Secondo l’Ires-Cgil negli ultimi dieci anni i lavoratori italiani hanno perso 5.500 euro per colpa dell’inflazione. Nostri calcoli dicono che non è andata così. Anzi, il potere d’acquisto dei lavoratori è oggi leggermente aumentato rispetto a quello di dieci anni fa. Questo non cancella il fatto che in Italia esista una questione salariale. Ma i bassi salari non sono colpa dell’inflazione, bensì della bassa produttività. Ed è questo il problema che si dovrebbe pensare a risolvere.
Secondo l’Ires-Cgil i lavoratori italiani per colpa dell’inflazione hanno perso 5.500 euro negli ultimi dieci anni. Secondo noi non è andata così. Anzi, dai nostri calcoli emerge che il potere d’acquisto dei lavoratori è oggi leggermente aumentato rispetto a quello di dieci anni fa. Questo non cancella il fatto che in Italia esista una questione di bassi salari. Ma i bassi salari non sono colpa dell’inflazione, bensì della bassa produttività.
SALARI E INFLAZIONE
3.384 euro: è la cifra che i lavoratori Italiani avrebbero perso negli ultimi dieci anni in termini di potere d’acquisto secondo lo studio Ires-Cgil ripreso ampiamente dai media nazionali nei giorni scorsi e basato su una rielaborazione dei dati Istat che depura dal contributo della componente irregolare. Più precisamente: si tratta di 3.384 euro persi nelle retribuzioni (al netto dell’inflazione), a cui vanno sommati i 2.069 euro persi a causa del drenaggio fiscale (l’aumento di tassazione indotto dall’inflazione). Il totale fa 5.453 euro.
Grazie alla segnalazione di un lettore abbiamo verificato i calcoli fatti dall’Ires su salari e inflazione ed effettivamente qualcosa non torna relativamente ai 3.384 euro persi.
La fonte dei dati utilizzati è l’Istat (Conti economici nazionali 2009) in cui viene riportata la serie storica delle retribuzioni lorde a prezzi correnti per unità di lavoro dipendente dal 1970 al 2009. (1)
Per capire la variazione delle retribuzioni reali basta convertire il valore del 2000 in euro del 2009 attraverso le tavole di rivalutazione fornite dall’Istat, e a quel punto calcolare la variazione percentuale delle retribuzioni, in termini di potere d’acquisto, nel periodo preso in esame. L’esercizio dà un risultato molto diverso da quello indicato nella presentazione Ires.
L’aumento percentuale delle retribuzioni tra il 2000 e il 2009 in termini reali, infatti, è +8,5 per cento, che corrisponde a un incremento di 2.149 euro (in euro del 2009). Anche utilizzando l’Indice Armonizzato dei Prezzi al Consumo si otterrebbe un aumento di 6,6 punti percentuali. Un bel più, non un brutto meno. (3)
Il minimo che si può dire è che depurare i dati dalla componente irregolare modifica di molto il risultato.
Non solo: si vede anche che durante la crisi il potere d’acquisto dei lavoratori – di quelli che il lavoro ce l’hanno ancora, ovviamente – è aumentato di un paio di punti percentuali. I salari nominali sono cresciuti in funzione dell’inflazione passata, mentre l’inflazione corrente era in diminuzione a causa della crisi: ecco perché i salari di chi ha conservato il lavoro e non è finito in cassa integrazione hanno continuato a crescere in termini reali anche nel 2008-09.
PERCHÉ I SALARI ITALIANI SONO BASSI
Sulla base dei dati disponibili e tenendo per buono il calcolo relativo al drenaggio fiscale, si deve ritenere che, al contrario di quello che conclude l’Ires-Cgil, il potere d’acquisto dei salari in Italia non è diminuito, anzi è un po’ aumentato negli ultimi dieci anni.
Certo, la situazione delle retribuzioni in Italia è tutt’altro che rosea: di sicuro, i salari non sono aumentati abbastanza da colmare i divari esistenti rispetto agli altri paesi. Da molti anni esiste una forbice tra salari netti e lordi. Il salario netto (quello che, al netto delle ritenute, va in tasca ai lavoratori) è basso: ad esempio, lo stipendio netto di un lavoratore single italiano era nel 2009 pari a circa 18.500 euro l’anno, poco più di mille cinquecento euro al mese. (4) Su questa base, l’Ocse nel suo rapporto Taxing Wages concludeva che un lavoratore italiano è al ventitreesimo posto (su trenta) nella classifica degli stipendi dei paesi più ricchi del mondo. Ovviamente dietro alla Francia, alla Germania e al Regno Unito; un po’ meno ovviamente, dietro alla Spagna e, addirittura, per ora, dietro alla Grecia. Non si sbaglia molto se si dice che peggio dei nostri lavoratori stavano (e stanno) solo i portoghesi, i messicani e i turchi.
