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LUCI E OMBRE NEL FONDO PER L’UNIVERSITÀ

La ripartizione del finanziamento statale rappresenta l’atto fondamentale di governo del sistema universitario da parte del ministero. Dal 1994 le risorse sono trasferite con modalità che favoriscono una responsabilizzazione degli atenei. Il ministro Gelmini in luglio ha dato risonanza all’assegnazione del 7 per cento del Ffo sulla base di criteri meritocratici. Positivo che la quota ottenuta da ciascuna università si basi sulla capacità di produrre ricerca e didattica di qualità. Le ombre riguardano invece il modo in cui il processo di erogazione è stato gestito.

BREVE STORIA DEL FFO

Uno dei momenti principali dell’ancora incompiuto percorso di autonomia degli atenei statali italiani è la norma della Finanziaria del 1994 (legge n. 537/1993) che ha istituito il Ffo, Fondo di finanziamento ordinario, ovvero una assegnazione annuale complessiva per le spese di funzionamento degli atenei. Prima di allora le università ricevevano dal ministero finanziamenti suddivisi in oltre venti capitoli, ognuno dei quali vincolati a specifiche spese. Con il sistema in vigore dal 1994 vi è un unico stanziamento, nell’ambito del quale le università sono libere di decidere come impiegare le risorse senza vincoli di destinazione.
Il peso del Ffo nei bilanci degli atenei statali è determinante. Ammonta a oltre 7 miliardi di euro e rappresenta circa il 55 per cento delle entrate totali contro il circa 12 per cento dei contributi studenteschi. È evidente pertanto che i meccanismi in base ai quali viene ripartito il Ffo sono decisivi per gli assetti del sistema universitario: nel rapporto tra governo e atenei, perché consentono al ministero di avere una formidabile leva per indirizzarli verso comportamenti e obiettivi desiderati, e nelle università, dove i sistemi decisionali risentono della natura professionale delle istituzioni, per responsabilizzare a una spesa oculata e incentivare i rettori ad adottare linee strategiche, ad esempio, concentrandosi su alcune aree di attività o su altre. Per queste ragioni, il meccanismo di ripartizione del Ffo è il cuore delle politiche universitarie e il punto di partenza di ogni ragionamento in materia di università.
Come è ripartito il Ffo? Tra il 1995 e il 2003 l’assegnazione del Fondo si componeva di una quota base che faceva riferimento al finanziamento storico e di una quota di riequilibrio, legata alla produzione di formazione da parte di ciascuna università. Quest’ultima ha seguito un andamento crescente negli anni fino a giungere al 9,5 per cento del 2003.
Dal 2004 è stato utilizzato un modello di ripartizione elaborato dal Cnvsu, che prevedeva l’attribuzione del Fondo secondo questo schema: 33,3 per cento sulla base degli studenti iscritti (considerando anche le loro caratteristiche), 33,3 per cento in relazione ai risultati dei processi formativi (crediti acquisiti e laureati) e il 33,3 per cento sulla base del numero di ricercatori e al tasso di successo nei bandi Prin. (1)
Lo schema elaborato dal Cnvsu è stato applicato dal ministero a una percentuale del Ffo molto modesta e variabile negli anni: 0,45 per cento nel 2004, 2,18 per cento nel 2005, 3,57 per cento nel 2006, 0,58 per cento nel 2007, 2,17 per cento nel 2008. Si è continuato a trasferire agli atenei la grande parte delle assegnazioni su base storica, senza alcuna considerazione delle loro  prestazioni.

