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COME USCIRE DAL DUALISMO DEL MERCATO DEL LAVORO

Sono più di ottocentomila i posti di lavoro distrutti nel nostro paese dall’inizio della recessione a oggi. A cui vanno aggiunti i lavoratori in cassa integrazione. Il quadro potrebbe poi peggiorare nei prossimi mesi. E per riassorbire tutte queste persone in esubero servirebbe una crescita sostenuta. Il problema è il dualismo del mercato del lavoro italiano. Una via di uscita l’abbiamo proposta ed è ora diventata un disegno di legge, che il governo non sembra intenzionato a prendere in considerazione. Senza peraltro contrapporre alcuna alternativa.

 

802.128. Sono i posti di lavoro distrutti dall’inizio della recessione (secondo trimestre del 2008) alla fine del 2009 fra i lavoratori italiani (le statistiche sugli immigrati risentono delle regolarizzazione e per questo sono meno attendibili). Secondo le rilevazioni dell’Istat sulle forze di lavoro ci sarebbero poi i 334mila lavoratori in cassa integrazione, molti dei quali a zero ore. Se si divide il numero totale di ore di cassa integrazione per il numero medio di ore lavorate da un occupato a tempo pieno, si può stimare il potenziale numero di lavoratori a tempo pieno in esubero in circa 650mila. Se al posto di ridurre le ore di lavoro beneficiando di contributi dello Stato e delle Regioni, i datori di lavoro licenziassero questi lavoratori, il tasso di disoccupazione dall’8,6 per cento certificato dall’Istat salirebbe all’11 per cento (si veda il grafico qui sotto).

IL DUALISMO DEL MERCATO DEL LAVORO

Il governo continua a ripetere che il nostro mercato del lavoro ha reagito meglio che in altri paesi alla recessione. Vero che da noi la disoccupazione è cresciuta di meno (dal 6,1 all’8,6 per cento) che in altri paesi che pure hanno vissuto recessioni meno forti della nostra. Ma la disoccupazione in Italia è sempre stata meno sensibile al ciclo economico che altrove. Il suo andamento nel nostro paese sin qui è semmai lievemente superiore a quello che ci si sarebbe potuto attendere alla luce dell’esperienza passata. Più precisamente, è leggermente superiore alle previsioni che si ottengono a partire da stime della cosiddetta legge di Okun nei venti anni precedenti la recessione. Queste stime ci dicono anche che l’emorragia di posti di lavoro potrebbe continuare fino all’estate del 2010 (il ritardo fra l’inversione di tendenza nel prodotto e nella disoccupazione è di circa 2-3 trimestri). E non c’è bisogno di stime per capire che per riassorbire le persone in esubero ci vuole una crescita sostenuta anziché un’economia boccheggiante, che cresce a tasso zero.
Ciò che ha reso così pesante finora il conto è il crescente dualismo del nostro mercato del lavoro. Il numero di posti di lavoro con contratti a tempo indeterminato è addirittura leggermente cresciuto dall’inizio della recessione, mentre i posti di lavoro a tempo determinato sono diminuiti dell’11 per cento. Tra le maglie del parasubordinato le perdite sono state ancora più forti: -16 per cento i collaboratori coordinati a progetto, quasi uno su cinque ha perso il lavoro.
Nei prossimi mesi potremmo assistere paradossalmente a un incremento della quota di contratti temporanei in Italia e a una riduzione dei contratti a tempo indeterminato. Questo potrebbe avvenire perché nella grande incertezza che ci circonda, le imprese che assumono lo fanno solo con contratti temporanei. Inoltre, anche di proroga in proroga, la cassa integrazione non può continuare all’infinito. Quindi avremo anche lavoratori con contratti a tempo indeterminato che finiranno in disoccupazione.
Ci vuole una via d’uscita dal dualismo e dalla cassa integrazione in deroga. Da tempo abbiamo avanzato le nostre proposte. Adesso hanno anche la forma di un disegno di legge. Ve lo illustreremo in dettaglio nei prossimi giorni perché è una riforma nata su lavoce.info. Il governo non sembra però intenzionato a prenderla in considerazione. Ci basterebbe che avesse idee alternative alla nostra. Purtroppo, di queste proposte alternative sin qui non c’è traccia alcuna.