Perché i lavoratori italiani guadagnano così poco? Di sicuro, pagano alte tasse sul lavoro. Sempre l’Ocse ci dice che le tasse sul reddito e i contributi a carico del lavoratore sono il 29 per cento del salario lordo per un lavoratore single e il 22 per cento per un lavoratore sposato con un coniuge che non lavora, contro una media Ocse, rispettivamente, del 25 e del 20 per cento. Ma questo contribuisce a spiegare solo il divario di salario degli italiani rispetto ai lavoratori Ocse non europei: americani, canadesi, neozelandesi e messicani pagano tasse e contributi più bassi. Tedeschi e francesi invece pagano allo Stato anche più degli italiani. Nel confronto con tedeschi, francesi e, più in generale, con il resto dell’Europa è la differenza di produttività che tiene bassi i salari italiani, non il carico fiscale. In Germania il valore aggiunto per occupato nel settore manifatturiero era 67.490 euro nel 2008 (dato pre-crisi). In Italia, nello stesso anno, era pari a 51.535 euro. A una produttività manifatturiera più bassa del 24 per cento corrisponde un salario (lordo) manifatturiero più basso del 22 per cento. E la differenza non deriva dal fatto che le nostre aziende sono meno brave di quelle tedesche, ma solo dal fatto che sono più piccole. I dati Istat relativi al 2007 mostrano che le piccole e micro imprese italiane pagavano ai loro dipendenti stipendi lordi di 17mila euro e avevano una produttività per occupato di 30mila, mentre le imprese medio-grandi potevano permettersi di pagare stipendi di 30mila euro a fronte di livelli di produttività di 56mila euro per addetto.
Hanno ragione i lavoratori a lamentarsi perché fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. Ma utilizzare procedure poco trasparenti per analizzare i dati disponibili come ha fatto l’Ires non aiuta certo a risolvere la questione salariale in Italia. Per capire come si fa a indurre le nostre aziende a pagare stipendi tedeschi ai lavoratori italiani sarebbe meglio sedersi al tavolo dove si parla di produttività con qualche proposta pratica in testa.
(1) Per i nostri calcoli ci siamo concentrati sul periodo 2000-2009 (tavola 28 e 44 rapporto Istat del 13 agosto 2010), contrariamente a quanto fatto dall’Ires che utilizza il periodo 2000-2010. Questa scelta, fatta per utilizzare dati certificati di consuntivo evitando dati previsionali (tra l’altro, quali previsioni?), non può sicuramente essere causa dell’incongruenza tra i nostri calcoli e quelli dell’Ires. Per il 2010, infatti, l’Ires prevede un aumento delle retribuzioni superiore a quello dell’inflazione.
(2) Ula: unità lavorative standard, cioè il numero medio mensile di dipendenti occupati a tempo pieno durante un anno. I dipendenti a tempo parziale e quelli stagionali, inclusi nel calcolo, rappresentano frazioni di Ula.
(3) Peraltro la cosa era intuibile anche senza fare i conti, solo dai grafici della presentazione Ires e dalle percentuali riportate tra le slide 29 e 31, dalle quali si vede subito che le curve delle retribuzioni, sia lorde che nette, sono cresciute più dell’inflazione.
(4) Salario medio netto annuo di un lavoratore single senza figli (fonte: Ocse, Taxing wages 2009).
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PDC
Interessante analisi, ma mi chiedo: la produttività sulla base di quali dati è calcolata? Se i salari considerati sono corretti per la "componente irregolare" (cioè per la componente pagata in nero suppongo) lo sono anche i fatturati delle aziende? Quanto sono credibili?
Lucio Zaltron
Le elaborazioni sui numeri dimostrano come la teoria applicata dall’Istat non sia rispondente alla realtà dei fatti! La differenza fra l’inflazione reale e quella percepita è un dato di fatto che dimostra come i sistemi di calcolo attuali sono sbagliati (volutamente?). Affermare che il potere d’acquisto sia addirittura aumentato è una presa in giro per tutti gli italiani che devono campare di solo onesto salario. Bisogna quindi rivedere il paniere, i pesi e quant’altro sia necessario e corretto per ottenere un giusto valore!
