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Ringraziamo le risposte fin qui giunte.
Il nostro obiettivo è quello di spostare l’attenzione sulle altre barriere che impediscono la diffusione delle reti wi-fi territoriali a larga diffusione in Italia. La nostra tesi è che purtroppo l’abrogazione del decreto Pisanu non allevierà la carenza di reti-wifi in Italia proprio perchè non elimina quelle che noi riteniamo essere le reali barriere. Secondariamente sosteniamo anche che le ragioni di sicurezza del decreto Pisanu non sono peregrine. Prova ne è il fatto che regolamentazioni à-la Pisanu esistono anche in altri Paesi (Russia, India, Uk) nonostante sulla stampa il decreto Pisanu sia stato dipinto come un unicum italiano.
Vorremmo partire dalla nostra esperienza, crediamo condivisa con la maggior parte dei lettori de Lavoce, di utilizzatori di reti wireless in mobilità sia in Italia che all’estero. Le reti ad accesso anonimo, pur presenti in molti paesi (ed anche in Italia se ne trova ancora qualcuna), sono comunque degli incontri saltuari (non puoi prevedere dove le troverai) ed inaffidabili sia dal punto di vista della qualità del servizio che da quello della sicurezza, in quanto possono essere molto facilmente dirottate (il cosiddetto spoofing). Il loro utilizzo è fonte di distrazione e perdite di tempo: si passano decine di minuti a cercare tali reti con i vari devices ed a tentare di capire perché non funzionano o perché sono intasate. Da quando la minaccia dello spoofing si è diffusa poi, noi personalmente abbiamo proprio smesso di usarle per questioni di sicurezza (sul nostro laptop abbiamo praticamente tutta la vita).
Le reti migliori, perché accessibili in continuità ed in mobilità, che si trovano dove e quando se ne ha bisogno, nei posti giusti e con la qualità e sicurezza necessaria, sono quelle aperte non anonime di cui parliamo nell’articolo. Ci sono in tutte le città europee ed americane, le trovi per strada, negli aeroporti ed in altri spazi strategici. Purtroppo sono spessissimo a pagamento. Di queste reti non ne ricordiamo una sola che fosse ad accesso anonimo. Anche l’esempio dei treni danesi portato da Silvio, siamo certi che richiedesse la registrazione di un profilo.
Se questa esperienza è in parte condivisa da altri lettori, ci poniamo le seguenti domande: come mai all’estero, almeno nei paesi dove non vige alcun obbligo alla Pisanu (eh si lo ribadiamo, il Pisanu non è un unicum italiano, vedi sotto), si sono comunque sviluppate tantissime reti che richiedono qualche forma di autenticazione? Se avessero ragione i detrattori del Pisanu -come molti dei commenti- che dicono che qualsiasi forma di autenticazione impedisce l’uso di tali reti, non dovremmo osservarne alcuna. Ed invece sembrano un florido business nel resto del mondo. Se questo è vero, vorrete convenire con noi che il decreto Pisanu non può essere la vera barriera alla diffusione di queste reti in Italia. Come può essere che imporre una forma di autenticazione impedisca lo sviluppo di reti che all’estero si sviluppano già con qualche forma di autenticazione senza alcuna imposizione legale? Noi crediamo che il paradosso è presto spiegato: il Pisanu c’entra poco o nulla con il sotto-sviluppo di queste reti territoriali. In Italia sono difficili da realizzare per gli altri motivi che individuiamo nell’articolo.
Vogliamo sottolineare che l’obbligo di autenticare le connessioni ad internet tramite wifi non è un unicum italiano. Obblighi in linea con il decreto esistono in paesi come la Russia, l’India e la civilissima Gran Bretagna. Anche li hanno ovviamente sollevato polemiche. Però questo va a conferma del fatto che il quadro del decreto Pisanu forse non è così peregrino come lo si vorrebbe dipingere e che le ragioni di sicurezza che esso solleva, che non riguardano solo i casi -magari remoti- di terrorismo, sono comunque sentiti anche in altri importanti paesi.
Alla luce di queste riflessioni noi riteniamo che il tradeoff tra sicurezza e facilità di accesso, per quanto riguarda l’accesso ad internet tramite wifi sia ormai ampiamente superato nei fatti. Sistemi di login acquistabili anche dai piccoli esercizi a costi contenuti sono in commercio. Tra le aziende che li producono ci sono anche quelle citate nei commenti. Quello che serve fare ora -lo abbiamo enfatizzato nel testo- è favorire la diffusione delle reti territoriali che sono ostacolate da normative che con il decreto Pisanu non c’entrano nulla.

