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IL TALENTO PREMIATO DALLO STIPENDIO

Premiare il merito significa anche retribuirlo in modo congruo. Dunque, per permettere al sistema universitario italiano di aprirsi verso l’esterno, reclutare i migliori cervelli internazionali e trattenere quelli italiani è necessario un deciso innalzamento delle retribuzioni di ricercatori e professori. Il confronto tra carriere analoghe negli Stati Uniti e in Italia mostra l’entità della perdita per chi resta nel nostro paese. Ma il ruolo di ingresso non può più rappresentare per tutti un’assunzione a tempo indeterminato.

Cosa serve per curare i mali dell’università italiana? Èopinione condivisa che ancorare una parte non marginale delle risorse economiche distribuite agli atenei ai risultati della ricerca sarebbe un passo importante per creare un sistema di incentivi in grado di promuovere il merito e le effettive capacità di ricerca di chi è avviato alla carriera accademica.

CONFRONTO ITALIA-USA

Si tratta di una posizione ampiamente condivisibile. Tuttavia, per riuscire a reclutare i talenti della ricerca, italiani o stranieri che siano, occorrerà intervenire anche su un altro aspetto: rendere più concorrenziali i profili retributivi offerti dalla carriera accademica in Italia. Per tutti i primi venti anni di carriera, sono infatti nettamente inferiori ai valori di riferimento del mondo accademico internazionale. Per rendersene conto, basta fare un confronto con le retribuzioni dei docenti statunitensi.
Il confronto con gli Stati Uniti è indicativo per due ragioni. Primo, le retribuzioni delle istituzioni universitarie statunitensi con dottorati di ricerca orientano i profili retributivi di tutti i principali istituti internazionali che ambiscono a reclutare buoni talenti sul mercato internazionale. Secondo, l’American Association of University Professors pubblica ogni anno un rapporto completo sui profili retributivi dei docenti universitari, con dati che, se si escludono dal computo del salario lordo annuo tutti i pagamenti per i benefit relativi, ad esempio, a fondo pensione, social security, unemployment, assicurazione sanitaria, sono ben confrontabili con i dati italiani sullo stipendio lordo annuo, al netto dei contributi previdenziali versati all’Inps dagli atenei.
Naturalmente, è necessario prestare attenzione a due elementi. Primo, la progressione degli stipendi dei docenti statunitensi per anni di anzianità è minima per gli Assistant Professors ed è piuttosto limitata per gli Associate Professors e i Full Professors e in ogni caso è sempre legata a una verifica dei risultati della produzione scientifica e della qualità della didattica. Secondo, a parità di ruolo e anzianità, la variabilità delle retribuzioni dei docenti statunitensi è piuttosto elevata e dipende dal tipo di università (prestigio dell’istituzione e distinzione tra università pubblica e privata) e soprattutto dall’ambito disciplinare. I settori dove il reclutamento è più esposto alla concorrenza del mercato, come ad esempio business administration and management, law and legal studies, computer and infomation science, economics, e engineering, a parità di ruolo e istituzione universitaria, hanno retribuzioni più alte rispetto a letteratura inglese da un minimo del 44 per cento a un massimo del 101 per cento, secondo i dati 2005/06 contenuti nel rapporto 2007 dell’American Association of University Professors.

Tabella 1: Le retribuzioni dei docenti statunitensi (a.a. 2007/08, 241 atenei con dottorati di ricerca)

  Full Prof. (€ p.p.p) Associate Prof. (€ p.p.p) Assistant Prof. (€ p.p.p)
95 perc 142909 92398 78605
90 perc 126185 86105 73172
80 perc 114858 80804 68303
70 perc 107536 76564 65033
60 perc 104279 73584 62123
50 perc 99287 70759 60350
40 perc 93415 68205 57873
30 perc 88605 65080 55698
20 perc 83437 62552 53735
10 perc 77151 59756 51006
Fonte. Survey AAUP, anno accademico  2007/08. Parità potere acquisto: Usd/Eur= 1,11  
Retribuzioni lorde annue in € al netto dei benefit, assicurazioni sanitarie e contributi previdenziali.  
Numero atenei = 241. Numero docenti=178584  
         

Tabella 2: Le retribuzioni dei docenti italiani (situazione all’1/1/2008)

Anzianità di servizio
in anni
Professore ordinario Professore associato Ricercatore
0 (non conf.) 53133 40217 22561(*)
3 56235 42389 34748
5 60469 45378 36272
7 63473 47511 38398
9 67707 50510 39922
11 70710 52643 42048
13 74944 55637 44175
15 79178 58632 45866
17 82512 60999 47557
19 85847 63367 49249
21 89181 65735 50940
23 92515 68103 52631
25 95850  70471 54323
27 99184 72839 56014
29   75207 57705
31   77574 58748
33     59791
35     60384

Fonte: Cun sede di Bari (prof. Alberto Paglierini). (*) Lo scatto retributivo è dopo 1 anno anziché 3.