Marcello Graziano
Bel post, specialmente perche’ sposta l’attenzione sulla questione dimensionale e produttiva delle imprese. Ritengo che la misura delle nostre imprese abbia certamente impatti negativi tanto ulla produttivita’, quanto sulla ricerca, sebbene questa, anche negli USA, dove lavoro, sia fatta per lo piu’ e sempre con fondi pubblici (seppure cambiando i soggetti riceventi il denaro).
mirco
Io non so chi ha ragione, ma so per certo che prima dell’euro con 2.500.000 lire nette in busta come lavoratore single non potevo lamentarmi oggi con 1.500 euro non ce la faccio. Il gas, la luce, le spese per la casa sono identiche sia che stia da solo, sia che abbia moglie e figli. Questa polemica sul quoziente familiare è speciosa. Poi sulla questione dell’inflazione, mi dispiace, ma per le spese di prodotti fino a 200 euro (bar, caffe, ristoranti, treno) le spese sono molto lievitate. Da single oltre ad avere visto lievitare il pasto fuori casa (uno che lavora a mezzogiorno se non ha la moglie o la nonna che gli prepara il pranzo….) se decido di fare la spesa non trovo le porzioni da single e spendo molto di piu (un po’ di insalata gia preparata a 30 euro al kg) roba da matti! E io come devo fare? Non ho il family day con cui manifestare.
Alessandro M.
Una considerazione su una frase dell’articolo "..meglio sedersi al tavolo dove si parla di produttività con qualche proposta pratica in testa". Gli autori hanno in testa qualche proposta "pratica"?
Grazia
A sentimento, da lavoratore dipendente tutt’ora occupata, trovo i conti di Basso Daveri sensati. Mi resta l’amarezza di un discredito per l’Ires che pure ha visto tra i suoi collaboratori persone come Sabino Cassese. Ma tant’è … coerente alla bassezza dei tempi. Grazie per fare a tutti le pulci.
davide guerra
Sia i calcoli Ires, sia i vostri si basano sull’inflazione calcolata dall’Istat. Che come ogni persona che non viva sulla luna sa che è del tutto falsa. Mi domando dove viviate voi. Ci andate ogni tanto a mangiare una pizza? Vi sembra che il prezzo sia paragonabile a quello che pagavate prima dell’introduzione dell’euro?
Andrea Fumagalli
Solo una breve annotazione con domanda. Perchè la retribuzione del lavoro è calcolata per Unità di lavoro standard (Ula) e non per addetto (cioè occupato in carne ed ossa, ovvero noi)? Negli ultimi anni, la dinamica delle Ula è stata di gran lunga inferiore alla dinamica degli occupati, in seguito alla sostituzione di lavoro tipico (appunto standard) con lavoro atipico (ovvero precario). Il numero degli addetti è aumentato ad un taso più che doppio di quello delle Ula (1 milione e poco più di occupati in più circa contro 200.000 Ula, se non ricordo male, nel periodo 2001-2007), fino a chè non è subentrato la crisi, Se dovessimo dividere il monte salari complessivo (definito dalle retribuzioni di fatto) non per le Ula ma per gli addetti, il quoziente avrebbe probabilmente una dinamica di gran lunga più contenuta, essendo nel tempo aumenato il denominatore del rapporto. Purtroppo mi trovo in questo momento nell’impossibilità di far riferimento a dati reali, ma sarei propenso a credere che la dinamica delle retribuzioni per addetto (scontando anche il precariato) abbia avuto nel corso degli ultimi dieci anni un andamento molto inferiore a quello prospettato dagli autori.
Francesco Ferrante
Di chi è la colpa? Solo dei meccanismi di contrattazione? Troppo semplice. La piccola dimensione delle imprese nasconde cause ben più importanti, legate alla struttura produttiva e imprenditoriale: 1) bassa attività di investimenti in capitale umano 2) bassi livelli di investmento in formazione, soprattutto in entrata 3) modelli organizzativi inadeguati basati sulle centralizzazione, il paternalismo e il familismo 4) ridotti investimenti in ICT 5) ridotti livelli di capitale umano degli imprenditori Nellambito della categoria imprenditori, dirigenti ed esercenti, composta per la quasi totalità da imprenditori, gestori e responsabili di piccole imprese, la quota di coloro che sono in possesso della licenza di media era nel 2005 del 41,8% contro una media dellU.E. a 25 del 18,1% [Istat, 2006]. Le semplificazioni non aiutano!