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15 commenti

  1. paolo

    Premesso che sono comunista per nascita, lavoro in una piccola società di consulenza. Vediamo le grandi imprese che si rivolgono a noi per coprire le loro punte sempre più asimmetriche. Noi, pur avendo da sempre una lieve crescita che ci consente di aumentare gli indeterminati, non riusciamo però ad assumere tutti i giovani che vogliamo contemporaneamente. Le grandi imprese che si appoggiano a noi sono veramente in situazione analoga? Se assumessero correrebbero rischi di andare a bagno o sono azioni strumentali? In epoca di crisi, ho difficoltà oggi ad incolpare il padrone che licenzia, ma lo incolpo se rifiuta di collaborare al rilancio investendo il più possibile del suo utile nello sviluppo. Non sarebbe possibile inventare qualcosa come associare una qualche detassazione degli utili che vengono investiti un uno speciale titolo di stato dedicato allo sviluppo del lavoro gestito dallo stato? fare lo stesso per la parte "eccedente" degli stipendi "troppo alti"? o gli obblighi liberisti comunitari forzerebbero comunque lo stato non ad assumere, ma a realizzare opere tramite bandi di gara portando il nostro fondo nelle casse di multinazionali magari straniere?

  2. Francesco Bizzotto

    Apprezzo il lavoro dell’autore. Sulla disoccupazione: bisogna dire che al Sud siamo alla tragedia, mentre al Nord già cresce dell’1%. Il Sud deve ridurre il costo del lavoro (è fuori mercato). Sul precariato: l’imprenditore teme che il rapporto con il collaboratore diventi poco produttivo o si guasti. Che diventi un peso morto. Allungare a 3 anni la prova non dà risposta. Più utile è l’idea di Flexsecurity (nuove assunzioni a T.I. con licenziamenti non discriminatori e un sistema di accompagnamento da posto a posto, a carico dell’impresa). Manca flessibilità (pagata di più e controllata) e il coinvolgimento della PA locale (che spende molto per suo conto). Adesso i temi sono due: garantire un reddito alle Famiglie e incrociare Offerta e Domanda di lavori. Non fermiamoci al reddito e leghiamolo alla formazione e all’ accettazione del posto. Per poi andare oltre: creare lo strumento per la mobilità sociale; che tutti (anche i non precari) possano cambiare lavoro e crescere; che si formi un libero, articolato mercato dei lavori. Al Nord già funzionerebbe perchè c’è Domanda (oltre a Offerta). Così svanisce la rigidità (art. 18) e avanza l’emancipazione. Per cos’altro abbiamo lottato?

  3. Mmv

    Ci son due dati che non mi tornano. Gli 800.000 posti distrutti: dalle tavole Istat (tav. 2 delle serie storiche) mi risultano un po’ meno, 659.000 considerando i dati grezzi e 528.000 considerando quelli destagionalizzati. Inoltre per quanto riguarda le collaborazioni (tav.3.6 delle serie ripartizionali), la differenza sarebbe del 18,8% rispetto al IV trimestre 2008, del 14,7% rispetto al II trimestre e del 24,2% rispetto al primo. Che dato avete usato? Perché dite 16%?

  4. eros

    Fa impressione leggere che qualcuno ancora oggi – in una realtà come quella italiana, in cui la qualità della classe politica è miserrima e le sue reali finalità generalmente deprecabili – parli di ulteriori posti di lavoro gestiti dallo stato. Cioè da questa stessa, infima, classe politicante.

  5. Galbiati Luciano

    Alcuni economisti vogliono sostituire le tutele (reali) dell’articolo 18 con un sistema (immaginato) di flexicurity. Tutelare il reddito in luogo del posto fisso è la finalità di questa proposta (scarsemente condivisa dai lavoratori). Insuperabili limiti e problemi sono subito evidenti. La "mitizzata" flexicurity di Svezia e Danimarca è un sistema di welfare molto costoso,che presuppone una pubblica amministrazione efficiente e un contesto socio-economico omogeneo e disciplinato. Ragioni che rendono questo modello non riproducibile in Italia. Insomma, una fiaba nordica. Non solo. Svedesi e Danesi "autoctoni" sono, in maggioranza, inseriti nella cittadella fortificata dei diritti (pletorici e sicuri impieghi pubblici o posti ben retribuiti nelle grandi imprese private). I lavori "flessibili", meno qualificati o più esposti alla competizione, sono lasciati (da tempo) alla manodopera immigrata. Divisione sociale del lavoro dissimulata dalle statistiche macro-economiche. La decantata "mobilità" di tanti giovani scandinavi: una vacanza in Italia con un generoso sussidio di disoccupazione.

  6. GIANLUCA COCCO

    Il CUI ha diversi elementi positivi, tra i quali soprattutto quelli della tutela obbligatoria anche in presenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento e quello della soglia di redditto entro la quale non è consentito. Sarebbe bene, tuttavia, subordinare la riassunzione alla cumulabilità del precedente periodo interroto. Inoltre, l’attuazione di tali norme, in un Paese caratterizzato dagli abusi del potere datoriale, si presta a facili prevaricazioni, quali la mancata erogazione del reddito minimo previsto. Pertanto, è fondamentale rinforzare significativamente la rete dei controlli a tutela dei lavoratori. Inoltre, sarebbe opportuno intervenire con un’ulteriore norma che sancisca un vero e proprio diritto di precedenza del lavoratore che ha subito l’interruzione del rapporto, tranne nei casi di licenziamento disciplinare. In ogni caso, il DDL presenta forti novità a tutela del precariato e sorprende il fatto che provenga da esponenti che fanno riferimento allo schieramento del centro-sinistra, che più degli altri ha precarizzato il nostro Paese.