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10 commenti

  1. Silvio Villa

    Dunque, sui treni regolari, dipende dalla linea, ma generalmente è a pagamento o inclusa nel biglietto nominativo, quindi registrato. Mentre sui treni urbani l’accesso è gratuito, pur richiedendo una registrazione. Tuttavia, questa registrazione richiede solo un indirizzo email, che può tranquillamente essere fittizio. La rete è aperta, e la registrazione avviene solo dopo l’accesso alla rete, non c’è quindi una protezione di tipo Wep. Se si parla della sicurezza dei PC e degli utenti, secondo me la responsabilità è degli utenti stessi. Il decreto Pisanu parla di sicurezza antiterrorismo, e la cosa mi fa un po’ ridere. Qui in Danimarca i problemi di terrorismo sono seri, dal momento che ogni tanto qualcuno viene ancora arrestato perchè prova ad organizzare attentati contro i disegnatori delle famose vignette, eppure non credo che chiudendo le WiFi si ridurrebbero i rischi. Naturalmente è solo la mia opinione.

  2. Stempert

    Non vedo quale sia il problema di una autenticazione di qualche tipo. Quando si stipula un contratto di telefonia mobile non si forniscono i documenti? Cosa ci vuole a metter su un sitema di autenticazione, magari a livello europeo nei Paesi Cee rapido e veloce? Poi per quanto rigurda le esperienze riportate di persone che usano il wi fi anonimamente sarebbe interessante sapere, ma credo che sarebbe un pò complicato, la velocità e se "nel mezzo" ci sono filtri che analizzano il traffico, quindi anche per es. il testo delle e-mail inviate (realizzando quindi un’ implicita forma di controllo di cui l’utente finale non si rende conto).

  3. Roberto Convenevole

    La discussione sulla Fiat Italia andrebbe arricchita ponendosi alcune domande per superare i preconcetti nei riguardi Sergio Marchionne, la cui presenza andrebbe utilizzata per avere notizie cruciali che il management Fiat non ha mai fornito essenzialmente per problemi culturali. Premessa: tra il 2001 ed il 2004 la Fiat auto SpA non ha versato un euro di Irap (imposta territoriale) e di Iva. Questo vuol dire che le sue perdite di bilancio erano tali da annullare completamento tutto il costo del lavoro dei suoi dipendenti (passati da 41.000 nel 2001 a 31.000 nel 2004). Pertanto in quegli anni la Fiat auto distruggeva una fettina del Pil ogni anno invece di accrescerlo come avrebbe fatto una qualsiasi impresa sana. Nella sua intervista da Fazio, Marchionne ha detto: “quando sono arrivato io la Fiat era cotta” e le cifre che ho riportato stanno a dimostralo. A questo punto sorge la domanda: dopo la cura Marchionne, la Fiat versa l’Irap e l’Iva? E se sì in quale misura? In altri termini, la Fiat Italia accresce oggi il Pil italiano oppure no? Come si configura fiscalmente la Fiat Italia rispetto alla Peugeot o alla Volkswagen?

  4. pierfranco parisi

    Marchionne ha detto: in Polonia Fiat produce con x operai quanto in Italia con 3x. E’ un discorso ragionevole? In Polonia fanno ogni giorno Panda e, suppongo abbiano lavorato 365 giorni anno. In Italia fanno y modelli diversi, di peso lavorativo diverso, con tempi morti per la modifica delle linee e, in relazione alla cassa di integrazione, hanno lavorato z giorni. E’ giusto buttare fango sugli operai italiani?

  5. MarcoViola

    Dal "basso" dei miei 21 anni non mi arrogo di possedere una visione nitida delle opzioni di governance universitaria e dei loro effetti, ma la seguente frase mi sembra semplicemente una petitio principi ingenua, per non dire in malafede: "La possibilità di avere membri esterni del CdA in conflitto d’interesse (es. fornitori/appaltatori) è abbastanza remota e anche di facile individuazione, per cui non sarebbe difficile ovviare al problema." Mi pare che l’Italia pulluli di esempi di conflitti di interesse che, per quanto facilmente individuabili, non sono ancora stati risolti. Di contro, benché capisco le problematiche sottese alla frase "il conflitto d’interesse dei membri interni è una certezza" non sono così convinto che sia "sostanzialmente ineliminabile" (benché non sia abbastanza bravo per argomentarlo nei pochi caratteri rimasti).

  6. Armando Rosal

    Condivido i dubbi di M. Viola e credo che il problema centrale stia non solo nella governance ma anche in alcuni provvedimenti previsti nella riforma come il rafforzamento dei direttori di dipartimento nel senato accademico senza il corrispettivo bilanciamento di responsabilità (non è prevista nessun tipo di responsabilità nella riforma per gli esterni o per gli interni. Non parliamo dell’Anvur il quale resta ancora una incognita). Poi il sistema universitario non ha cambiato governance ma in Italia molte cose sono cambiate nell’arco degli anni nel come si pone l’università nei confronti della didattica. In effetti non si tiene poi conto della globalità del sistema Italia (mancante analisi Positiva). Noto inoltre che il the ranking non tiene conto delle risorse finanziarie delle università (non a caso le prime dispongono di risorse non parificabili in Italia). Se avessi più caratteri a disposizione mi dilungherei.