I PROVVEDIMENTI 2009

Uno dei cardini degli interventi di riforma del nuovo governo in materia di università è rappresentato dalla distribuzione delle risorse su base meritocratica. Recitano le linee guida del governo per l’università del novembre 2008: “(…) il 7 per cento di tutti i fondi di finanziamento alle università sarà erogato su base valutativa e la percentuale è destinata a crescere rapidamente negli anni successivi per allinearci alla migliore prassi internazionale. L’obiettivo è infatti quello di raggiungere entro la legislatura il 30 per cento”. Su questa linea, l’articolo 2 della legge n. 1/2009 dispone che, a decorrere dal 2009, una quota non inferiore al 7 per cento del Ffo sia ripartita in relazione alla qualità dell’offerta formativa, alla qualità della ricerca scientifica e alla qualità, efficienza e efficacia delle sedi didattiche (questa dimensione non è considerata per il primo anno).
In giugno, una bozza di decreto ministeriale contenente la ripartizione del 7 per cento del Ffo su base meritocratica è stata sottoposta alla Crui e al Cun, per ottenerne i pareri. A fine luglio il ministro Gelmini ha anticipato alla stampa le percentuali di variazione del Ffo sulla base del nuovo modello. Dopo alcuni giorni gli atenei hanno avuto accesso riservato a una selezione parziale delle tabelle sulle quali si basa l’allocazione, come pubblicato da lavoce.info (LINK). Gli atenei hanno avuto tempo fino al 15 settembre per segnalare errori nei dati esposti nelle tabelle. (2) Nelle prossime settimane verrà emesso il decreto ministeriale di assegnazione del Ffo per l’anno solare 2009 che, in base a quanto si può ricostruire dai dati contenuti nelle tabelle, avrà più di una modifica rispetto alla bozza di Dm circolata in giugno. (3)

UN PRIMO BILANCIO

Fin qui l’azione del governo, che risponde a due requisiti: rispetta gli impegni presi nel novembre 2008 e fa un passo avanti nella distribuzione del Ffo su base meritocratica. Pur essendo la quota ripartita su base competitiva inferiore a quella del periodo 1998-2003 (vedi tavola 1), rappresenta una novità positiva, poiché si basa principalmente non sulle dimensione dell’output degli atenei (come era avvenuto in passato), ma sulla capacità degli stessi di produrre ricerca e didattica di qualità. In particolare, per la ricerca, gli indicatori utilizzati riprendono i giudizi emessi in passate procedure valutative dalla comunità scientifica di riferimento. Insomma, al di là dei toni enfatici dell’annuncio ministeriale, sembrano esserci concreti elementi positivi.

Tavola 1

Non si condividono le critiche rivolte al modello perché eroga fondi agli atenei e non ai gruppi di accademici impegnati in programmi di ricerca o in iniziative didattiche. (4) Un modello generalista di finanziamento dell’università ha infatti come naturale interlocutore, in linea con il rafforzamento dell’autonomia degli atenei promossa della legge 168/1989, l’università come istituzione e non i suoi membri. (5) Agli atenei spetterà il compito di premiare, rafforzare e fare oggetto di specifiche attenzioni le componenti forti a discapito di quelle deboli. Saltare l’ateneo e allocare direttamente i fondi ai gruppi di ricerca contraddirebbe le ragioni per le quali si è costituito il Ffo e finirebbe per uccidere l’autonomia degli atenei. (6)

LE OMBRE

Le ombre sulla ripartizione sono altre e attengono alle modalità con cui il processo di erogazione è stato gestito. La principale riserva è che a oggi non sono ancora pubblici i meccanismi sulla base del quale il Ffo sarà erogato. Il decreto ministeriale non è ancora stato emanato e le tabelle da cui si possono desumere i criteri di allocazione seguiti sono state comunicate agli atenei in modo parziale (nessun ateneo conosce ancora l’ammontare esatto della quota di Ffo che riceverà) e solo in via riservata. La carenza di informazioni è tale che gli atenei hanno sentito la necessità di condividere simulazioni e proiezioni, come testimonia la nota trasmessa dal rettore dell’università di Parma a fine agosto, che ha messo a conoscenza di tutti i rettori le stime calcolate dagli uffici del proprio ateneo. In sostanza, a metà settembre del 2009, quando i principi della buona programmazione e della finanza pubblica prescrivono di impostare il bilancio preventivo 2010, gli atenei non conoscono ancora i criteri sulla base dei quali riceveranno i fondi 2009. In questo modo non si impedisce solo una seria programmazione, ma si soffoca il principale effetto positivo di una ripartizione meritocratica, ovvero l’incentivo degli accademici a modificare i propri comportamenti per ottenere più fondi. Senza una piena trasparenza sui meccanismi di allocazione e sulle loro determinanti, non solo i rettori non avranno linee guida certe sulle quali stimolare le strutture interne, ma negli atenei i dipartimenti non avranno elementi per pretendere che, in coerenza con quanto avviene a livello nazionale, le risorse vengano ripartite sulla base di criteri meritocratici. Inoltre la poca trasparenza con cui il processo è stato gestito rischia di offrire solidi argomenti a giustificazione di quel gruppo di sette-otto atenei che, sulla base delle simulazioni finora disponibili, avrà riduzioni significative del Ffo, oltre il 2 per cento.
Tutto ciò sembra suggerire che un processo di riforma nel sistema universitario necessiti non solo di cambiamenti all’interno degli atenei, ma anche di progressi nelle capacità operative degli uffici ministeriali. 

