Ripartono i concorsi universitari con nuove regole per la formazione delle commissioni: dalle elezioni si è passati al sorteggio dei commissari. Dovrebbe servire a evitare di privilegiare i candidati interni e gli scambi di favori. Ma le polemiche riguardano anche i profili scientifici e il numero di pubblicazioni ammesse. In definitiva, ogni norma presta il fianco a critiche plausibili. E allora non sarebbe meglio abolire i concorsi e lasciare le università libere di promuovere chi vogliono, assumendosi l’onere delle proprie decisioni?
Dopo alcuni mesi, si sono sbloccati finalmente i concorsi universitari. La ragione per la quale il loro svolgimento si era interrotto è il sopravvenuto cambiamento nelle regole di formazione delle commissioni, con il passaggio dalle elezioni al sorteggio.
SETTEMBRE, ANDIAMO. RIPARTONO I CONCORSI
Il nuovo criterio cerca di rispondere al problema degli esiti: spesso in passato, candidati graditi alla facoltà che bandiva il concorso prevalevano su altri i cui titoli scientifici erano superiori. Quando ciascun concorso da professore di prima e seconda fascia portava alla dichiarazione di due o tre idonei, potevano poi avvenire fenomeni di scambio: il professor Bianchi, della facoltà che bandiva il concorso, chiedeva al professor Rossi, di unaltra facoltà, di candidarsi come membro della commissione. Il professor Bianchi segnalava al professor Rossi il suo interesse a promuovere un candidato A, dichiarandosi disposto in cambio a supportare un candidato B indicato dal professor Rossi stesso. In realtà, in molti casi non cera bisogno di alcuna comunicazione esplicita: tutti sapevano delle preferenze dei professori Bianchi e Rossi. Con il passaggio ai concorsi a una sola idoneità, lo scambio diretto tra i professori Bianchi e Rossi era diventato impossibile. Tuttavia, rimaneva la possibilità di uno scambio intertemporale: oggi il professor Rossi entra nella commissione del professor Bianchi per promuovere il candidato A e domani Bianchi entrerà nella commissione di Rossi per promuovere B. Da qui lidea del sorteggio dei commissari esterni, cioè coloro che affiancano il membro interno nominato dalla facoltà, al fine di spezzare il meccanismo di tacito accordo. Funzionerà il nuovo sistema? Ora il professor Bianchi si troverà in commissione il professor Verdi, vero turista per caso in terra di concorsi. Cosa penserà il professor Verdi? Che può battersi perché finalmente prevalga la meritocrazia almeno a casa daltri – o che, tutto sommato, se la facoltà del professor Bianchi vuole portarsi in casa un candidato scadente non sono problemi suoi? Ci sarà veramente la molla della reputazione personale a motivare il professor Verdi? Lo vedremo presto.
COME SCEGLIERE IL PROFILO
Ma le polemiche sui concorsi non ruotano solo sulla composizione delle commissioni. Un altro fronte è quello dei profili scientifici dei candidati indicati dalle facoltà. Le facoltà hanno diverse priorità scientifiche e didattiche e possono esplicitarle indicando nel bando di concorso le competenze che cercano idealmente nel candidato. Nulla di male, fin qui. Ma, come riporta un articolo del Corriere della Sera del 16 settembre (Concorsi ritagliati sul candidato un muro contro la competenza), in alcuni casi le facoltà hanno indicato profili estremamente dettagliati, destando il legittimo sospetto che siano ritagliati su un candidato specifico. Quando gli idonei erano più di uno, il profilo non vincolava la commissione nella scelta degli idonei, ma solo la facoltà nella scelta tra gli idonei.Èovvio che con un solo idoneo, il profilo finisca inevitabilmente per condizionare la commissione. Ma se da un lato è chiaro che un profilo che richiede competenze nel complesso delle pratiche simboliche mitico-rituali relative alla fondazione della città di Napoli, nonché alle trasformazioni subite dalla narrazione eziologica della vicenda del nume patrio è eccessivamente restrittivo, non è ovvio quale sia il perimetro di restrizione desiderabile e come si possa pertanto sindacare in modo oggettivo le scelte delle facoltà. Bisogna allora abolire i profili e quindi precludere alle facoltà la possibilità di decidere di assumere un macroeconomista invece che un economista dello sviluppo?