Giovanni
Sarebbe utile distinguere i salari a seconda dei settori produttivi, infatti nei settori maggiormente concorrenziali nell’economia del mercato interno i salari sono purtroppo bassi da potere essere equiparati a quelli che caratterizzano il lavoro nei Paesi in via di sviluppo (vedi Cina) esport-oriented. In altre parole la maggiore competizione delle merci importate rende i settori dipendenti dalla domanda interna più esposti a rischi commerciali tale per cui il costo del lavoro si tende a minimizzarlo e quindi minori salari.
Marziano Sgro'
se consideriamo il netto per la sola irpef si ha circa: netto 2000 =E 20.862-E 3.532 = E 17.329 rivalutato al 2009 è pari a E 21.625 netto 2009 =E 27.310 – E 56.273 = E 22.036.
Marziano Sgro'
Considerando solo l’effetto dell’Irpef si ha (netto 2000) = 20.862 – 3.450 = 17.329, rivalutato al 2009 con il vs. indice di rivalutazione è pari a 21.622 (netto 2009) = 27.310 – 5.274 = 22.036, (praticamente uguali) . Poi bisogna considerare il notevole aumento delle tasse locali e vari balzelli locali o nuovi o molto aumentati: rifiuti, multe..ecc….,
Stefano Copetti
Non sono molto convinto dell’analisi dei due autori, io ho visto il mio personalissimo potere d’acquisto scemare via via nel tempo, tanto che adesso fatico a mantenere una famiglia nonostante ci siano due stipendi che entrano in casa. Per quanto riguarda la produttività, poi, legare questo indice al salario del lavoratore è fuorviante. La produttività è risultato di diversi fattori, fra cui il progresso tecnologico, l’elevata automazione dei processi, la scelta di mercati ad alti margini, etc. Se invece di lamentarci della busta paga troppo alta (al lordo o al netto che sia) di un operaio che scava buche con la paletta da spiaggia gli forniamo uno scavatore e gli aumentiamo la paga, vediamo che la produttività cresce enormemente: come la mettiamo? Che non sia forse colpa della struttura industriale asfittica italiana, con un IT che fa pena, con spese di R&D del privato che sono ai minimi nei confronto europeo?
G_Gamba
Ma cos’è la componente irregolare dei dati sui salari? Se, come sostiene uno dei commenti, è la quota di retribuzioni in nero (brava questa ISTAT che riesce a quantificare quello che non vede il fisco!) allora ha anche ragione, sempre lo stesso commentatore, che anche i dati di produttività dovrebbero essere rivisti tenendo conto del volume di prodotto "sommerso". Sulla produttività, i suoi metodi di calcolo, il suo significato, cause e determinanti sostanziali ci sarebbe bisogno di uno speciale che chiarisse che non si tratta solo di volgia di lavorare o di dimensioni delle imprese, ma anche di efficacia organizzativa, contenuto di innovazione dei prodotti e dei processi, investimenti in ricerca, di valore aggiunto e posizionamento nella catena del valore delle produzioni, ecc. ecc.
Antonio ORNELLO
Eh, no, eh! Se non aveste fatto i vostri calcoli, vi sareste accorti che non soltanto l’inflazione ma le flessibilità e precarietà lavorative hanno fatto trasmigrare quei 5.500 uro dai dipendenti ad imprenditori, commercianti, professionisti, politici, evasori fiscali e mangiaasbafodichiproduce; quando poi si sopravvive per 41 anni a queste bastonate, anche molti versamenti previdenziali fanno la stessa fine, a causa di leggi palesemente incostituzionali. Di queste ultime, sì, bisognerebbe parlare! Perciò non intestarditevi a fare calcoli strani, che abbassano persino la vostra, di produttività; piuttosto, abbiate uno scatto di dignitoso orgoglio e cambiate visione dell’argomento.
