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INCENTIVI ALLO STUDIO

Gli studenti italiani non brillano nelle classifiche internazionali. E allora alcune scuole e università hanno pensato di ricorrere ai premi in denaro per spingerli a impegnarsi di più. È una strategia che funziona? Un esperimento condotto all’Università della Calabria mostra che l’incentivo monetario ha un effetto positivo sui risultati, sia in termini di crediti conseguiti che di voto ottenuto agli esami. Vale però per gli studenti con maggiori abilità, sugli altri l’effetto è nullo. Per loro, l’incentivo dovrebbe considerare i miglioramenti rispetto al passato.

 

I deludenti risultati scolastici fatti registrare dagli studenti italiani e, in particolare, dagli studenti del Sud Italia in diverse indagini internazionali (Pisa, Timss), sono fonte di preoccupazione, dato il ruolo decisivo del capitale umano nel definire le carriere degli individui e la crescita dei paesi
Quali politiche adottare per migliorare le conoscenze dei giovani? Una migliore selezione dei docenti? Maggiori incentivi agli insegnanti? Formare classi con un minor numero di studenti? Destinare maggiori risorse per migliorare le strutture, i laboratori, il materiale didattico? Politiche che cercano di andare in questa direzione sono state proposte da più parti, senza riuscire a superare l’inerzia esercitata dallo status quo.

LA STRATEGIA DEL PREMIO

La cattiva performance degli studenti italiani potrebbe dipendere, almeno in parte, da una mancanza di incentivi per gli studenti a impegnarsi duramente nello studio. Il mercato del lavoro – dove prevalgono criteri scarsamente meritocratici, per via, ad esempio, del condizionamento esercitato da network sociali e familiari nella determinazione della carriera lavorativa – non fornisce gli stimoli giusti per una piena acquisizione delle competenze professionali.
Una strategia innovativa per superare tali problemi e per incoraggiare gli studenti a impegnarsi nelle attività scolastiche è stata adottata recentemente da alcune scuole superiori e da università italiane (si veda il Corriere della Sera del 20 gennaio 2011) che hanno deciso di attribuire premi monetari agli studenti che ottengono i risultati migliori.
Non è semplice capire se questa forma di incentivo induca gli studenti a un maggior impegno oppure rappresenti semplicemente un premio assegnato a quelli dotati già in partenza di maggiori abilità (per abilità innate, per un miglior background familiare, eccetera). Se l’incentivo all’impegno è poco rilevante, gli studenti che ottengono i premi non acquisiscono competenze aggiuntive rispetto a quelle che avrebbero comunque acquisto.

L’ESPERIMENTO

Per cercare di valutare rigorosamente l’impatto degli incentivi monetari sulla performance degli studenti, nell’anno accademico 2008-2009 abbiamo condotto un “esperimento randomizzato” che ha coinvolto gli studenti iscritti al primo anno di Economia aziendale all’Università della Calabria. (1)
Gli studenti sono stati divisi sulla base di una estrazione casuale in tre gruppi: 1) gli studenti del primo gruppo (A) concorrevano alla vincita di un premio di 700 euro; 2) quelli del secondo gruppo (B) concorrevano alla vincita di un premio di 250 euro; 3) quelli del terzo gruppo erano esclusi dalla competizione e non potevano vincere alcun premio (gruppo di controllo).
L’estrazione casuale ha avuto lo scopo di rendere il trattamento (la possibilità di competere per il premio) indipendente da qualsiasi caratteristica pre-determinata degli studenti (ad esempio, il tipo di scuola frequentata, il voto di maturità, il genere, il background familiare, e così via). In tal modo, gli studenti assegnati ai vari gruppi avevano, in media, le stesse caratteristiche
Lo schema di incentivazione prevedeva di assegnare i premi ai trenta migliori studenti (individuati sommando i voti ottenuti agli esami del primo anno) del gruppo A e ai trenta migliori del gruppo B. In questo tipo di analisi empiriche, il gruppo di controllo è necessario come termine di riferimento, cioè per avere una misura della performance degli studenti in assenza di intervento da confrontare con quella ottenuta dal gruppo di trattamento.
Dalla nostra analisi emerge che gli incentivi monetari producono un effetto positivo sui risultati degli studenti,  sia in termini di crediti conseguiti che di voto ottenuto agli esami. (2) La prospettiva di ottenere un premio di 700 euro aumenta del 12 per cento la performance degli studenti, misurata attraverso il numero di crediti acquisiti. Competere per l’ottenimento di un premio di 250 euro produce un effetto molto simile.
Inoltre, i risultati mostrano che gli incentivi monetari non producono effetti distorsivi sul  comportamento degli studenti. Infatti, anche se la performance ottenuta dagli studenti in alcuni esami (informatica, inglese, francese) non veniva considerata per l’assegnazione dei premi, non si è riscontrato alcun effetto di sostituzione: i migliori risultati degli studenti che potevano concorrere per vincere il premio non sono stati realizzati a discapito di quelli ottenuti agli esami non considerati come target nell’esperimento.
Tuttavia, è importante evidenziare che gli effetti positivi degli incentivi si concentrano sugli studenti caratterizzati da maggiori abilità. Gli studenti che hanno ottenuto un voto di maturità superiore alla media che concorrevano per l’assegnazione dei premi ottengono risultati nettamente migliori dei colleghi con abilità simili inclusi nel gruppo di controllo. Invece, l’effetto sugli studenti dotati di minori abilità è sostanzialmente nullo. Lo scarso impatto degli incentivi su di loro è probabilmente dovuto a un effetto “scoraggiamento”: essendo consapevoli della difficoltà a risultare tra i migliori, questi ragazzi sono scarsamente motivati all’impegno. Di conseguenza, per permettere anche agli studenti con minori abilità di beneficiare di interventi di questo tipo, nella regola di assegnazione dei premi sarebbe necessario tenere in considerazione non tanto il livello assoluto della performance quanto il miglioramento realizzato rispetto ai risultati raggiunti in passato.