IL NUMERO DI PUBBLICAZIONI
Un altro fronte polemico è la presenza, nei bandi concorsuali, di un tetto massimo al numero di pubblicazioni che si possono sottomettere alla commissione. Ad esempio, in alcuni concorsi si era stabilito che ogni candidato potesse sottomettere solo le migliori (secondo il suo parere) cinque pubblicazioni. Cè chi ha visto in questa norma uno scandaloso artificio per penalizzare i migliori, impedendo loro di sottomettere tutte le loro pubblicazioni, livellando così artificialmente la competizione con candidati meno produttivi. Ma in alcuni casi la restrizione è stata imposta con tuttaltra finalità, vale a dire quella di premiare la qualità delle pubblicazioni sopra la quantità. Almeno nel settore che conosco bene, Economia, alcune pubblicazioni non sono sottoposte a una seria peer review e non hanno alcun impatto sulla letteratura mentre altre devono passare attraverso il vaglio di referee di livello internazionale. Nel secondo caso, i tempi per la pubblicazione si dilatano a seguito delle revisioni richieste dai referee stessi. Per impedire che le commissioni diano un peso eccessivo alla quantità sulla qualità, alcune facoltà hanno pensato di imporre un tetto al numero di pubblicazioni. Certo, in un mondo ideale, le commissioni dovrebbero direttamente tenere conto della qualità e della quantità, ma in pratica chiunque lavori nelluniversità italiana sa che le divergenze di opinione (almeno nelle scienze sociali e umanistiche) su quali siano le riviste importanti e il loro peso relativo rispetto ad altre riviste e ad altri tipi di pubblicazione sono al momento considerevoli.
Insomma, ogni norma concorsuale presta il fianco a critiche plausibili. La domanda che sorge spontanea allora è: ma non sarebbe meglio provare, con tutti i rischi del caso, ad abolire i concorsi? Lasciare le università libere di promuovere chi vogliono, assumendosi lonere delle proprie decisioni, ad esempio con minori fondi pubblici per i dipartimenti che ottengono risultati insoddisfacenti da una valutazione indipendente come il Rae, Research Assessment Exercise del Regno Unito? O dopo il sorteggio dei commissari, avremo il ministero dittatore benevolente che dice alle università come scrivere i profili dei candidati e quante pubblicazioni considerare?
LItalia può ormai vantarsi di avere inventato una nuova disciplina: lingegneria concorsuale. Lingegneria concorsuale è una scienza sperimentale, perché vengono provate sempre cose nuove, però, al contrario delle scienze sperimentali, da essa non si impara mai nulla. Forse è arrivata lora di abbandonarla.
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Vincenzo Antonuccio-Delogu
Non c’e’ dubbio che l’equazione "prendi i migliori = avrai piu’ soldi" spinga i Dipartimenti a comportamenti mediamente virtuosi, ma accadrebbe lo stesso anche nel Belpaese? Personalmente, credo che esercizi come quello del RAE abbiano senso in Paesi i cui Parlamenti non sono dominati dal "partito trasversale" dei docenti universitari. La vera anomalia italiana, e’ solo questa.
Francesco Garofalo
Concordo in pieno con la proposta di abolire i concorsi. Sono da tempo però scettico con l’altra idea cara agli economisti: valutata la ricerca e ripartite le risorse in modo conseguente, la didattica seguirà. In attesa di affrontare seriamente la valutazione della didattica durante – ma anche dopo – gli studi, ho lavorato per la conferenza dei presidi di architettura a un modello di valutazione delle pubblicazioni e dell’attività progettuale che segue il primo esercizio di classificazione delle riviste. Abbiamo studiato bene i criteri già adottati da atenei seri come Bologna. Ne è venuto fuori uno strumento utile per una verifica de candidati che non è benevolmente dittatoriale. E comunque occhio agli anglicismi: le pubblicazioni direi che sono da "sottoporre al giudizio" piuttosto che da "sottomettere" alla commissione.
