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CASSA INTEGRAZIONE TRA POLITICA E LOBBY

L’Unione Europea è assolutamente contraria agli interventi volti al mantenimento dell’occupazione, equiparandoli sostanzialmente agli aiuti al funzionamento delle imprese. Ma non pone limitazioni di sorta agli aiuti economici e all’offerta di servizi per i lavoratori espulsi o temporaneamente sospesi dal lavoro, in quanto aiuti alla persona. L’ordinamento italiano dovrebbe quindi andare in questa direzione, per ragioni di equità sociale e di efficacia degli ammortizzatori sociali. Ma anche per conformarsi ai dettami del diritto comunitario.

Il ministro Brunetta ha recentemente dichiarato che il sistema italiano di ammortizzatori sociali è un “buon sistema”, perché “gli ammortizzatori sociali funzionano proprio in quanto segmentati e diversificati”. (1)

In astratto, la segmentazione e la diversificazione degli ammortizzatori sociali per settori e tipologie di imprese potrebbe anche renderli un efficace strumento di politica industriale, selezionando i settori e le imprese da sostenere e abbandonando al loro destino quelle inefficienti o non più competitive nel mercato internazionale. Allo stesso tempo, però, una tale potere discrezionale esercitato dal governo o dalla pubblica amministrazione espone al pericolo che possa divenire “il migliore strumento di potere del mondo”, come hanno denunciato Tito Boeri e Pietro Garibaldi. Uno strumento non tanto per perseguire una coerente, lungimirante ed efficace politica industriale, ma piuttosto per beneficiare nell’immediato le lobby di imprenditori o di lavoratori maggiormente capaci di condizionare il potere politico o contigue a questo.
Seppur da più voci si invochi l’introduzione nel nostro ordinamento di strumenti di protezione sociale universalistici, la legge n. 2 del 28 gennaio 2009, muove decisamente in direzione contraria, perpetuando, e anzi incrementando, la “segmentazione”. Questa scelta acuisce il problema della compatibilità con il divieto comunitario della concessione alle imprese di “aiuti di stato”. Proprio perché segmentati, gli ammortizzatori costituiscono degli aiuti di stato.

AIUTI DI STATO

Secondo gli orientamenti della Commissione e della Corte di giustizia va qualificata come aiuto di Stato ogni misura nazionale “selettiva” rispetto ai suoi beneficiari, che si traduca in una spesa pubblica o in una mancata entrata per l’erario pubblico sotto qualsiasi forma si realizzi. (2) Solo le misure normative di carattere generale, applicabili indistintamente a tutte le imprese (i cosiddetti “aiuti normativi”) sono sottratte all’ambito di applicazione del divieto di aiuti di stato di cui all’articolo 87 Tce. Vi sono invece soggette tutte quelle misure nazionali che selezionano il loro ambito di applicazione in ragione del settore produttivo, o della tipologia o dimensione delle imprese, o ancora, pur trovando applicazioni diffuse a tutti i settori e a tutte le imprese, la concessione dei relativi trattamenti è condizionata a una valutazione discrezionale dello Stato o della Pa.
Neppure il fine di protezione sociale di questi trattamenti legittima di per sé una deroga al divieto all’articolo 87 Tce. (3) Gli Stati sono legittimati a una tale deroga in ragione degli obiettivi occupazionali o di sostegno alle imprese in crisi soltanto se la misura che intendono adottare a tali fini sia rispondente agli orientamenti Unione Europea. La disciplina comunitaria è però chiara nel senso dell’ammissibilità degli aiuti all’occupazione se volti “alla creazione netta” di nuovi posti di lavoro in settori in crescita in contesti territoriali particolarmente depressi o mirati a offrire opportunità di impiego a categorie di persone in condizioni di particolare svantaggio sociale. (4)
Gli orientamenti Unione, al contrario, esprimono una assoluta contrarietà verso gli aiuti volti “al mantenimento dell’occupazione”, equiparandoli sostanzialmente agli aiuti “al funzionamento delle imprese”.