Retribuzioni lorde annue in € al netto dei contributi Inps versati dagli atenei.

Nella tabella 3, è illustrato il differenziale retributivo Stati Uniti-Italia, a parità di potere d’acquisto, seguendo un tipico profilo di avanzamento di carriera di un giovane talentuoso assistant professor assunto in regime di tenure-track, a cui è fatto corrispondere un analogo avanzamento di carriera nel sistema universitario italiano, partendo dal ruolo di ricercatore non confermato per finire con il ruolo di professore ordinario. Per gli Stati Uniti il livello retributivo indicato è quello medio per ruolo dei 178.584 docenti con tenure-track presenti in 241 atenei con corsi di dottorato. Tale valore è di poco superiore alla mediana della distribuzione di tabella 1 e, per i settori maggiormente esposti alla concorrenza internazionale, rappresenta un dato piuttosto prudenziale, visto che, con tutta probabilità, la distribuzione delle retribuzioni occupa interamente solo i decili più elevati di tabella 1.

Tabella 3: Il profilo delle retribuzioni nei primi 20 anni di carriera (Stati Uniti vs Italia)

Anzianità in servizio Posizione Retr. Annua USA (€ p.p.p) Posizione Retr. Annua Italia (€)  % ITA /USA
Ingresso. (1° anno) Assist. prof. 61362 Ric. non conf. 22561 36,77%
2°-3° anno Assist. prof. 61362 Ricerc. 34478 56,19%
4°-5° anno Assist. prof. 61362 Ricerc. 36272 59,11%
6° anno Assist. prof. 61362 Ricerc. 40217 65,54%
7°-8° anno Assoc. prof. 72111 Assoc. non conf. 40833 56,63%
9° anno Assoc. prof. 72111 Assoc. n.c. 42389 58,78%
10°-11° anno Assoc. prof. 72111 Assoc 47511 65,89%
12° anno Assoc. prof. 72111 Assoc 50510 70,04%
13°-14° anno Full prof. 106706 Prof. Straord 53133 49,79%
15° anno Full prof. 106706 Prof. Straord 53999 50,61%
16° anno Full prof. 106706 Ord 67707 63,45%
17°-18° anno Full prof. 106706 Ord 70710 66,27%
19°-20° anno Full prof. 106706 Ord 74944 70,23%

 

Retribuzioni lorde annue in € (parità potere acquisto: Usd/Eur=1,11), a.a. 2007/08 Usa, 1/1/2008 Italia, esclusi benefit, assicurazioni sanitarie, contributi pensionistici. Dati Usa pari alla retribuzione media per ruolo (241 atenei con dottorati). Dati Italia inclusivi del computo relativo alla ricostruzione di carriera.
I dati della tabella 3 evidenziano un gap delle retribuzioni italiane rispetto a quelle statunitensi pari a oltre 576mila euro come valore attualizzato dei flussi dei primi venti anni di carriera (una differenza del -40,2 per cento rispetto al flusso delle retribuzioni medie statunitensi).

COME RECLUTARE I MIGLIORI

Se si vuole effettivamente offrire una opportunità al sistema universitario italiano di aprirsi verso l’esterno e reclutare anche buoni talenti internazionali (e trattenere i migliori tra gli italiani) è perciò necessario, per molti settori di ricerca, un deciso innalzamento del profilo retributivo non solo dei ricercatori, ma anche dei livelli di ingresso dei ruoli di associato e di ordinario.
Gli attuali profili retributivi dei ricercatori e gli ostacoli alle promozioni ai ruoli successivi attraverso un sostanziale rallentamento della cadenza delle procedure di valutazione e il blocco del turn-over, appaiono invece la ricetta sicura per perpetuare il continuo e progressivo allontanamento dall’accademia italiana dei migliori talenti. Premiare il merito significa anche retribuirlo in modo congruo: occorre dunque dare tempi certi per il passaggio dei ricercatori meritevoli al ruolo di professore associato e poi ordinario e innalzare in modo deciso la retribuzione media d’ingresso in modo che risulti adeguata rispetto all’investimento in capitale umano richiesto per acquisire capacità di ricerca e didattica d’eccellenza.
E va abbandonata l’anomalia italiana di un ruolo d’ingresso che, superato un solo primo triennio di verifica, rappresenta per tutti un’assunzione a tempo indeterminato. Nei sistemi accademici di eccellenza il percorso di carriera standard è invece sempre più di tipo tenure-track con retribuzioni di ingresso molto più elevate in tutti i ruoli, ma con la possibilità di impiego a tempo indeterminato solo per chi è stato effettivamente in grado di produrre una meritevole attività di ricerca e una buona qualità della didattica dopo un prolungato periodo di prova di sei-otto anni come assistant professor.