Giuseppe Esposito
Immaginiamo per un attimo che si concretizzi lo scenario ipotizzato da Panunzi. E mettiamoci nel caso peggiore, cioè con Università che continuano a reclutare parenti e galoppini. Ebbene, cosaccadrà quando, qualche anno dopo, la valutazione indipendente sancirà linadeguatezza delle scelte? Taglio dei fondi. Ma per poter allontanare gli improduttivi è giusto chiudere un intero Dipartimento, con tutto il buono che cè dentro? Perché la valutazione indipendente riguarda le Università o al più i Dipartimenti (se dovesse esser fatta sui singoli, spiegatemi perché prima dellassunzione è impossibile e dopo invece no). Una soluzione cè: costituire graduatorie nazionali (non liste, graduatorie) per ogni SSD, dalle quali le Università dovrebbero attingere, penalizzando finanziariamente stavolta sì quelle che, per qualsiasi motivo, decidessero di saltare qualche posizione. Così si resta liberi di scegliere un profilo (o addirittura un individuo), ma chi volesse prendere questa decisione dovrebbe prima farla accettare dai suoi pari grado interni.
insorgere
Come è stato ampiamente mostrato su vari organi di stampa grazie all’Associazione Precari della Ricerca Italiani (APRI) il ricorso da parte delle università a limiti massimi di pubblicazioni presentabili ai concorsi rappresenta esclusivamente uno strumento atto a tutelare il "predestinato" interno. In molti casi tali limiti sono addirittura la metà di quelli previsti dal CUN come limiti minimi (minimi e non massimi). Se poi fosse davvero necessario ricorre a limiti per garanitre una valutazioe più attenta della produzione, allora sarebbe opportuno che i limiti fossero fissati per SSD e fossero gli stessi ovunque. Un plauso invece per l’ultima parte dell’articolo. Il sistema dei concorsi va superato con un meccanismo basato sulle chiamate dirette, ma responsabili. Si tratta di inserire incentivi/disincentivi economici per i singoli dipartimenti, e garantire una valutazione terza che premi o punisca in relazione alla qualità dei neoassunti. Tale meccanismo si dovrebbe peraltro applicare a tutti i chiamati (a tempo determinato o indeterminato).
pietro manzini
Credo che il Prof. Verdi, commissario per caso, penserà che sia inutile inimicarsi il collega che ha bandito il concorso scegliendo un candidato bravo ma sgradito a quest’ultimo. In effetti tutti tengono famiglia e in futuro il collega scornato potrebbe capitare in un concorso che interessa al Prof Verdi, con desideri di vendetta. Dunque, a parte i soliti casi eccezionali, credo che gli esiti dei concorsi saranno dello stesso tipo di quelli derivanti dalla vecchia legge. Unica vera cura è, come afferma Panunzi, attribuire la responsabilità all’università che sceglie. Ma perché limitarsi alla distribuzione di piccole percentuali di fondi pubblici? Perchè non deviare anche le più cospiscue risorse private (tasse universitarie) verso chi scieglie i migliori candidati? Si potrebbe fare eliminando l’assurdo valore legale dei titoli che, nei concorsi pubblici, equipara tutte le università, sia che siano virtuose nel scegliere i propri docenti sia che arruolino solo amici degli amici. Ma di fronte al grande tabù del valore legale della laurea nessuno, semmeno il miglior primo ministro degli ultimi 150 anni o uno dei ministri del suo governo, ce la può fare.
Fabio Franciolini, Universita' di Perugia
Panunzi tocca un argomento importante e lo tratta con molto equilibrio. In particolare, quando ricorda che il tetto alle pubblicazioni e la definizione dei profili nascono da sane ragioni, ma che spesso, purtroppo, sono stati utilizzati come strumenti per pilotare concorsi. Per eliminare queste storture il Ministro ha recentemente varato un decreto che rimuove il tetto alle pubblicazioni e le prove scritte allesame: una misura dallobiettivo dichiarato di far vincere il migliore! Ma chi e il migliore? Chi ha piu pubblicazioni con elevato impatto? In senso astratto, molto probabilmente. Ma quando ci caliamo nella concreta realta di un dipartimento dove il vincitore dovra integrare le sue competenze, i suoi progetti scientifici vorrei aggiungere, il suo modo di essere – con quelli di altri gruppi di ricerca, allora si capisce che una efficace integrazione ci sara solo se il profilo del vincitore si armonizza bene al contesto. Per questa ragione il reclutamento dei ricercatori dovrebbe essere gestito dai dipartimenti. Specialmente una volta che questi saranno chiamati a rispondere della scelta fatta mediante riscontri valutativi e corrispondente assegnazione di risorse.
