Nei commenti dei lettori sono state poste due questioni inerenti il diritto allo studio universitario: l’età per accedere alla borsa di studio, l’importo di borsa relazionato al costo della vita.
In Italia non esiste un limite di età per beneficiare della borsa di studio ma i criteri che determinano l’idoneità sono esclusivamente due: quello economico, avere un valore ISEE inferiore ad una certa soglia, e quello di merito, acquisire un determinato numero di crediti in relazione all’anno di iscrizione. Ne consegue che quando si parla di borsisti non necessariamente si parla di sbarbatelli. In Piemonte, ad esempio, il 2% dei borsisti ha oltre 35 anni; il borsista più anziano ha 71 anni.
Differentemente, in Francia e Germania hanno diritto al sostegno economico gli studenti che non abbiano compiuto, rispettivamente, 28 anni e 30 anni, sebbene in Germania sia in discussione l’innalzamento del limite di età a 35 anni.
Anche questo dovrebbe essere un argomento da prendere in esame in sede di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni.
In merito al commento che giustificherebbe le differenziazioni regionali in ragione sia della competenza regionale in materia di diritto allo studio sia dei differenti costi di vita, il discorso è più articolato e difficile da sintetizzare in poche righe. In primo luogo, il riformato Titolo V della Costituzione stabilisce che l’autonomia legislativa delle Regioni è limitata dalla competenza esclusiva del legislatore statale, cui spetta definire i livelli essenziali delle prestazioni per garantire nel paese l’uniformità delle condizioni di vita. In attesa che avvenga tale definizione vige la normativa attuale, che da talune Regioni non viene rispettata quando fissano degli importi di borsa inferiori al livello minimo previsto, e che presenta il limite di non specificare quali costi la borsa intenda coprire.
Ne consegue che gli importi differiscono da regione a regione senza che vi sia un fondamento oggettivo a tali differenze. Un esempio su tutti: l’importo massimo di borsa dello studente in sede è pari a 2.430 euro in Puglia, a 2.510 euro in Lombardia, a 2.083 euro in Piemonte ed a 1.000 euro in Toscana: è evidente che questi non riflettono i diversi costi di mantenimento. L’importo massimo è poi ridotto in base a differenti criteri, così come è diverso l’importo detratto dalla borsa dello studente fuori sede beneficiario di posto letto, da 1.500 euro a 2.200 euro, e quello detratto per il servizio ristorativo. La difformità non poggia su motivi fondati.
Sarebbe necessario che lo Stato nel riformare la materia del diritto allo studio esplicitasse quali costi di mantenimento la borsa di studio debba sostenere, e conseguentemente il metodo di calcolo dell’importo di borsa che dovrebbe essere lo stesso per tutti gli studenti, come accade nella federale Germania. Regole certe, chiare e uguali per tutti su tutto il territorio nazionale probabilmente favorirebbero anche la diffusione di informazione sulla possibilità di sostegno: le analisi condotte in Piemonte dimostrano che vi è circa un 40% di studenti iscritti al primo anno che non presenta domanda di borsa pur avendone diritto.
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