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12 commenti

  1. Alberto Lusiani

    Contesto (contro il mio interesse corto-mirante e egoistico di universitario) la proposta di aumentare ai livelli USA i compensi degli universitari italiani. Gli USA hanno un PIL pro-capite PPP 40% superiore all’Italia, una equiparazione di salario lordo PPP puo’ aver senso solo per una piccola minoranza di elite e non per lo stipendio medio di tutti gli universitari italiani. Inoltre, i contributi pensionistici (salario differito) vanno inclusi e non esclusi, cio’ che va confrontato deve essere il costo totale del lavoro. E’ una scelta italiana quella di ripartire in misura abnorme il costo totale in salario previdenziale differito. Infine, non ha senso confrontare tutti gli Atenei italiani con la sola frazione delle research university USA. Ormai Italia e USA danno istruzione universitaria ad una frazione non del tutto incomparabile dei 18enni. Vanno pertanto confrontati i livelli medi dei salari USA includendo tutti gli Atenei. Cio’ che invece dovremmo imparare dagli USA e’ la struttura paritaria "democratica" degli Atenei, molto superiore alla gerarchia ordinario-associato-ricercatore dell’Italia, la molto ridotta componente di anzianita’ e compensi differenziati col merito.

  2. enzo strazzera

    Non si può non concordare con quanto espresso nell’articolo. La perplessità, semmai, nasce dalla considerazione che le valutazioni dovranno essere fatte da quella stessa classe dirigente universitaria selezionata attraverso la cooptazione e le pratiche clientelari. E’ anche evidente che occorra comunque muovere qualcosa. Temo, peraltro, che nei primi periodi di applicazione si otterrebbero risultati deludenti. Tuttavia, se si riuscisse comunque ad aprire una breccia nel feudalesimo universitario, si potrebbe, in prospettiva, sperare di vedere un progresso.

  3. Giacomo Verticale

    Segnalo all’autore che l’aumento di stipendio dei ricercatori al termine del primo anno non coincide con la conferma, che si ottiene al termine del terzo anno. Approfitto anche per intervenire con una osservazione. Il problema del "posto a tempo indeterminato" è in realtà comune a tutti gli impieghi pubblici o privati. Il triennio iniziale, che si configura come un periodo di prova, è già molto lungo. Quale altra azienda o amministrazione pubblica prevede tre anni di prova?

  4. gp galimberti

    I differenziali retributivi sono cosa nota, però è difficile fare un confronto omogeneo e forse più corretto fra i due paesi se non viene rilevato anche l’impegno richiesto ai docenti, che sembrerebbe essere in Italia di molto inferiore.

  5. Andrea Moro

    I dati riportati evidenziano che le differenze fra le medie percepite dai professori ordinari Italiani e Statunitensi non sono poi cosi’ enormi, soprattutto tenendo conto che la parte di contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, e’ enormemente piu’ alta in Italia che negli USA. L’articolo si sofferma brevemente sulle due differenze principali fra le strutture retributive dei rispettivi ordinamenti: 1) la progressione salariale, che in Italia e’ dovuta unicamente all’anzianita’, ed e’ fissata per legge esattamente come indicato nella tabella riportata nell’articolo, mentre negli USA dipende solo dalla produttivita’, e puo’ anche essere negativa in termini sia reali e, in qualche raro caso, anche nominali. 2) L’equiparazione, in Italia, dei salari fra insegnanti di tutte le discipline, a parita’ di anzianita’, con ovvie conseguenze sulle difficolta’ ad attrarre insegnanti capaci nelle discipline dove esiste un mercato del lavoro extrauniversitario. La soluzione ovvia ed urgente, dunque, non e’ quella di aumentare indiscriminatamente i salari, ma di slegarli dalla progressione automatica di carriera.

  6. Luigi Iannelli

    Mi sembra un buon punto di partenza per un’analisi finalizzata a capire parte dei problemi della nostra università e dove poter far leva per migliorare. Vorrei fare però una precisazione relativa alle ultime considerazioni dell’articolo, laddove (in rif. alla tenure-track) si dice che negli Stati Uniti c’è una sorta di verifica di sei-otto anni dell’operato dell’assistant professor prima che egli abbia una posizione a tempo indeterminato, mentre in Italia c’è un unico "platonico" anno di verifica ad inizio carriera. Beh, questa notizia mi giunge nuova: per quanto ne sappia la conferma in ruolo dei ricercatori si ottiene ancora dopo tre anni di servizio. Se poi volessimo contare anche la conferma in ruolo da associato e da ordinario, arriveremo ad un totale di 9 anni di "periodo di verifica" per chi riesce a diventare ordinario,contro i 6-8 negli USA. Lungi da me voler confrontare le due cose (tenure-track negli USA e periodo di conferma qui in Italia), ma credo che ogni analisi di questo livello, con relative considerazioni, debba fornire informazioni corrette, anche perché sono già tante le info "distorte" sull’università che arrivano al grande pubblico.