riru71
Appare chiaro che ogni scelta di ingegneria concorsuale presta il fianco a critiche e dubbi sulla sua reale efficacia nel promuovere le persone più competenti ai posti in concorso. Inoltre, non si tiene conto di un’altra questione rilevante: oltre alla capacità scientifica, per fare una ricerca e una didattica di qualità è necessario lavorare in equipe affiatate. Grandi ricercatori incapaci di lavorare in equipe rischiano di produrre effetti meno positivi per la facoltà di ricercatori meno qualificati, ma capaci di mettere a sistema le proprie competenze. Inoltre il meccanismo concorsuale produce una distorsione per cui nessuno è realmente responsabile di avere selezionato questo o quel candidato. Ben venga dunque un procedimento che restituisca alle università la responsabilità delle scelte, affiancato da un forte valutazione sui risultati sia dal punto di vista della produzione scientifica, sia dei risultati didattici. Certo, qualche università potrà cadere nel particolarismo, ma pagherebbe questa scelta in termini di qualità dei processi e dei risultati e (si spera) in quantità delle risorse attribuite dal pubblico come dai privati.
Renzino l'Europeo
Non so l’ingegneria, ma sicuramente l’etica professionale non ha funzionato quasi per niente. E qui ci sono stati moltissimi esperimenti. Il concorso e’ il metodo attraverso il quale si vogliono considerare, alla pari in linea di principio, persone note e persone non note. Persone che si possono informare "per vie brevi" e persone che non avrebbero potuto conoscere della posizione di lavoro se non attraverso bandi ben pubblicizzati. E, soprattutto, dare la possibilità agli outsiders, ai "figli di nessuno", di costruire un profilo professionale facendo leva su categorie "generali" di merito, su criteri "astratti" (che devono essere ben noti e accettati nella comunità scientifica, peraltro), e non sull’essere "insiders", e nel giro di amici/conoscenti.
Maurizio Grassini
La proposta di Fausto Pannunzi merita una particolare attenzione. Proporre di "Lasciare le università libere di promuovere chi vogliono", senza capire che e’ cio’ che hanno fatto dopo la riforma dei concorsi secondo la dottrina Berlinguer, rivela una superficiale conoscenza del modello di governo delle nostre universita’ pubbliche. Tuttavia, la proposta contiene uno spunto di riflessione molto importante. Se come dice Pannunzi, bisogna lasciare libere le università di assumere "assumendosi lonere delle proprie decisioni", allora questo onere deve essere associato alla possibilita’ di restituire al mercato del lavoro i reclutati inadatti se non dannosi per la realizzazione delle strategie che le universita’ intendono perseguire. Proprio per i reclutamenti dissennati e senza senso avvenuti negli ultimi 10 anni, la ‘punizione’ suggerita da Fausto Pannunzi di ‘minori fondi pubblici’ per comportamenti poco virtuosi e’ stata gia’ imposta dal Ministro Giulio Tremonti.
decio
Come l’allenatore della Nazionale: prendo chi voglio, chi credo migliore in quel ruolo e se sbaglio vengo cacciato. Se, invece, la Nazionale perde (sfortuna o errori arbitrali evidenti) vengo riconfermato Condivido tutto, cosi sarebbe tutto più veloce e più pratico e più responsabilizzante. E’ efficace il paragone con l’allenatore della Nazionale?
