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CI SONO ANCHE I DISOCCUPATI INVISIBILI

I dati sulle forze di lavoro relativi agli ultimi due trimestri del 2008 non segnalano solo l’aumento della disoccupazione. Evidenziano una crescita della sotto-occupazione e del tasso di inattività, soprattutto al Sud e anche fra gli uomini. Un fenomeno destinato a peggiorare nei prossimi mesi, ma nessuno ne parla. Il rischio è che l’abbassamento ulteriore del tasso di attività marginalizzi ancora di più proprio le regioni più povere e con più basso tasso di occupazione rispetto a politiche orientate esclusivamente a contrastare la disoccupazione.

Mentre si discute delle stime della disoccupazione, è utile rileggere con attenzione i dati sulle forze di lavoro relativi agli ultimi due trimestri del 2008. (1) Segnalano un fenomeno che non potrà che peggiorare nei prossimi mesi e di cui tuttavia si parla poco o per nulla. Non è solo aumentata la disoccupazione. Èanche aumentata la sotto-occupazione, nella forma di part-time involontario.

FUORI DA OGNI CIRCUITO

Nel quarto trimestre 2008, il lavoro a tempo parziale è complessivamente cresciuto su base annua del 2,4 per cento, riguardando esclusivamente donne. Nella stragrande maggioranza queste persone dichiarano che non si tratta di una loro scelta. Soprattutto, nel Mezzogiorno è poi aumentato il tasso di inattività, tra le donne, ma anche tra gli uomini.
È vero che nel quarto trimestre 2008 il tasso di attività complessivo è rimasto invariato, un modesto 63 per cento, rispetto a un anno prima. E già non si tratta di una buona notizia per gli obiettivi di Lisbona. Ma la stabilità è l’esito di comportamenti diversi a livello territoriale e per genere. Mentre nel Nord e nel Centro vi è stato un complessivo aumento dei tassi di attività sia degli uomini che delle donne, al Sud si è registrata una diminuzione soprattutto per gli uomini. (2) Un fenomeno che aveva già incominciato a manifestarsi  nel terzo trimestre. (3)
Di conseguenza, il tasso di attività complessivo nel Mezzogiorno si è ulteriormente ridotto, e allontanato da quello delle altre regioni, attestandosi al 52 per cento: 11 punti in meno del tasso nazionale e 17,8 in meno di quello del Nord. Nel caso delle donne la distanza è molto più consistente: quasi 15 punti in meno del tasso nazionale e 24 in meno rispetto al Nord (vedi tabella 1).
L’aumento del tasso di inattività nel Mezzogiorno, tra le donne, ma ora anche tra gli uomini, per certi versi segnala una situazione ancor più grave dell’aumento del tasso di disoccupazione. Si tratta di forza lavoro scoraggiata, fuori da ogni circuito di “attivazione” e persino fuori da ogni interesse e preoccupazione pubblica. In alcuni casi, gonfia la manovalanza della economia informale, in altri quella dei beneficiari “impropri” delle indennità di invalidità civile e, nel caso delle donne, del casalingato forzato in economie familiari spesso ridotte ai minimi. Non si tratta certo di rentier o di donne che “si sono sposate bene” e possono “fare le signore”. Piuttosto, si tratta sia di uomini sia di donne che, secondo quanto dichiarano, non cercano (più) un’occupazione perché pensano di non trovarla.Eppure, paradossalmente, il loro ritirarsi dalle forze di lavoro li rende invisibili come problema da affrontare. E infatti di loro non si parla in questi giorni, in cui tutta l’attenzione, nazionale e internazionale, è concentrata sulla contabilità, pure drammatica, dei disoccupati.
Quanto questa invisibilità pesi anche sul disegno delle politiche era già stato segnalato proprio su lavoce.info da Linda Laura Sabbadini, che ha mostrato le conseguenze perverse dell’utilizzo del solo tasso di disoccupazione, in particolare femminile, come indicatore di area svantaggiata e in un paese come il nostro, ove i tassi di attività femminile sono bassi, soprattutto al Sud.Èinfatti successo che la Calabria, che ha un basso tasso di disoccupazione femminile solo perché le donne hanno un bassissimo tasso di attività, sia stata esclusa dagli incentivi dell’Unione Europea destinati alle imprese che assumono donne nelle “aree svantaggiate” in cui il tasso di disoccupazione femminile sia stato superiore al 150 per cento del tasso di disoccupazione maschile nel corso di almeno due degli ultimi tre anni.
C’è ora il rischio che l’abbassamento ulteriore del tasso di attività, e il coinvolgimento nel fenomeno di una quota di uomini, marginalizzi ulteriormente proprio le regioni più povere e a più basso tasso di occupazione rispetto a politiche orientate esclusivamente a contrastare la disoccupazione e sostenere il reddito dei disoccupati (e neppure di tutti).
Nel nostro paese il problema del lavoro, con le sue conseguenze per la vita dei singoli e delle famiglie, non riguarda solo la disoccupazione, ma anche la sotto-occupazione e soprattutto l’inattività – delle donne, ma anche degli uomini, almeno al Sud.
Tabella 1. Tasso di attività della popolazione 15-64 anni, per sesso e ripartizione geografica. IV trimestre 2008