E AIUTI ALLA PERSONA

Il diritto comunitario non pone limitazioni di sorta, anzi promuove gli aiuti economici e l’offerta di servizi diretti ai lavoratori espulsi dal ciclo produttivo o temporaneamente sospesi dal lavoro, qualora tali ammortizzatori siano indifferenziati per settori o per tipologie di imprese e tanto più non condizionati a valutazioni discrezionali della Pa. L’assenza del carattere “selettivo” connota questi ammortizzatori non già come “aiuti alle imprese”, bensì come “aiuti alla persona”. (5)
Sono perfettamente ammissibili politiche pubbliche volte ad assicurare ai lavoratori licenziati o sospesi servizi di collocamento, di formazione e riqualificazione professionale e anche sussidi economici per supplire alla carenza di reddito per il tempo o parte del tempo necessario per trovare un nuovo impiego o esser reintegrati in servizio, finanziati dalla fiscalità generale o dalla solidarietà interaziendale o categoriale.
Sarebbe dunque auspicabile che l’ordinamento italiano muovesse i propri passi in questa direzione, in primo luogo per ragioni di equità sociale, di efficacia degli ammortizzatori sociali, di ridotta interferenza con le condizioni di concorrenza tra imprese, ma anche  per conformarsi ai dettami del diritto comunitario, come l’adesione all’Unione Europea impone.

(1) A. Cazzullo, intervista a R. Brunetta, “Basta lamenti, in Italia i migliori ammortizzatori sociali”, in Corriere della Sera 7.3.2009.
(2) Cfr. per tutti K. Bacon, The concept of State Aid: the developing Jurisprudence in the European and UK Courts, in Eclr, 2003, 55 e ss.
(3) Cfr. Corte di giustizia, sent. 7.3.2002, C 310/99, Italia c. Commissione, in RIDL,2002,II,43; Corte di giustizia, sent. 12.12.2002, C 5/01, Belgio c. Commissione, in RIDL,2003,II,709; Corte di giustizia, sent.17.6.1999, C-75/97, Belgio c. Commissione (c.d. Maribel bis/ter), in Racc. 1999,I-3671; Corte di giustizia, sent. 5.10.1999, C 251/97, Francia c. Commissione, in Racc.,1999,I-6639; Corte di giustizia, sent.26.6.1996, C-241/94, Francia c. Commissione (c.d. Kimberly Clark), in Racc.1996,4551.
(4) Cfr. Reg. (Ce) 6-8-2008 n. 800/2008, Regolamento della Commissione che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato comune in applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato.
(5) Cfr. Orientamenti della Commissione in materia di aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà, del 1.10.2004, § 3.2.6.

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  1. Luciano Forlani

    Non condivido il giudizio drastico espresso da Massimo Pallini sul sistema italiano di ammortizzatori sociali. Non perchè non vi sia l’esigenza di apportare correttivi al sistema delle tutele economiche per quanto attiene alle platee raggiunte, all’intensità, al profilo e alla durata dei trattamenti, al legame insufficiente con le politiche attive senza perdere d’occhio la valutazione complessiva del costo efficacia degli strumenti ma perchè il giudizio mi sembra un pò troppo sbrigativo. Il sistema italiano non è perfetto, ma prevede un insieme articolato di tutele in caso di disoccupazione e in costanza dei rapporto di lavoro, di integrazione del reddito da lavoro insufficiente. E vengo al punto che mi interessa sottolineare. Liquidare la cassa integrazione come un aiuto di stato mi pare un giudizio infondato oltrechè pericoloso. La CIG è uno strumento sofisticato della mutualità e la sua gestione, si vedano i dati INPS, è stata fin quì largamente attiva. La CIG ha avuto un ruolo importante per la modernizzazione del nostro apparato industraile e resta anche oggi uno strumento chiave per uscire con meno danni possibili dalla crisi in atto.

    • La redazione

      Replico sinteticamente alle critiche che mi sono mosse da Luciano Forlani. A suo avviso qualificare i trattamenti di integrazione salariale italiani in termini di aiuti di stato sarebbe sbrigativo e, soprattutto, autolesionista e pericoloso perché si tratterebbe di strumenti sofisticati di mutualità con gestione in attivo, che aiutano le imprese a superare temporanee fasi di crisi. Invero sia la cigs sia la cig non possono essere qualificati come strumenti mutualistici in senso proprio perché l’adesione è imposta per legge, l’entità della contribuzione e dei trattamenti sono egualmente previsti per legge e, soprattutto, sebbene la gestione sia stata per lungo tempo in attivo, lo Stato sarebbe comunque obbligato all’erogazione dei trattamenti in favore delle imprese anche qualora si registrasse un andamento negativo della gestione. Tanto più non vi è dubbio che debbano essere qualificati come aiuti di stato a norma dell’art. 87 TCE le integrazioni salariali “in deroga”, concesse cioè a settori e tipologie di imprese che non hanno neppure contribuito al finanziamento della gestione. Quanto all’autolesionismo mi permetto di avanzare qualche dubbio sulla visione idilliaca della gestione della cigs, che propone Forlani; rammento come assai spesso le cigs “per crisi aziendale” siano utilizzate come mera “anticamera” della mobilità, basti pensare alle modalità con cui si è legittimato “in deroga” il ricorso alla cigs per i lavoratori Alitalia che non sono stati assunti dalla Cai, quando è acclarata l’impossibilità di ricollocarli in Alitalia ed è già deciso il loro licenziamento al termine della cigs.