Daniele Folegnani
Quello che sfugge alla discussione è il concetto di professione docente: questa dovrebbe essere vista come una qualsiasi professione intellettuale regolata da logiche di mercato. Liberare le Università dalla trappola dei concorsi per assumersi la responsabilità della chiamata diretta ha senso solo se l’impatto economico di tali scelte diventa pesante. Ovvero se ogni Università sia obbligata a pubblicizzare i propri risultati ( scientifici, didattici, etc etc ) e forzata ad attrarre iscrizioni con conseguente ingresso di tasse universitarie e fondi pubblici. Solo così sedi palesemente clientelari nel medio periodo perderanno appeal e quindi solsi per andare avanti e pagare stipendi. Chiaramente l’utente dovrebbe essere in grado di valutare in maniera oggettiva la bontà dell’universita presso la quale si iscrive. Questo si può solo fare se si definiscono criteri nazionali di misurazione obiettivi. Questo meccanismo si può reggere benissimo con un sistema a prevalenza pubblica ( modello UK ) o sistema misto pubblico privato ( modello USA ).
Ermanno Nuonno
Purtroppo i concorsi sono un fenomeno italiano che attira sorrisi e scorno dalle universita’ estere che, come ben sappiamo, sono piazzate in una classifica grazie ai punti conquistati in tutti i campi durante il precedente anno accademico e finanziario (basta dare un’occhiata alla "Guide to Universities UK", pubblicato annualmente dal The Times Education per capire subito come funzionano i fianziamenti). E’ chiaro che Oxbridge ha un vantaggio su tutte le altre -basta notare le loro posizioni in campo mondiale – perciò si permettono di assumere chi vogliono, ma sempre dopo un rigorosissimo controllo intellettuale, visto che la loro reputazione ed esistenza dipende dal calibro del personale. Questo è impossibile col sistema dei concorsi dove i risultati possono (ed in Italia sono) pilotati per motivi personali o economici. Quando si avrà il coraggio di cambiare strada allora anche l’Italia avrà un lumicino di speranza per il futuro. Ermanno Nuonno, Londra.
Polimi
Anche a leggere i commenti mi sembra si faccia un po’ di confusione. Concordo pienamente con la proposta di abolire i concorsi, ormai palesemente un sistema fallito. Mi sembra si faccia una pericolosa generilizzazione dicendo che siccome il sistema di reclutamento non funziona, tutti i docenti e i ricercatori che vincono un concorso siano degli incompetenti, cosa palesemente non vera. Bisogna una volta per tutte avere il coraggio di dire che malgrado tutto ci sono Atenei e Dipartimenti che funzionano, anche bene. Non capisco il discorso dei fondi. Da una parte abbiamo i fondi di funzionamento dell’Università, che arrivano dallo Stato, che dovrebbero principalmente premiare la didattica. Su questo punto, penso che si debba avere anche il coraggio di parlare di liberalizzazione delle rette di iscrizione, lasciando gli Atenei liberi di competere per gli studenti migliori. Dall’altra la ricerca si premia un buona parte già da sola: un buon team si finanzia con i bandi pubblici nazionali e internazionali su singoli progetti di ricerca. Basta favorire al massimo la competizione tra i gruppi di ricerca e questo da solo dovrebbe spingere per il reclutamento dei migliori.
Aram Megighian
Sono daccordo con la proposta di Panunzi, tra l’altro coerente con quanto normalmente fatto nelle Università estere, in primis anglosassoni, cui spesso guardiamo. Giuseppe Esposito si pone il problema se il Dipartimento debba "pagare" la cattiva scelta di uno dei suoi membri. LA risposta è si, caro Esposito. E’ esattamente quello che succede ad esempio in USA. Nell’Università di San Diego dove sono stato per un periodo, ricordo che la scelta della persona (dopo i rituali colloqui) era fatta anche da tutto il Dipartimento. Vale la pena avere un Nobel se poi non partecipa alle lezioni ? O un ottimo didatta se poi non porta fondi di ricerca ? Va da sè che il Dipartimento dovrebbe essere una squadra unita e non un’accozzaglia come è ora da noi. La squadra chiede nuovi giocatori assieme all’allenatore. E li chiede se gioca bene. Se gioca male, i giocatori vanno venduti, la squadra deve accontentarsi dei giocatori che ha e potrebbe precipitare in serie B. Semplice, come semplice sarebbe il pieno utilizzo delle risorse del Dipartimento stesso.