Donty
Certo che non è colpa dell’inflazione, dato che questa è calcolata su un paniere di beni discutibile e comunque molto incompleto. E’ certamente colpa di qualcos’altro. Non m’interessa se l’inflazione dichiarata è pari al 2 o 3% se poi il corso di nuoto dei figli aumenta del 25% in due anni, i libri di testo lievitano ogni stagione, tasse scolastiche, abbigliamento e calzature idem (non stiamo a guardare le cineserìe che costano 3 euro al pezzo e durano da Natale a Santo Stefano, io non le compro per varie ragioni, in primo luogo perché non so con quali sostanze tossiche sono state fabbricate). Io so che faccio fatica ogni mese e sono un quadro aziendale con oltre trent’anni di anzianità e 35 totali di lavoro, mio marito idem. I miei colleghi di 20 anni fa facevano la vita da nababbi al mio confronto. E non siamo scialacquoni, risparmio benzina andando spesso a lavorare in bicicletta (30 km/dia), non andiamo a sciare, ecc. Però i soldi sono sempre meno, questo è il dato di fatto che conosco.
Carlo Catalano
La differenza sostanziale sta nel fatto che le Tavole di rivalutazione fornite dall’Istat indicano un coefficente di rivalutazione, per avere nel 2009 l’equivalente di 1 euro di potere d’acquisto del 2000, dell’8,5%. Cioè 1,085 euro del 2009 equivalgono a 1.936,27 lire del 2000, ossia se avevi 50.000 lire in tasca nel 2000 nel 2009 per fare le stesse cose ti bastano 28,00 euro. Per semplificare evidenzio che nel 2000 andavo mangiare la pizza pagando circa 15.000 mila lire a testa ed oggi nella stessa tipologia di pizzeria, ben che vada, pago 10 euro a testa cioè circa il 30% in più. Inoltre sarebbe opportuno calcolare come ha gravato il drenaggio fiscale con un coefficente di rivalutazione più aderente alla realtà di quell’8,5%. Il drenaggio fiscale reale è l’unica chiave di lettura che secondo me permette di fare passi avanti nel dibattito e di risolvere la questione economica attraverso la politica fiscale. Badate che il peso fiscale in termini reali negli ultimi 20 anni si è ridotto drasticamente sui redditi elevati ed è cresciuto enormemente sui redditi medi ed è questo che ha drasticamente ridotto i consumi generando la crisi. Occorre ridare potere d’acquisto ai redditi medi.
GG
Si sono fatti patti per l’italia e tanti altri ma con questi sindacati che pensano come 20 anni fa non si va da nessuna parte.
francesco scacciati
Quale sia stata l "inflazione reale" (massimo ossimoro nella terminologia economica dei mass-media) nel passaggio tra lira ed euro rimarrà probabilmente uno dei tanti mistreri dItalia irrisolti. Dalla tabella riportata linflazione 2002/2001 sarebbe dello 0,1%, mentre 1 euro = 1000 lire (inflazione al 100%) era la sensazione diffusa. Soprassediamo. Curioso poi il fatto che se a un lavoratore abbassano lo stipendio fa media, se lo licenziano, no! Quello che importa veramente è landamento del monte salariI, e nellultimo ventennio cè stato un calo drammatico della quota dei salari sul PIL nei paesi dellOECD (OECD, Structural Analysis Database): in media è passata da quasi il 60% a poco più del 50%. Gli effetti di tutto ciò si sono visti nel 2008, e se non si pone rapidamente rimedio il bello ha ancora da venire.
Armando Rinaldi
Buongiorno, strana gente questi italiani, i loro salari sono in costante ascesa ma ciò nonostante i consumi sono in calo da una decina di anni … forse bisognerebbe mettere in relazione l’evoluzione dei salari con l’italica furbissima equiparazione automatica dei prezzi in lire con i prezzi in euro.
Marco Marroni
Assolutamente incontrovertibile il fatto che le retribuzioni contrattuali e orarie siano – nella stragrande maggioranza dei casi – salite più dell’inflazione nel periodo 2000-2009. E sarebbe vero anche se si allungasse l’analisi al periodo 1993-2009, dopo i primi anni di compressione salariale (1994-1996). In alcuni settori in crisi, invece, o con particolari situazioni di congiuntura internazionale ciò non è stato. Seguendo il settore dei servizi, ad esempio, turismo e vigilanza privata hanno perso potere d’acquisto, ma in misura limitata. Ciò su cui ha ragione l’IRES è che il prelievo fiscale sulle retribuzioni è cresciuto, ma soprattutto a causa delle imposte locali (comprese le addizionali), che per di più spesso non sono progressive, il che penalizza ovviamente soprattutto i redditi inferiori. In uno studio che ho fatto per il sindacato per cui lavoro si evince che l’accresciuto prelievo fiscale riesce a dimezzare in taluni casi l’incremento percentuale delle retribuzioni monetarie.