  7. Roberto Arnaldo

    Vorrei chiedere all’autore dove ha preso il dato di piu’ di 800.000 mila posti distrutti dall’inizio della recessione. A me, dai dati ISTAT, risulta che i posti di lavoro persi dall’aprile 2008, dove si era raggiunto il picco di 23 milioni e 522 mila occupati, fino al gennaio 2010, dove si é raggiunto il minimo per ora di 22 milioni e 904 mila circa, dovrebbero essere all’incirca intorno ai 618 mila. Mi piacerebbe sapere da che fonte arrivano invece i suoi dati, grazie.Tra l’altro siamo tornati al livello del 2006,quindi non certo ad un livello cosi’ disastroso e devastante. Con cio’ non voglio dire che la cosa non sia un problema, ma che occorre comunque fare valutazioni un po’ piu’ ampie e che tengano conto delle evoluzioni, senza farsi prendere dall’eccitazione del sensazionalismo. Il problema dei bassi tassi di occupazione e di attività in Italia c’è anche ben prima della crisi e il fatto che comunque davanti alla piu’ grande crisi da molti decenni,per ora,la situazione è ancora accettabile.

  8. Studente Economia

    Documento ISTAT sulla forza lavoro del IV trimestre: dalle tabelle risulta che nel II trimestre 2008 gli occupati erano 23.435.000 mentre nel IV trimestre 2009 erano 22.906.000, ergo diminuzione di 529.000 e non di piu’ di ottocentomila come dice lei. E non credo che, comunque, il problema della perdita di occupati sarebbe stato meno impattante con la soluzione da voi proposta: il lavoro sarebbe mancato comunque, essendo diminuita la produzione, e si sarebbe utilizzata comunque la cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga, a meno che non proponiate la loro abolizione e un sussidio di disoccupazione generalizzato al che, al contrario, gli occupati sì che sarebbero diminuiti ancor di piu’. Certo,ora occorre vedere come evolveranno nei prossimi 3 anni la produzione e il PIL per vedere quanti dei cassaintegrati potranno essere riassorbiti completamente nel ciclo e quanti, se non si allungheranno le casse integrazioni, saranno espulsi dal loro posto di lavoro.Ma il punto fondamentale non sono le forme piu’ o meno di tutela,ma comunque un sostegno al reddito e far ripartire in maniera decisa l’economia altrimenti nessun sistema di ammortizzatori sociali potrà impedire la perdita di posti.

    • La redazione

      Gli 800.000 posti distrutti si riferiscono solamente ai lavoratori italiani. Abbiamo sommato al dato destagionalizzato (583.000 posti distrutti) i circa 219 mila posti creati di lavoratori stranieri. La differenza tra i 528.000 citati dal lettore e i 583.000 usati nell’articolo è causa di una discrepanza tra i dati della serie storica e il comunicato ufficiale del II trimestre 2008: dalla prima si ricava 529 mila, dal secondo 583 mila.
      Per quanto riguarda l’ osservazione, sollevata da un’altro lettore, sulle collaborazioni, il 16% si deduce dalla variazione nel periodo II trim2008-IVtrim2010 dei collaboratori coordinati + prestatori d’opera occasionali.

  9. Studente di Economia

    E non li contiamo gli occupati stranieri?Sono di serie B?Non sono posti creati dall’economia italiana?Direi che una volta per tutte occorrerebbe chiarire questo modo di fare analisi piu’ volte ho letto questa cosa,si parla di mere regolarizzazioni,di iscrizioni anagrafiche ho come la sensazione che si vogliano forzare le cose a tutti i costi.Allora,chi mi dice che magari una parte dei posti persi regolari,non siano diventati irregolari,magari aumentando l’occupazione sommersa?Si puo’ dire tutto e il contrario di tutto allora.Sapevo che mi avrebbe risposto cosi’,la mia domanda era proprio per far emergere questa questione che lei nell’articolo ha artatamente non specificato,cosa che invece avrebbe dovuto fare.E se le regolarizzazioni fossero state di lavoratori italiani sommersi,la cosa era diversa?Mi dia spiegazioni palusibili del perche’ occorrerebbe trattare in maniera diversa gli occupati stranieri e perche’ si parla di mera iscrizione anagrafica:significa che erano lavoratori irregolari?E allora chi mi dice che quando l’occupazione aumentava non fosse in larga parte solo frutto di assunzioni di persone che lavoravano prima in nero?