  7. PaoloG

    E’ di certo opinabile l’aumento del numero dei professori ordinari, ma riguardo all’assunzione di docenti preciserei che: a) entro il 2020 la stragrande maggioranza degli ordinari andrà in pensione; b) il rapporto docenti-studenti (equivalenti a tempo pieno_per una discussione rimando all’articolo di L.Perotti in "malata e denigrata") è ancora di 1:19, tra i più alti in europa; c) il blocco del turn-over di certo non facilita l’assunzione di "nuove leve"; d) l’aumento dei fondi (aggregati) rispetto al PIL non è significativamente mutato rispetto alle direttive del Consiglio Europeo a Barcellona nel 2002, anzi. Viste queste condizioni mi pare che un maggiore investimento in settori strategici per l’università non possa prescindere dalla sostenibilità della docenza. Aggiungo che un maggior peso delle componenti sottorappresentate potrebbe avere esiti migliori sul rimodellamento delle fasce docenti rispetto al processo di "restringimento" della governance, così come previsto nel Ddl. Non mi dilungo su altri punti.

  8. Francesco

    Il fatto che regolamentazioni simili esistano anche in altri Paesi è al massimo un indizio che ci siano fondate ragioni di sicurezza per non permettere accesso anonimo a reti wi-fi. Magari le ragioni ci sono, ma sarebbe interessante sapere quali sono e un governo degno di questo nome dovrebbe favorire la discussione pubblica ogni qualvolta intenda porre dei limiti alla libertà dei cittadini, così come dovrebbe rendere periodicamente conto dei risultati raggiunti grazie a quelle misure. Ricordo tra l’altro che il decreto Pisanu riguardava esclusivamente il contrasto del terrorismo internazionale; usarlo quindi per perseguire, ad esempio, violazioni di copyright è un abuso. Se siano poi i vincoli di quel decreto a rappresentare davvero il fattore limitante per la diffusione del wi-fi lo dirà il tempo. Io so solo che il mio Comune di residenza ci ha messo parecchi mesi a far partire un servizio sul territorio, spesi quasi esclusivamente per mettere in piedi il sistema di autenticazione; e l’ente di ricerca presso cui lavoro chiede il documento di identita’ a tutti i visitatori che intendano accedere alla nostra nostra rete e questo e’ a dir poco imbarazzante. Dimenticavo: io faccio davvero molta molta fatica a preoccuparmi di un terrorista che si fa beccare perche’ non riesce comunque a rendersi anonimo sulla rete o perche’ non riesce a cifrare le sue comunicazioni.

  9. Jacopo

    Continuo ad avere dei dubbi sulla validità di quell’indice di correlazione, in particolare non è chiarito cosa succederebbe a quel grafico se si normalizzasse sul finanziamento all’università invece che sul Pil. Inoltre che la scelta di usare un aumento dei fondi, comunque piccolo rispetto al sottofinanziamento iniziale, per assumere nuovi docenti fosse sbagliata sarebbe da discutere, visto che il rapporto docenti-studenti in Italia è basso. Da qui non voglio affermare che fosse una scelta giusta, ma che sarebbe necessaria un’analisi più approfondita. Infine una considerazione: io conosco un po’ le istituzioni universitarie come rappresentante degli studenti, e ho ricavato l’impressione che uno dei più grossi problemi sia il fatto che tutto il potere sia concentrato nelle mani di un gruppo ristretto di persone: i presidi sono anche senatori accademici, sempre gli stessi ordinari occupano prima uno poi l’altro dei ruoli amministrativi di peso, indipendentemente dai risultati. Mi chiedo se restringere ancora il cerchio dei "potenti" porterebbe davvero a un miglioramento, e se non sarebbe meglio assumere una gestione più partecipata.

  10. marcello giberti

    La ringrazio per il suo gradito commento alle osservazioni scaturite dal suo articolo. Volevo solo far notare come alcuni dati di efficenza possono essere ricavati molto imprecisamente ma sufficenti a dimensionare l’incidenza di alcuni costi e quindi della possibilità di valutare la validità delle tesi che fanno risalire alle differenti produttività delle varie sedi produttive. Per esempio con un piccolo calcolo (tratto da dati contenuti in un articolo che non sono più in grado di rintracciare)era possibile calcolare per uno stabilimento mono-modello come quello in Polonia che l’ incidenza della mano d’opera sul prezzo di trasferimento delle Panda era al massimo di 350 euro a vettura. Penso che se anche l’incidenza della manodopera in Italia fosse il doppio che in Polonia, questo solo vantaggio non giustificherebbe i maggiori costi di una produzione delocalizzata. Sicuramente i veri vantaggi sono quelli fiscali e gli aiuti di stato agli investimenti che dovrebbero essere in teoria vietati nell’ambito dei paesi della comunità Europea.

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