Roberto C.
Mi chiedo però come sia possibile riuscire a stimare certi valori economici senza suscitare critiche. Cambia tutto, cambiano gli stili di vita: io nel 2000 non avevo ancora in tasca un cellulare. Come confrontare il costo della vita di allora con quello attuale? L’ISTAT non è affidabile? L’Ires nemmeno? Basso e e Daveri … ci avranno azzeccato??? Qualche certezza però ce l’ho: il drenaggio fiscale, lui sì che esiste!! Su questo è più facile farsi un’idea: all’alba della mia carriera lavorativa pagavo al fisco circa il 20%, oggi supero il 30%. Per non parlare, poi, dei contributi assicurativi …
Massimo Parisi
Temo che, alle statische quantitative, manchi un aspetto importante: la cosidetta qualità. Dico questo perché spesso un forzato spostamento nei consumi viene dichiarato qualitativamente superiore. Hanno ragione i Signori che hanno portato come esempio il costo della pizza; e se qualcuno mi spinge oggi a gustarne una al sapore di salmone mentre ieri era solo margherita, ho ‘teoricamente’ fatto un salto di qualità che la statistica quantitativa non rileva. Voglio dire molto semplicemente, di un argomento complicatissimo, che il non sempre reale miglioramento dei prodotti e dei servizi offerti e le forzatissime poco utili innovazioni quasi mai ritornano positivamente sul lavoro ma sempre più sul capitale (diretto o inderetto che sia). Voglio portare due esempi: la nutella! Un prodotto di eccellenza che gustiamo da anni a tutte le età. Il telefonino! Un prodotto di eccellenza che siamo spinti continuamente a sostituire con scarsissimo valore aggiunto e che richiede sempre maggiori intensità e velocità di capitale. In questi contesti la Gente (io primo) fa sempre più fatica ha percepire un aumento quantitativo che comunque calcolato di fatto non esiste o viene bruciato trasversalmente..
Avv. Marco Bidorini
Il sindacato lamenta che i salari dei lavoratori italiani sono i più bassi d’Europa. Mi domando se questo non certifichi il fallimento dei sindacati italiani che non hanno certo difeso gli interessi economici dei lavoratori.
Franco
L’articolo è interessante ma la discussione e i commenti sono frenati a monte se non ci si chiarisce su cosa s’intende per produttività. Se per questa s’intende l’aumento di valore del prodotto nella stessa unità di tempo lavorativa, allora bisognerà analizzare i comportamenti di tutte le componenti del processo produttivo. Se, invece, l’accento e la…colpa vengono caricate solo sul costo della mano d’opera, oltre a compiere un’analisi poco scientifica si cade nella assurdità di conclusioni sui migliorato potere d’acquisto, smentite anche dalla più…moderata analisi dei consumi. Oltre che da ogni massaia/o.
Armando Pasquali
Frequento da tempo con un certo diletto un forum dedicato a questioni economiche. I partecipanti hanno chiaramente diverse posizioni, riferibili in genere alla destra e alla sinistra, nelle loro articolazioni tradizionali o anche eterodosse, ma c’è un argomento, guarda caso l’unico, in cui esiste una convergenza assoluta delle opinioni di tutti: i dati dell’Istat sull’inflazione non sono veri. I casi sono due: o la gente soffre di un’allucinazione collettiva, o gli economisti vivono in un altro universo (o più semplicemente, non sono loro che vanno a fare la spesa.)
Marchetti Sergio
Usando i Vostri indici di conversione ho fatto due conti sulla mia pensione lorda che è passata da 21778 nel 2000 a 26637 nel 2009,esprimendola in del 2009 è passata da 26266 nel 2000 a 26637 nel 2009, cioè è crescita dell’1,4%.Il fiscal drag nello stesso periodo mi è costato 6250 (del 2009) e perciò il mio potere d’acquisto è diminuito dell’1,8%.Occorrerebbe anche computare che nello stesso periodo è crescita l’Irpef regionale e Comunale e la tassa sui rifiuti.
