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Grazie ai lettori per i commenti. Cercheremo di rispondere alle diverse questioni che sono state poste.
Non conta solo la ricerca: è vero anche la didattica e le capacità organizzative dovrebbero essere valutate, ma valutare questi aspetti è ancora più difficile che valutare la ricerca e per quanto ne sappiamo non esiste un sistema che ne permetta una valutazione almeno parzialmente trasparente. Prendere in considerazione aspetti che non possono essere valutati su una base di informazioni condivise significa accrescere la discrezionalità della commissione. Anche un pessimo docente, se non c’è modo di dimostrare il contrario, può diventare un ottimo insegnante. In un sistema come quello Italiano in  cui, come sostiene un altro lettore, esiste un problema etico forse è meglio legarsi il più possibile le mani con tutti i costi che ne derivano.
Quanti sono i “veri esterni” nel campione: i veri esterni (cioè persone esterne al mondo universitario) sono pochi (11%), ma non sembrano essere più svantaggiati rispetto ai concorrenti provenienti da Università diverse da quella che ha bandito il concorso.
Genere e vantaggio dell’"interno": Se facciamo il confronto tra uomini e donne tenendo conto dell’effetto derivante dall’essere candidati interni, emerge che le donne soffrono ancora di uno svantaggio rispetto agli uomini. Una candidata interna non dispone degli stessi vantaggi di cui godono i candidati interni uomini. In particolare, dai dati emerge che il vantaggio di essere interni per una donna è di 27 punti percentuali mentre per un uomo è di 32 punti percentuali.
Differenze tra tipi di concorso: Il nostro lavoro non riscontra, a differenza di quello di Zinovyeva e Bagues, citato dalla lettrice Giulia Zacchia, differenze a seconda della tipologia di concorso. La discriminazione contro le donne sembra maggiore per i concorsi a professore associato, ma l’effetto della composizione della commissione va nella stessa direzione e produce un effetto simile per i due tipi di concorso. In realtà non è ben chiaro perché dovremmo aspettarci che ci siano comportamenti differenti man mano che si sale lungo la scala gerarchica. Stiamo adesso cercando di capire se le candidate donne si autoescludono ritirando la propria candidatura quando si trovano di fronte una commissione composta da soli maschi (aspettative che si auto-realizzano), oppure se pur mantenendo la propria candidatura tendono a vincere meno rispetto agli uomini. Forse in questo caso potremmo riscontrare differenze tra tipi di concorso.
Concorsi da ricercatore: è vero la selezione all’ingresso è la più importante, ma anche nel corso della carriera è rilevante dare incentivi corretti. Se il sistema premia gli individui non in base ai risultati ottenuti, ma in relazione a meccanismi intricati e poco trasparenti, gli incentivi a lavorare bene possono risultare affievoliti.

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  1. Alessandro Figà Talamanca

    L’idea che la ricerca creativa possa essere incentivata dalle prospettive di promozione mi sembra poco credibile. I veri incentivi per la ricerca creativa sono la curiosità e la "gloria", (nel senso indicato da G.H. Hardy in "A mathematician’s apology" ma anche, più modestamente, gloria nel senso di stima di cui si può godere tra gli scienziati veri). Per questo i "concorsi" veamente importanti sono quelli di primo accesso (chi ne è escluso esce dal sistema), e non le promozioni che possono incentivare solo la ricerca di routine. Fino a ieri i concorsi importanti erano quelli a ricercatore di ruolo, con la legge Gelmini saranno i concorsi a ricercatore a tempo determinato di tipo b). Eppure i baroni che litigano sui concorsi a professore, e a volte pontificano avvolgendosi nella bandiera del "merito", sono tutti (o quasi) d’accordo nel riservare i concorsi di primo accesso a scelte locali. Le norme che precedevano la legge Gelmini (sorteggio di commissari di prima fascia) avevano reso anche i concorsi a ricercatore contendibili. Purtroppo son durate poco, ma non sarebbe stato inutile studiarne gli effetti.

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