    • La redazione

      Gli immigrati vengono inclusi nelle statistiche solo se iscritti all’anagrafe. Quindi gli irregolari non vengono rilevati. Ogni qualvolta c’è una regolarizzazione il campione delle forze lavoro comincia a rilevare occupazione di persone che erano già in italia e che non erano state rilevate solamente per le ragioni di cui sopra. Quindi si osserva un incremento dell’occupazione che non c’è stato. Questo fatto rende poco attendibili le statistiche sulla variazione dell’occupazione sugli immigrati. Credo di non poter essere accusato di considerare gli immigrati lavoratori di serie b.

  10. matteo alpino

    Qualche giorno fa è uscito un post su noiseFromAmerika in cui Andrea Moro commenta (più che altro critica) la proposta di legge dei senatori del PD riguardo al contratto unico. Mi piacerebbe sapere cosa pensa delle obiezioni sollevate da Moro.

  11. Davide Imola

    Leggendo il testo di legge sul Contratto Unico di Ingresso viene spontaneo dire che le operazioni di riscrittura dei diritti del lavoro dovrebbero almeno avere la decenza di non essere spacciate per un aiuto ai precari. Nella proposta, infatti, rimangono tutte le forme di lavoro precario oggi presenti senza apportare nessun correttivo al loro utilizzo “truffaldino”. Si amplia l’utilizzo dei Contratti a termine (oggi oltre 2 milioni e trecentomila) introducendo anche la bizzarria di un criterio di reddito a giustificazione del termine (si può fare sopra i 25mila euro riproporzionati per i part time). A questo si aggiunge il Contratto Unico di Ingresso come nuova forma di precarietà all’armamentario già esistente. Il Contratto Unico di Ingresso assomiglia, per taluni aspetti, alle proposte sulla flexsicurity ma solo con la flex e senza la parte security costituita dal percorso di ricollocazione al lavoro, dalla formazione e dall’estensione degli ammortizzatori. Ci sono altri punti deboli come il salario legale sovrapposto o alternativo a quello contrattuale o l’assunzione dei parasubordinati che poi possono essere licenziati con il Contratto Unico di Ingresso.

  12. Franco GIUSLAVORISTA

    Bisognerebbe, a mio parere, fare il possibile, adesso, per rimediare alla terribile…ingenuitàI dell’introduzione massiccia del lavoro a termine nella legislazione italiana. Legislatori e giuslavoristi avveduti avrebbero dovuto in quelle occasioni -a meno che qualcuno non fosse in mala fede- prevedere gli infausti effetti che sarebbero derivati ai lavoratori lasciati in mano allo sfruttamento di imprenditori privati e/o pubblici alieni dall’aver metabolizzato il concetto di responsabilità sociale dell’impresa.E l’unico modo di salvaguardare il più debole -il lavoratore- era ed è quello di imporre una retribuzione minima per la stipulazione e l’efficacia del contratto. Il parametro poteva e può essere preso, per legge – come si è fatto, ad esempio, per il calcolo del reddito base su cui calcolare i risarcimenti per invalidità nei danni da responsabilità civile obbligatoria nella circolazione degli autoveicoli. Credo che soltanto da una precisa difesa di linea reddituale si possa garantire al mercato del lavoro di non divenire di volta in volta e a seconda dell’ingordigia dei prepotenti, mercato di serie "b", "c", "d", dilettanti e…schiavi.

  13. Franco GIUSLAVORISTA

    Non mi stancherò mai di ammonire e di pensare che l’introduzione sempre più massiccia, nella legislazione italiana sul lavoro, dei contratti a termine senza una contemporanea appostazione di barriere di garanzia a tutela e difesa dei diritti acquisiti dai lavorator,i crea un vortice sempre più profondo di diseguaglianza e incomunicabilità sociale dalle disastrose conseguenze. Infatti in un sistema capitalistico quale quello dell l’Italia d’oggi, il fine del profitto – di "nicchia" o di struttura che sia- allontana sempre più la produzione dalla soddisfazione dei bisogni primari della popolazione e la cura di quei bisogni resterà affidata alla misericordia di qualche "convertito" o alla complice mediazione di enti ipocriti finchè gli stessi, guerre comprese, riusciranno a celare la realtà alle coscienze degli uomini. Contro questa catastrofica deriva devono muoversi le forze vitali del pensiero e del lavoro, imponendo ad ogni passo le barriere di rinegoziazione e di restituzione del lavoro estorto e ricapitalizzato sulle spalle dei lavoratori. Ad ogni passo vuol dire: welfare, cassa integrazione, fisco, istruzione, sanità, concessioni, difesa, banche: barriere!

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