Marco
L’inflazione Istat è, come ampiamente noto e dimostrato, una buffonata (a partire dal paniere di riferimento, passando dal gap nord-sud, continuando col nero imperante per finire ai discutibili metodi di raccolta dati). Avendo un dato dell’inflazione praticamente inventato che valore possono avere calcoli & analisi? Certo dare addosso alla CGIL oggi come oggi paga bene, parlare di "scarsa produttività" è molto di moda; mi chiedo però come si possa pensare che la produttività dipenda dai lavoratori ma non dall’organizzazione del lavoro (padronale e ottocentesca), dal valore aggiunto delle merci prodotte (prodotti tecnologicamente avanzati si vendono a prezzi più alti, aumentando la produttività a monte), da tanti altri fattori che c’entrano molto con la classe dirigente e molto poco con gli operai. Poi in fondo penso che nessuno azzanna la mano del padrone, sarebbe sciocco aspettarselo dagli economisti… Regards P.S. Un’obiezione "tecnica": perché in questi calcoli sul potere di acquisto si prende per buono un dato inflattivo che incorpora anche gli acquisti delle aziende? Che il PVC costi meno di dieci anni fa, col potere d’acquisto dei lavoratori, che diavolo c’entra?
Valerio
Buongiorno, ho trovato questo articolo molto interessante e…ahimè… realistico. Mi piacerebbe sapere come viene calcolato il valore aggiunte per lavoratore. Insomma quali fattori concorrono al calcolo di 60mila piuttosto che 50mila euro.
Marino
Consiglierei un’occhiata a questo commento su noise: in particolare i commenti di Boldrin e quello firmato Lallo del 5 ottobre che sostiene che i dati Ires sono corretti a parte qualche piccola divergenza sugli arrotondamenti, e che paradossalmente in una crisi i salari nominali sembrano aumentare perché vengono licenziati per primi quelli con i salari più bassi, di solito meno qualificati e più facilmente sostituibili.
giulio
"…dai nostri calcoli emerge che il potere dacquisto dei lavoratori è oggi leggermente aumentato rispetto a quello di dieci anni fa." I vostri calcoli sono sbagliati. Di più sbagliato ancora ci sono solo le alchimie pseudo-statistiche dell’Istat.
bob
In Francia una maestra di sostegno che lavora tre giorni a settimana prende circa 2000 euro e una pizza margherita costa 6 euro. In Italia neanche un Preside prende tanto e la margherita costa uguale. La risposta scontata è " ma l’ Italia ha alto debito pubblico". La risposta banale potrebbe essere " vediamo come si è generato e come si genera tuttora". La Francia è un Paese centralista per eccellenza, l’ Italia oggi è una "repubblica federale" non aggiungo delle banane perchè fin troppo banale.
Antonio
Si provi a calcolare quanti anni di salario medio netto ci vogliono per comprare una casa in Italia: 15 anni! Il problema non è l’inflazione, intesa come aumento del’indice generale dei prezzi, ma un cambiamento epocale nei prezzi relativi (del lavoro, del settore immobilare, dei beni di consumo più o meno esposti alla concorrenza asiatica, dei servizi etc). In questa battaglia dei prezzi relativi (tra chi i propri prezzi li controlla e chi invece li subisce) il lavoro dipendente perde ma l’intero paese precipita in una spirale di declino perchè la domanda dei pochi ricchi (vincitori) non sostiutusce quella dei molti vinti. Sicuramante la struttura dimensionale delle aziende italiane ha il suo peso così come la specializzazione produttiva delle stesse.
aldo lanfranconi
Un’osservazione circa gli indici di crescita delle r.l.m. usati da voi: se l’indice usato è stato ricavato come detto nell’articolo dalla variazione della retribuzione per unità di lavoro questo può essere rischioso. Infatti tale dato contiene anche un effetto mix. Esempio teorico: anno 0 : 98 con retribuzione 100 2 con retribuzione 50 : r.m. = 99 anno 1 : perdono il lavoro i 2 con retribuzione 50 : r.m. = 100. Voi rilevereste un aumento delle retribuzioni dell’1% che invece sono rimaste invariate. Se come spesso osservato, durante la crisi, sono stati espulsi i lavoratori più svantaggiati questo comporterebbe una sovrastima dell’aumento della retribuzione media lorda.
