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BONUS ASSUNZIONI: CHE COSA C’È E CHE COSA MANCA

Nel decreto sviluppo si ricorre opportunamente al credito d’imposta per creare nuovi posti di lavoro stabili al Sud. L’obiettivo è di crearne soprattutto nelle nuove imprese. C’è però il rischio che dell’incentivo facciano uso soprattutto le grandi aziende. E il bonus dimentica i lavoratori precari del Nord. Dovrebbe essere solo un tassello di una strategia nazionale per il rilancio dell’occupazione. Strategia oggi più che mai urgente, dati i numeri allarmanti anche sulle vendite dei beni essenziali.

L’articolo 2 del decreto sviluppo istituisce il cosiddetto “bonus assunzioni”, cioè un credito d’imposta per le aziende che creino nuovo lavoro stabile (“lavoratori dipendenti a tempo indeterminato”) nel Mezzogiorno.
Per rendere la misura compatibile con la normativa europea in materia di aiuti di stato (regolamento Ce 800/2008), il decreto restringe l’ambito di applicazione del bonus all’assunzione di lavoratori che rientrino nella – ampia – categoria degli ”svantaggiati” o “molto svantaggiati” secondo l’Unione Europea. I lavoratori svantaggiati sono quelli privi di impiego da almeno sei mesi o privi di diploma superiore o professionale o “over 50” o se vivono soli con figli a carico o, ancora, se occupati in settori con elevato tasso di disparità tra uomo e donna o, infine, se appartenenti a una minoranza nazionale). I molto svantaggiati sono i lavoratori privi di impiego da almeno 24 mesi, indipendentemente da sesso, età e altre caratteristiche individuali. Il credito di imposta spetta nella misura del 50 per cento dei costi salariali sostenuti nei 12 o 24 mesi successivi all’assunzione a seconda se il lavoratore sia svantaggiato o molto svantaggiato e va utilizzato entro tre anni dalla data di assunzione. È dunque un bonus generoso: in base al decreto, un’impresa che assuma un lavoratore svantaggiato al costo di 2000 euro al mese, ha diritto a un credito di imposta pari a 12mila euro annui (o 24mila se il lavoratore è molto svantaggiato). Se la Commissione ce lo consentirà, la misura sarà finanziata con fondi europei che altrimenti andrebbero perduti, dato il cronicamente basso tasso di attivazione dei finanziamenti che l’Europa destina al Mezzogiorno

GLI ASPETTI POSITIVI DEL BONUS

Il bonus assunzioni presenta vari aspetti potenzialmente positivi. Il primo è che il bonus avviene in forma di credito di imposta e non di contributo a fondo perduto ed è finalizzato all’occupazione e non agli investimenti. Come spiegavo in un articolo precedente, è utile incentivare le assunzioni nelle aziende che adempiono ai loro obblighi fiscali e non distribuirli a pioggia come si è fatto per decenni con le politiche industriali cosiddette “per il Mezzogiorno”. Inoltre, dato che a languire oggi sono i consumi e non gli investimenti, meglio aumentare l’occupazione stabile (che fa crescere la propensione a consumare delle famiglie) piuttosto che gli investimenti. Un altro aspetto positivo è che il bonus è disegnato in modo da favorire le assunzioni delle nuove imprese: per avere diritto al bonus occorre generare più occupati a tempo indeterminato rispetto ai lavoratori esistenti e si ha diritto al bonus solo per i lavoratori aggiuntivi. In un’impresa neonata, per definizione, il bonus si estende invece a tutti i lavoratori dell’impresa. Inoltre, dato che la misura vuole portare alla creazione di più lavoro stabile, i contratti a termine sono esclusi dal bonus. I contratti a tempo parziale sono invece inclusi e il bonus si calcola in proporzione del tempo di lavoro. L’obiettivo è dunque quello di contribuire a combattere l’attuale dualismo del mercato del lavoro italiano. Infine, se la Commissione non ce lo vieta (è un grosso “se” per il momento), la misura presenta bassi costi opportunità per il bilancio pubblico perché farebbe uso di fondi che altrimenti sarebbero sprecati.

CHE COSA MANCA NEL BONUS ASSUNZIONI

Il bonus assunzioni presenta anche alcune criticità.
Come tutti i programmi di incentivazione, il bonus assunzioni è una buona idea se riesce nel proposito di creare lavoro aggiuntivo. Il precedente di questo tipo risale a una misura analoga del 2000. In un tema di discussione della Banca d’Italia del 2005, Piero Cipollone, Corrado Di Maria e Anita Guelfi hanno mostrato che il credito d’imposta del 2000 ha prodotto risultati di qualche efficacia, portando a un aumento della partecipazione al mercato del lavoro dell’1,5 per cento nel 2001 e del 2 per cento nel 2002. (1) L’aumento fu concentrato tra i maschi tra i 35 e i 54 anni di età, con basso o al più secondario livello di scolarità. Ma anche se gli effetti del bonus assunzioni fossero solo di sostituire lavori precari con lavori stabili ma a tempo parziale, il risultato sarebbe comunque positivo per le prospettive di consumo e di vita delle famiglie coinvolte.
C’è il rischio che, siccome la maggior parte delle piccole imprese al Sud oggi si sottraggono ai loro adempimenti fiscali, la misura proposta finisca per favorire l’assunzione di lavoratori nelle (poche) grandi imprese del Meridione. Il che va bene, ma bisogna dirlo: la misura probabilmente favorirà l’occupazione nei supermercati più che nei piccoli esercizi commerciali.
C’è poi da considerare che il bonus si rivolge a lavoratori che sono fuori o ai margini del mercato del lavoro. È plausibile pensare che le aziende decidano davvero di assumere lavoratori di questo tipo a tempo indeterminato senza far intraprendere ai lavoratori coinvolti una qualche attività di formazione? C’è un modo di legare la riforma dell’apprendistato attualmente in via di elaborazione al bonus?
Infine, il bonus è solo per il Sud. Ma, come dicono i dati, i lavori precari, gli unici posti di lavoro creati nell’Italia post-crisi, sono in tutta Italia, non solo nel Mezzogiorno. Quindi il bonus assunzioni può essere solo un tassello di una strategia nazionale per il rilancio dell’occupazione. Strategia oggi più che mai urgente, dati i numeri allarmanti anche sulle vendite dei beni essenziali che mostrano non tanto il crollo delle vendite di Tv al plasma, ma piuttosto la riduzione preoccupante della spesa per pasta, acqua, latte e caffè.

(1) “Hiring incentives and labour force participation in Italy”, Piero Cipollone, Corrado Di Maria, Anita Guelfi, Bank of Italy, Temi di Discussione 552, giugno 2005.

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  1. SAVINO

    Manca la moralità nel fare impresa. Non è accettabile da nessuna angolazione che si prendano soldi, sgravi fiscali ed incentivi vari dallo Stato e dalla UE per poi scavare una buca, per dimostrare di avere fatto qualcosa, e scappare col malloppo. E’ il tanto deturpato art. 41 della Costituzione che ce lo insegna: l’attività di intrapresa deve essere volta ad una funzionalità sociale, cioè a produrre beni e servizi (e non aria fritta, e non finanza) e, per questa via, a creare occupazione e benessere. La diversa impostazione la stiamo notando con la Fiat che, da quando non riceve più incentivi e sussidi, sta creando le condizioni per la sua competitività sul mercato e per le relative garanzie occupazionali.

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