(1) Il progetto è stato finanziato dall’assessorato Istruzione, alta formazione e ricerca della Regione Calabria con i fondi del Fondo sociale europeo.
(2) Per maggiori dettagli si veda il lavoro: Maria De Paola, Vincenzo Scoppa, Rosanna Nisticò, 2010. "Monetary Incentives and Student Achievement in a Depressed Labour Market: Results From a Randomized Experiment", Working Papers 2010-06, Università della Calabria, Dipartimento di Economia e Statistica, disponibile all’indirizzo http://ideas.repec.org/p/clb/wpaper/201006.html.

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10 commenti

  1. Paolo Quattrone

    Date un premio per leggere piu’ libri e lo studente sara’ interessato al numero di pagine di ogni libro piu’ che al suo contenuto, date un cioccolattino ai vostri figli e loro vi ameranno per i cioccolattini. Non lo dico io, ne’ la tata Lucia di SOS tata, ma alcuni psicologi (ad esempio Barry Schwartz) che hanno capito che gli incentivi possono servire con gli animali (e neppure tutti) , sensibili al meccanismo stimolo-risposta che sottosta’ alla teroia degli incentivi, ma non servono con gli esseri intelligenti evoluti. Forse dovremmo usare un incentivo per farlo capire agli economisti.

  2. Silvio Villa

    Personalmente, mi trovo in disaccordo con l’affermazione secondo cui bisogna premiare il miglioramento e non la performance in senso assoluto. Prima di tutto, in questa maniera, gli studenti migliori non vengono premiati. Questa è una cosa che, da studente, ho sempre detestato, e che da lavoratore fa la differenza. Sul lavoro, con dovute eccezioni, fa carriera chi porta i risultati migliori. Nello sport, quando si deve vincere, si mette in campo la squadra con i giocatori che in quel momento sono migliori. Il concetto per cui a scuola gli insegnanti premiano "l’impegno" è distorsivo. Uno studente può impegnarsi tantissimo, ed ottenere risultati modesti, magari perchè gli sforzi sono concentrati nella direzione sbagliata, o perchè studia in maniera mnemonica. Premiare questo è sbagliato, oltre che distorsivo.

  3. max

    Qui si confondono 2 aspetti molto diversi. In primo luogo la capacità del sistema scolastico/universitario di assicurare un livello alto di formazione, a livello della media della popolazione degli allievi. Questo dipende essezialmente dalla organizzazione e gestione operativa della scuola, dalla qualità e professionalità dei formatori e dalle strutture e competenze tecniche che mette a disposizione: finchè chi organizza e gestisce la scuola/univeristà sarà lo Stato (un imprenditore che farebbe fallire una miniera di diamanti) il gioco è perso. In secondo luogo, dare incentivi materiali agli studenti che hanno capacità brillanti. Questi incentivi dovrebbe sostenere lo sforzo economico, materiale che costa pagarsi la vita mentre si va a scuola/università: non è un ‘regalo’, ma un modo per assicurare che le migliori capacità possano emergere, per poi contribuire a creare benessere per il Paese. Se poi, dopo averle formate, si dà loro un’opportunità di restare in italia … in questo caso non si può premiare lo ‘sforzo a migliorasi’ ma i risultati brillanti.

  4. Frankio

    Articolo molto interessante e ricerca ben fatta. Mi chiedo, però, se il premio fondato sulla performance ‘relativa’, ottenuto cioè sulla base del miglioramento, non vada ‘a discapito’ dei migliori. Esempio: Franco e Ciccio vanno all’Universita e prendono (non incentivati) 30 e 24, rispettivamente. Un premio alla performance relativa sara’ più semplice da prendere per Ciccio che per Franco. Si tratterebbe allora di tenere insieme tanto la performance relativa quanto quella assoluta (magari con opportuni pesi): ma chi li decide i pesi? Altro problema: quale voto scegliere come baseline? Appena sarà stato scelto e lo schema di incentivi sarà messo a regime, gli studenti cominceranno ad agire strategicamente: il fatto che nell’esperimento non sembrano averlo fatto, può essere dovuto proprio al fatto che la valutazione sulla performance assoluta ha agito sui migliori, coloro che già hanno voti alti (e magari coloro che hanno motivazioni extra-torneo già elevate) ma se mi premi per come sono migliorato dall’esame A a quello B avrò incentivo ad andare ‘un po’ più male’ in A per rendermi la vita più facile per ottenere il premio.