andrea
Che il mio potere d’acquisto negli ultimi 10 anni sia leggermente aumentato e’ un’affermazione magari supportata da un calcolo corretto ma non dal semplice buon senso. Nel mio quartiere un appartamento valutato 10 anni fa 100 milioni, oggi vale più di 100.000 euro.Gli affitti sono raddoppiati.Quanto incidono gli affitti e le spese x la casa in genere nel ridicolo paniere ISTAT? Il drenaggio fiscale mi ha derubato del 50% degli aumenti ricevuti in questi anni. Le tasse locali sono raddoppiate. Uscite dalla stanza dei numeri, andatevi a mangiare una pizza e parlate con qualche agente immobiliare che incontrate in pizzeria, inter alia, fare ottimi calcoli partendo da dati falsi o, piu’ precisamente inattendibili, mi sembra una perdita di tempo… se vogliamo fare un calcolo corretto dobbiamo lasciar perdere l’Istat e prendere in considerazione i consumi reali e incidenza percentuale corretta di questi consumi sulle spese mensili.
aldo lanfranconi
Penso che Andrea abbia ragione da vendere! La retribuzione annua lorda media 2010 dello studio IRES risulta essere 29.000 euro. Pagate IRE ed addizionali (Lombardia) restano in tasca al lavoratore 23.402 euro. Ho quindi immaginato che questo venga tutto speso secondo le % del paniere IPCA. Ecco il risultato: Prodotti alimentari e bevande analcoliche 4.075 euro; Bevande alcoliche e tabacchi 715 euro; Abbigliamento e calzature 2.241 euro; Abitazione, acqua, elettricità e combustibili 2.389 euro; Mobili, articoli e servizi per la casa 2.144 euro; Servizi sanitari e spese per la salute 885 euro; Trasporti 3.526 euro; Comunicazioni 699 euro; Ricreazione, spettacoli e cultura 1.612 euro; Istruzione 266 euro; Servizi ricettivi e di ristorazione 2.807 euro; Altri beni e servizi 2.043 euro. Indice generale 23.402 euro. Ora pensare che "Abitazione, acqua, elettricità e combustibili" possano costare solo 2.389 euro anno è assurdo. Elettricità, gas per cucina e sanitari ed acqua costano da soli un migliaio di euro, lo stesso il riscaldamento; i rimanenti 389 euro sono forse sufficienti a coprire affitto (o mutuo) e spese condominiali? Certo che no. Se i panieri fossero più aderenti alla realtà l’inflazione con essa calcolata sarebbe più realistica.
andrea
I dati calcolati da Aldo Lanfranconi sono illuminanti. Nel ridicolo paniere IPCA abitazione, acqua, elettricita’ e combustibili valgono 2.389 euro. In realta’ la cifra copre soltanto la spesa per le ultime 3 voci. In pratica non viene presa in considerazione quella che e’ la spesa principale di una famiglia media: l’abitazione. Abito a Genova, in periferia. Affitto medio 600/mese ( 7.200/annue). Mutuo medio 500/mese ( 6000/annue). Spese di amministrazione: rifacimento del terrazzo in un condominio composto da 20 unita’ abitative 150.000 ( 7500 a famiglia); rifacimento della facciata del palazzo: 200.000 ( 10.000 a famiglia). Si da il caso che nelle abitazioni ogni tanto si devono sostenere anche spese starordinarie oltre quelle ordinarie. E nel paniere IPCA dove sono? Conclusione (sempre la stessa): che senso ha perdere tempo a fare calcoli, anche corretti magari, partendo da dati che nulla hanno che fare con la realta’?
carla 58
Premesso che sono una bidella a tempo pieno e che devo vivere con il mio stipendio, non ho genitori o zii che mi sponsorizzano, cari i miei economisti questo e’ il commento di una madre di famiglia con bassa scolarità, ma i conti terra terra sono questi: nel 1986 quando ho iniziato a lavorare primo stipendio lire 920.000 netti, affitto di casa (due camere e servizi) 50.000 lire mensili; ora anno 2010 la stessa casa costa di affitto 350.00 euro mensili (700.000) con 1.050 euro (2.100.000 lire) di stipendio. Fate voi i conti! Io la vedo così affitto aumentato di 14 volte e stipendio di due e mezzo! E avete il coraggio di scrivere che il mio potere d’aqcuisto è aumentato? Ma non vi vergognate? Ma credete che le persone siano tutte sceme? Tanto vi dovevo, Carla