  2. stefano facchini

    Gli stessi aiuti alla persona sotto forma di sostegno al reddito o alla sua mancanza sono, per quanto auspicabili e preferibili agli aiuti selettivi e lobbystici degli ammortizzatori sociali all’italiana, comunque parziali e non generalizzati. La miglior forma di welfare universalistico della società dei 4/5 in cui ci ritroviamo oggi (1/5 della popolazione basta per produrre ogni bene o servizio che serve alla totalità delle persone mentre gli altri 4/5, esclusi dal ciclo produttivo, sono relegati al semplice ruolo di consumatori) è quello del reddito minimo di cittadinanza, misura di limitato impatto per i conti pubblici ma di grande rilevanza per quanto attiene alla leva dei potenziali consumi (e quindi dell’aumento e della rapidità degli scambi economici e quindi della ricchezza) che può generare per il paese che la adottasse.

  3. marcello battini

    Sull’argomento, le leggi discriminatorie sono quanto mai ingiuste,ingiustificate e si prestano ad un uso strumentale delle stesse, da parte del potere politico (una riedizione moderna del potere di vita e di morte dei monarchi assoluti nei confronti dei sudditi). La necessità e l’urgenza di smettere di legiferare per categorie, per cominciare a legiferare con leggi universali, non solo ridurrebbe la produzione di norme, semplificando la vita d’ognuno e consentendo, solo,questo, un incremento di produttività nela PA, ma ci consentirebbe d’uscire finalmente dal nuovo medio evo nel quale siamo caduti, con la formazione di nuove caste, corporazioni e sine cure, le quali, se non abolite, non permetteranno mai la trasformazione del’Italia in un Paese moderno e più felice.

  4. Franco Onnis

    Concordo sulle critiche agli aiuti alle imprese, soprattutto a quelli volti al mantenimento dell’occupazione, anziché alla creazione di nuova occupazione. Si tratta di provvedimenti che vanno nella direzione esattamente opposta, non solo a quella delle prospettive di uscita dalla crisi, ma anche, addirittura, a quella di poter trarre profitto dell’unico aspetto positivo della crisi stessa, che è quello di agevolare l’espulsione dal mercato delle imprese a basso tasso di produttività. Gli aiuti ai disoccupati, e in generale quelli volti all’integrazione dei redditi più bassi, si traducono sicuramente e integralmente in aumento della domanda, che è quello di cui hanno maggiormente bisogno le imprese. E’ assai meno certo che gli aiuti alle imprese trovino, per l’incremento dei prodotti che consentono di creare, il corrispoettivo sbocco nel mercato. Peraltro le politiche di sostegno dei redditi, dovrebbero essere, per quanto possibile, connesse e condizionate allo svolgimento di attività di pubblica utilità, soggette a monitoraggi e controlli da affidare a soggetti il più possibile lontani dagli apparati politici e sindacali.

  5. Lorenzo Aldini

    Nella mia lunga vicenda di cassa integrazione (appartengo al settore bieticolo-saccarifero) i servizi di orientamento sono concessi solo a chi rinuncia volontariamente alla cassa integrazione e sceglie la mobilià. Insomma ci fanno scegliere: o il reddito tutelato senza nulla da fare o i servizi di orientamento, ma senza tutele. Fra le due possibilità di questi tempi preferiamo evidentemente la prima. L’astuzia italiana distorce le linee guida dell’Unione Europea: "se la cassa integrazione è un privilegio concesso al lavoratore ed anche il servizio di orientamento è un privilegio da pagare, due "privilegi" simultanei non sono concepibili," è quello che pensa il mio capo.

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