(1) Dal 2006 si è tenuto conto dei risultati della Vtr 2001-2003.
(2) Una nota della Direzione generale università del 9 settembre 2009 prospetta tempi più lunghi per la necessità di consentire agli atenei di segnalare errori e imprecisioni nelle basi dati in possesso del ministero.
(3) Solo per citare un esempio, i cinque indicatori di qualità dell’offerta formativa e risultati dei processi formativi nella bozza di Dm di giugno 2009 avevano pesi differenti compresi tra il 15 e il 35 per cento, mentre nelle tabelle ministeriali, rese disponibili dopo l’annuncio del ministro, risultano avere tutti il peso del 20 per cento.
(4) Tra i critici, Tullio Jappelli e Marco Pagano sul Corriere della Sera del 23 agosto 2009 e Francesco Giavazzi, ibidem.
(5) I dati del Rae inglese contribuiscono a determinare le erogazioni di fondi agli atenei secondo la medesima logica: le erogazioni sono alle università, che poi girano le risorse ai dipartimenti in base al loro contributo alla performance.
(6) Premi ai gruppi di ricerca eccellenti possono essere erogati dal ministero tramite specifiche misure di finanziamento.

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  1. Francesco Ferrante

    Evidentemente, concordo sulla bontà dell’idea che occorra valutare gli Atenei sulla base della qualità della ricerca e della didattica. Dissento sula bontà degli indicatori scelti: 1) come già evidenziato da Zanardi e Arachi su questo sito, la classifica CIVR risente di errori che hanno danneggiato alcune università; 2) gli indicatori utilizzati per la qualità della didattica non tengono conto dei fattori contestuali che, notoriamente, incidono sulla qualità dei processi di apprendimento e sugli esiti occupazionali. Non a caso, per misurare la qualità della didattica, nel mondo anglossasone si fa uso del concetto di "contextual value added"; 3) Pagano e Jappelli hanno pienamente ragione: l’autonomia universitaria non è un obiettivo in se. L’obiettivo è elevare la qualità media della ricerca e della didattica del sistema. 4) Gli attuali meccanismi di governance non garantiscono che i segnali prodotti dalla graduatoria vengano trasferiti all’interno degli Atenei. Peccato. Dopo diversi anni di attesa, la montagna ha partorito il topolino.

  2. Renzino l'Europeo

    Non riesco a vedere delle luci in questa operazione. Se vogliamo considerare "luce" la c.d. "gesticolazione" sul concetto di valutazione e di merito, e indi i meri titoli di giornale, penso che ci stiamo accontentando di ben poco. Senza considerare i danni che, sai anche meglio di me, i maldefiniti criteri e il contesto stesso di questa decisione (e altre similari) puo’ portare nel concreto della gestione delle Università. Non abbiamo fatto passi in avanti, stiamo facendo ammuina, con il pericolo di avvitarci e ritardare la necassaria definizione di concetti, strumenti, metodi di istituti all’uopo non più rinviabili.

  3. Guido Mula

    L’idea di meritocrazia è sicuramente fondamentale e su questo siamo tutti d’accordo. Tuttavia il Ministro da un lato usa parametri vecchi, dall’altro si dimentica, per esempio, che un datore di lavoro deve pagare gli stipendi dei propri dipendenti. Già ora, e in modo drammatico dal 2010, i fondi statali saranno largamenti insufficienti per il pagamento degli stipendi dei dipendenti delle Università indipendentemente dall’operato degli Atenei in una larga maggioranza delle sedi. Vogliamo essere meritocratici? Vogliamo far sì che la struttura universitaria si responsabilizzi e migliori la propria efficienza? Serve allora fare un discorso completo, che guardi alle responsabilità da entrambe le parti (o non vogliamo tener conto degli innumerevoli, ingiustificabili e inqualificabili ritardi anche pluriennali del Ministero?) e parta, insieme alla ripartizione, dalla costruzione di un fondo di finanziamento che abbia senso compiuto. Quando il sistema ha il minimo indispensabile per funzionare, il di più, anche tutto, può giustamente essere ripartito su base meritocratica (seria, condivisa e responsabilizzante).

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