  5. GIUSEPPE RALLO

    Sicuramente l’intervento va nella strada giusta. Infatti più che parlare a vanvera di "meritocrazia" per i docenti, sarebbe opportuno prima motivare gli alunni. Il premio è un ottimo incentivo, ma prima di arrivare a quello economico, ce ne possono essere di altri già presenti nelle nostre scuole. Oggi prendere 100 nelle scuole superiori è molto difficile, un tempo anche se avevi la media del sei e facevi un esame brillante, ti davano 60 ( cioè il massimo), oggi non è più così, per ottenere il massimo devi avere una media del 9 nei tre anni, bene, vogliamo dare la possibilità a quegli alunni che prendono 100 di scriversi all’università senza dover passare dai test. Credo sia un ottimo punto di partenza.

  6. rita

    Se vogliamo premiare il merito allora dobbiamo premiare i migliori, diversamente premiamo chi ha risultati più bassi con buona pace di tutti i discorsi sulla meritocrazia che facciamo tutti i giorni. La verità è che la meritocrazia non è indolore, però dobbiamo deciderci.

  7. aris blasetti

    Sono assolutamente contrario a dare soldi agli studenti perche’ si applichino all’Universita’. E’ ora di finirla col dare quattrini a chi dovrebbe fare il proprio dovere ed essere grato ai genitori che si sobbarcano l’onere di farli studiare. Chi non ha voglia di studiare, vada a lavorare, a fare quei lavori che fanno volentieri gli extracomunitari . L’unico aiuto che mi trova d’accordo e’ far studiare gratis i migliori senza guardare al reddito – tanto sappiamo come sono le dichiarazioni Irpef in Italia – in modo da avere un domani una classe dirigente all’altezza. Chi non ha voglia, se ne stia a casa, non intasi l’Università e lasci il posto ai meritevoli. Ci servono panettieri, calzolai, artigiani, meccanici e non dottori ignoranti e sfaccendati. Vorrei tanto che il appello sia sottoscritto da tanti, forza, facciamoci sentire è ora di finirla con il buonismo. Tanto paga Pantalone.

  8. Ing. Giovanni Rossi

    Sono un docente che insegna da 26 anni presso la scuola secondaria superiore e svolgo attività professionale come ingegnere dallo stesso tempo; l’ esperienza e la competenza maturata mi portano ad affermare che l’eccellenza negli studi è frutto di un mix che comprende la passione personale dello studente che è fondamentale, il livello e la qualità dei docenti e delle strutture che si hanno a disposizione e la possibilità di motivare il personale docente e gli stessi studenti con iniziative che consentano ai primi di sviluppare progetti e/o programmi che possano avere anche ricadute in termini lavorativi, di ricerca o di carriera ed ai secondi di veder premiati gli sforzi ed il merito con posti di lavoro adeguati alla preparazione e con premi in denaro.

  9. Alessandro Palestini

    Sicuramente l’incentivo in denaro può essere una soluzione di breve periodo. Il principale problema che hanno gli studenti è la possibilità di rendere profittevole gli investimenti e gli impegni sullo studio nei banchi delle università Italiane. Purtroppo il mercato del lavoro non è affatto un incentivo, semmai un deterrente all’impegno visto che poche imprese riescono a riconoscere il valore di uno studente eccellente da uno mediocre anche perchè troppo spesso i laureati sono sotto-impiegati. Nel lungo periodo è il mercato del lavoro a dover incentivare gli studenti a frequentare le università migliori per una miglior formazione per costruirsi un exit profile capace di remunerare gli sforzi fatti.

  10. luca montefiori

    Non bisogna premiare un bel niente, ma renderli consapevoli del loro futuro, responsabilizzarli, mostrando che chi si impegna nello studio avrà una vita migliore. E soprattutto dargli dei valori, che il denaro e il successo nel lavoro, sport e famiglia non sono la base della vita, che la cultura che gli viene data serve per porsi al servizio degli altri e della storia. Ma sono idee troppo lontane dall’essere belli, atletici, brillanti che oggi vanno tanto di moda. La scuola di Giovanni Gentile era meritocratico, ma col compito alto di formare una classe dirigente al servizio dell’Italia, non di seguire gli interessi personali di qualche studente. La scuola non deve formare solo lavoratori, ma cittadini consapevoli; suo compito non è realizzare la persona, ma la persona nella società, con un senso civico e del bene comune.

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