  7. gian luca podestà

    Bene! Ma potremmo essere un po’ più precisi… così giusto per non eguagliare i giornalisti "un solo platonico, primo anno"? I periodi di verifica per la conferma non durano 3 anni? Quindi l’ipotetico iter di verifica fino a ordinario dura 9 anni. E dopo ogni triennio, anche a conferma ottenuta, ciascun ricercatore non deve sottoporre al dipartimento e alla facoltà la relazione sull’attività didattica e di ricerca? Forse gli strumenti per la valutazione ci sarebbero già, senza contare i giudizi degli studenti, basterebbe usarli, atenei pubblici e privati naturalmente. Grazie e i miei migliori saluti.

  8. Paolo Quattrone

    Articolo condivisibile e dati utili. Alcuni commenti: a) ho il sospetto che in Italia gli stipendi dei docenti universitari siano stati sempre bassi perche’ cosi’ molti dei docenti (e proprio nelle discipline piu’ professionalizzate) possano usufruire di un alibi: non guadagno abbastanza e quindi devo dedicare parte del mio tempo alla professione, oppure, variante della stessa retorica, una mia unita’ di tempo all’universita’ e’ retribuita x volte meno di quanto lo sia fuori da essa. b) La conferma e’ la stessa cosa della tenure track: solo che da noi non funziona allo stesso modo perche’ la conferma la si da’ a tutti (anche se ci sono recenti casi che dimostrano il contrario). Quindi non chiamaiamo la stessa cosa con nomi diversi credendo che questo basti a cambiare la pratica. c) Concorrenza e salari: probabilmente e’ una questione di concorrenza ma con la professione non con l’accademia (ma forse questo era il senso nell’articolo?). C’e’ molta piu’ competizione per un posto nelle humanities, ma non ci sono fondi per alti salari. Il perche’ degli alti salari non e’ questione di concorrenza ma ideologica su cosa la societa’ contemporanea valuta piu’ utile (a torto o ragione).

  9. Bianca Randi

    Francamente penso che questo modo di inquadrare le cose sia profondamente ingannevole per quanto riguarda la realtà italiana. Non servono stipendi più alti a professori ordinari e associati. Servono contratti e stipendi decenti ai tanti precari che effettivamente tirano la carretta. Servono più ricercatori, servono maggiori garanzie di un futuro dignitoso, non mi interessa guadagnare tanto in futuro, mi sarebbe sufficiente uno stipendio decente ora, e qualche garanzia per il futuro. La realtà è che la ricerca italiana è pesantemente sottofinanziata, tutto il resto è rumore.

  10. Marco Reale

    Il confronto di stipendi ppp USA e Italia ha una qualche utilita’ anche se sono pienamente d’accordo con il commento di Alberto Lusiani. Inoltre, i primi problemi dell’Italia nell’attrazione di talenti sono una struttura universitaria non idonea alla ricerca e la mancanza di strutture e fondi. Senza mettere a posto quest aspetti prima, l’aumento di stipendi avrebbe una scarsa efficacia.

  11. marcello1950

    Oggi un esercito di ricercatori lavorerebbe per uno stipendio da fame pur di mettere su famiglia e continuare a fare ciò che e la loro passione per 1000 euro al mese, ma non trova sbocchi e molti di quelli che lo avevano trovato come precari verranno licenziati e buttati per strada.

  12. fabio menin

    I nostri bravissimi ricercatori, che soffrono stipendi da fame, e precariato a vita, vanno aiutati con investimenti dello stato e della società nel suo insieme (compresi quindi i privati) , senza alterare il contesto pubblico della formazione. La pratica della ricerca e della sperimentazione cultuale oggi è però minoritaria nella formazione universitaria, relegata ad alcune facoltà con indirizzo sperimentale. Invece, "Più so e più non so" di Galileo deve essere la guida della formazione culturale, a tutti i livelli, e quindi la ricerca deve essere base di ogni formazione universitaria. In questo senso lo stato deve attrezzarsi,sia sotto il profilo legislativo, che su quello economico. L’incentivazione del talento può avvenire, ma bisogna prima avere il coraggio di tagliare le teste baronali ove occorre, per uscire dal feudalismo culturale come diceva qualcuno nel blog.

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