e che quindi molti studenti che vanno a studiare in California non sono residenti in California. Pertanto invece di riportare il numero totale di studenti delle universita’ californiane, bisognerebbe riportare solo quello degli studenti residenti nello stato.

  13. Alessandro Figà Talamanca

    Non mi sembra plausibile che ci siano solo poco più di mille docenti di matematica in California. Ma non sono riuscito a trovare dati. Dal sito della AMS deduco che i matematici residenti in California che sono soci della American Mathematical Society o della Mathematical Association of America sono più di 5000, di cui quasi tremila soci della AMS. Anche se si tolgono, perché probabilmente impiegati fuori del mondo universitario, i 500 circa che sono anche soci della Society for Industrial and Applied Mathematics, ci si deve chiedere che cosa fanno gli altri. Non ho capito come sono stati fatti i conti.

  14. Nicola Limodio

    Interessante l’analisi, ma sarebbe ancor più interessante includere un dato sul numero di ore di lavoro medio dei docenti e soprattutto un confronto tra reddito annuale tra docenti (basterebbe vedere qual’è la somma dei salari annuali corrisposti ai docenti californiani ed italiani). Credo che badando a questi dati l’argomentazione dei troppi docenti sarebbe capovolta. Potrei disporre di informazioni sbagliate ma lo stipendio mensile di un Assistant Professor in USA ammonta intorno ai 10,000 $ al mese, in Italia circa 1,800 €, forse questo è un dato che va valutato.

  15. Diego

    Dal sito del Miur si evince che nell’a.a. 2006/2007 i docenti a contratto che svolgono insegnamenti nei corsi di laurea e post-laurea costituiscono quasi la metà (il 45,6%) del complesso dei docenti universitari; il loro numero è di poco più di 52.000 unità denunciando un aumento di 1,5% rispetto all’anno precedente. Nelle sole università statali, tuttavia, si registra un calo di 0,2%, mentre in quelle non statali vi è stato un aumento del 9,6%. L’ 81% dei docenti a contratto sono presenti presso gli atenei statali. Non sarebbe il caso di limitarne il numero visto che sono esterni all’università spesso hanno un altro lavoro) e non svolgono attività di ricerca?

  16. Enrico Carloni

    Caro Paris, queste ricostruzioni, con un uso capzioso dei dati e delle statistiche, non credo aiutino l’Università italiana, e mi spiace che lavoce si associ così ad un gioco al massacro che certo non aiuta chi nell’Università lavora seriamente. E’ chiaro, a chi si diletta a smontare pezzo per pezzo il modello italiano, quanto è ormai difficile attrarre nell’Università le menti migliori? Se fanno carriera solo i "figli di", si aprono e chiudono a singhiozzo gli accessi ai ruoli, si disegna come super-stabile una carriera in cui al ruolo si accede dopo un decennio di precariato, ed ora a fronte del sistema universitario più sottofinanziato del mondo sviluppato si risponde con prospettive di blocco delle assunzioni (o si pensa davvero di operare tagli di organico?) peraltro già frutto di scelte del Governo… Per esperienza personale e solo nell’ultimo mese: solo quattro partecipanti (per due+due posti) alle selzioni per dottorato, il mio migliore laureato che invitato a proseguire con un dottorato risponde "no grazie, personalmente mi piacerebbe ma mi sconsigliano tutti", un’amica che rinuncia al dottorato per un posto a tempo indeterminato.

  17. Maurizio

    Preso atto che c’è qualcuno che pensa "l’università italiana sta entrando in un circolo vizioso che la conduce sempre più a divenire una cloaca" io mi limito a pensare che già lo sia senza bisogno di altri circoli viziosi. Camerino docet. Mi pare che nessuno guardi la realtà per come è, ci si aggrappa pateticamente a coloro che fanno il loro dovere oppressi come se ci fosse una minoranza cattiva che rende tutto marcio. Non è così! Fino ad oggi nessuno ha fatto una lotta per moralizzare l’ambiente, anche i professori intervistati come oppressi e vittime di baroni hanno i loro figli, nipoti, amanti, mogli ben sistemati. Fanno i moralisti quando non riescono a far vincere l’ennesimo protetto. La soluzione è facile. Si trasformano le università in fondazioni, quelle che non fanno ricerca si chiudono e si licenziano i baroni, i cervelli in fuga, le migliaia di amministrativi. Dove serve lo stato potrà aprirne un’altra con le medesime regole; chi non produce va a casa. Chi non fa lezione va a casa. Un Rettore di recente ha fatto una circolare per dire ai prof che devono fare le lezioni per cui sono pagati, ma c’era bisogno di una circolare? Ma perché non le fanno? E’ una truffa o no?

  18. Mauro

    http://www.repubblica.it/2007/05/sezioni/scuola_e_universita/servizi/scuola-usa/scuola-usa/scuola-usa.html

    Mah, a prescindere dai dati e dai confronti io credo che la differenza tra Italia e Usa è nella possibilità che accadano realmente dei “miracoli”.
    Da non non potrà mai accadere una cosa del genere…

  19. Alessandro Figà Talamanca

    Per un confronto significativo bisognerebbe applicare agli studenti della California lo stesso metodo di calcolo degli studenti equivalenti a tempo pieno applicato agli studenti italiani, cioè uno studente dovrebbe contare in proporzione al rapporto tra crediti conseguiti e crediti che sarebbero stati conseguiti se fosse stato in perfetta regola con gli studi. E’ probabile che l’applicazione di questo calcolo darebbe luogo ad un forte ridimensionamento del numero degli studenti iscritti alle università della California. Infatti il documento a questo indirizzo indica che notevoli ritardi negli studi si verificano anche per gli studenti delle istituzioni statali che selezionano ai fini dell’ammissione (UC e SU). Ancora più forti dovrebbero essere i ritardi e gli abbandoni nelle istituzioni (Community colleges) dove si può iscrivere (come in Italia) chiunque abbia conseguito un diploma di scuola secondaria, e che forniscono spesso una preparazione agli studi universitari veri e propri, fungendo anche da filtro per chi non riesce a qualificarsi per il passaggio ad una vera università.

  20. alocin666

    Non considerare gli studenti fuori corso mi sembra logico in quanto la loro esistenza è esattamente una conseguenza di quanto si dice. Schematizzando: eccessiva mole di esami spesso anche di scarso interesse; corsi inutili; lauree troppo dispendiose dal punto di vista dello studio in rapporto allo scarso valore del titolo di studio (ad es. architettura 35 esamoni per una laurea che vale poco più di un diploma geometri) = più studenti fuori corso = troppi insegnanti.

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