Ripartizioni geografiche Valori percentuali Variazione percentuale su IV trim. 2007
Uomini e donne uomini donne Uomini e donne uomini donne
Totale 63,0 74,4 51,6 0,0 -0,2 0,2
Nord 69,8 78,5 61,0 0,3 0,0 0,6
Nord-Ovest 69,5 78,2 60,6 0,5 0,4 0,6
  Nord-Est 70,4 78,9 61,6 0,1 -0,5 0,7
Centro 67,0 77,0 57,1 0,8 0,6 1,1
Mezzogiorno 52,0 67,5 36,9 -0,9 -1,0 .0,8

Fonte: Istat, Indagine sulle forze di lavoro. IV trimestre 2008, 20 marzo 2009, tab. 3

(1) Istat, Indagine sulle forze di lavoro. IV trimestre 2008, 20 marzo 2009.
(2) Ma anche nel Nord Est si è registrata una diminuzione.
(3) Istat, Indagine sulle forze di lavoro. III Trimestre 2008, 1 dicembre 2008.

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  1. andrea malatesta

    Mi sembra del tutto evidente che il tasso di disoccupazione non abbia più alcun significato per comprendere le dinamiche del mercato del lavoro e approntare le politiche conseguenti più efficaci. Trovo incomprensibile che perfino gli interventi a sostegno dell’UE si fondino su di esso: eppure a Bruxelles non dovrebbero mancare esperti della materia in grado di segnalare il problema. Un qualunque studente di sociologia o di economia saprebbe spiegare che paradossalmente il tasso di disoccupazione può aumentare in una fase di sviluppo economico, poichè molti, prima inattivi, si mettono a cercare lavoro e finiscono per essere rilevati come disoccupati; al contrario nelle fasi di recessione il tasso può diminuire anche significativamente per il cosiddetto effetto scoraggiamento, per cui tanti rinunciano a cercare lavoro e finiscono per "perdere" il titolo di disoccupati e diventare inattivi, collocandosi dunque fuori del mercato del lavoro.

  2. Fabio

    Confermo il senso di questo articolo perchè sono un disoccupato invisibile, uno "scoraggiato" quarantenne che non viene più chiamato da qualche anno dalle agenzie interinali e sono "vecchio" secondo i canoni del mondo del lavoro. Vorrei far notare che almeno nella regione Lazio, è stata approvata per diverse migliaia di disoccupati il reddito minimo di cittadinanza con l’erogazione di 530 € per coloro i quali sono tagliati fuori dal mercato del lavoro. Un segno di civiltà che spero possa essere imitato da tutte le regioni d’Italia per essere finalmente una nazione moderna.

  3. Gennaro Boato

    Domanda: ma dietro questa "inattività da scoraggiamento" non c’è la consapevolezza di poter sopravvivere in altro modo (come dice l’articolo)? Dunque è corretto usare l’etichetta di "scoraggiati" o sarebbe più corretto parlare di un’altra categoria di "fanulloni"?

  4. Sergio Pacini

    Concordo con l’analisi, ma credo che il tanto discusso fenomeno dello scoraggiamento in molte -non tutte- le aree del Sud, trovi il corrispettivo in quello, micidiale, dell”incoraggiamento al lavoro sommerso che continua negli anni a essere alimentato da grandi e piccole malavite o comitati politico-affaristici. Una situazione socialmente incancrenita che, se si guarda al quadro europeo, non ritroviamo in alcuna area a basso sviluppo, anche come valori degli indicatori principali del mercato del lavoro (paragonabili solo a quelli dei territori d’oltremare francesi). Chi può credere che esistano vie d’uscita " tecniche"?

  5. Gennaro

    Io sono della Regione Puglia, e qui non esiste il reddito minimo di cittadinanza. Mi domando perché non vogliono aiutarci? Ho 47 anni, disoccupato da molti anni, moglie anch’essa inoccupata e due figli a carico. Nella mia provincia che è Foggia esiste poco lavoro, e ultimamente molte famiglie si recano per un pasto caldo alla Caritas. Si può continuare così?

  6. Alessio

    Risultati noti ma su cui occorre riflette. Impiegati e operai, a differenza degli autonomi, non evadono le tasse e di conseguenza subiscono di piu’ la pressione fiscale. Privati e pubblici sono differenziati da un diverso potere contrattuale, cosi’ come atipici e non, impiegati di piccole/medie aziende e quelli di grandi dimensioni. In generale, un atipico con un contratto a tempo determinato in una piccola azienda e’ quello piu’ a rischio poverta’. Soluzione: cambiare le regole del mercato del lavoro (abolizione dello strumento fazioso della cassa integrazione ed introduzione di un assegno di disoccupazione generalizzato), riduzione del cuneo fiscale con una seria lotta all’evasione (inasprimento delle pene e fondazione di un centro indipendente nazionale antievasione con poteri simili all’antimafia), un studio mirato ad aumentare la produttivita’ industriale (con incentivi ad hoc) ed uno studio di settore (il futuro dell’Italia non sara’ mai il tessile o le acciaierie, ma design, hospitality and leisure, turismo, tecnologia avanzata – se siamo ancora in tempo).

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